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13 Ottobre 2015 | Archivio / Protagonisti

Lucia Sarzi

La ragazza che, con la stessa passione, sapeva recitare sul palco e lottare per libertà, e per questo, a soli vent’anni, divenne una “pericolosa sovversiva”

A cura di Vittorio Ferorelli, con la collaborazione di Laura Artioli

Care amiche e cari amici di RadioEmiliaRomagna, la donna di cui vi raccontiamo oggi era nata per essere un’attrice sulla scena, e divenne una protagonista della lotta per la libertà. Ma in entrambi i casi seppe farlo con grande naturalezza, senza clamori e senza smanie.

Nata l’8 novembre del 1920 tra Mantova e Cremona, da una famiglia di burattinai che da tempo rallegrava le piazze padane con le sue recite, Lucia Evelina Ofelia Sarzi viene al mondo con tre nomi impegnativi, che la collocano da subito nella tradizione del teatro. Il suo sembra un destino prefigurato. Vivrà nomade e con poco denaro. Terrà le parole in altissimo conto. E, quando sarà tempo, sarà capace di uscire di scena con disinvoltura.
Lucia cresce fra le assi di un palcoscenico ambulante. I suoi genitori, Francesco e Linda, la abituano fin da piccola ad assegnare un valore primario alla conoscenza e ad amare quella libertà di azione che solo i girovaghi sanno respirare dentro le piazze. Giovane attrice nelle compagnie che suo padre mette insieme negli anni del fascismo, la ragazza indossa, come una seconda pelle, i ruoli drammatici delle eroine libertarie. E così, vedendola fiammeggiare di passione nei panni di Tosca, succede a volte che, nei paesi dove si ferma il carrozzone, altre ragazze e altri ragazzi come lei sentano in sè lo stesso ardore, la stessa passione per la libertà.
Un ardore che poi, a spettacolo finito, Lucia sa trasformare in ragionamento, in discussione aperta, in consigli di lettura (tutti libri che, naturalmente, il regime proibisce). Non è un caso se intorno a lei, in quegli anni Trenta, si va raccogliendo una rete di giovani uomini e donne che, più tardi, si troveranno a collaborare nella resistenza.

Arrestata per la prima volta ad Alessandria nel gennaio del ’40, sconta due mesi di carcere e viene condannata a due anni di ammonizione, come “elemento capace di svolgere attività sovversiva e antinazionale”. Nel giugno di quell’anno, mentre l’Italia di Mussolini entra in guerra, la compagnia dei Sarzi si trasferisce a Parma, ed è qui che Lucia prende contatto con il partito comunista. A soli vent’anni le viene affidato un compito delicato: ricucirà le fila dei militanti dispersi nella provincia di Reggio, approfittando dei contatti che ha già stabilito in tanti paesi, ma anche della copertura e della mobilità offerte dalla sua attività teatrale.
Non basta: armata di una bicicletta e di un coraggio non comune, Lucia si impegna anche a diffondere la stampa clandestina, in lungo e in largo, da Milano alla Romagna. Fra la primavera e l’estate del ’43, in una piccola tipografia nascosta nelle campagne di Correggio, collabora a comporre alcuni numeri dell’“Unità” insieme a Giorgio Amendola, che di lì a poco andò a far parte del Comitato di liberazione nazionale.
Nel dicembre di quell’anno, Lucia viene a sapere che i fascisti hanno fucilato tutti e sette i fratelli Cervi. Per lei e per la sua famiglia – che con i Cervi avevano stretto un sodalizio forte, condividendo slanci e difficoltà – il colpo è durissimo. Si rifugiano a Casalbellotto, nella bassa cremonese, ma nonostante l’abilità a nascondersi e sfuggire alle ricerche, nel febbraio del ’44 la ragazza viene arrestata e resta in carcere a Reggio Emilia fino a luglio. Di quei mesi ci resta la testimonianza preziosa di Serena Pergetti di cui, qui su RadioEmiliaRomagna, Laura Artioli ci ha già raccontato [www.radioemiliaromagna.it/programmi/racconti-autore/ragazze-tomaso.aspx].

A guerra finita, dopo anni di vita vissuta pericolosamente, Lucia Sarzi approda a un’esistenza ordinaria. Non parlerà più di ciò che ha fatto: né interviste, né libri. Sposata con un maestro elementare, si trasferisce a Camposanto sul Panaro, nel Modenese, dove crescerà due bambini. Una vita da casalinga, non c’è che dire, se non fosse che ogni tanto, quando una compagnia teatrale passa dalle sue parti, chiede di partecipare agli spettacoli.
Muore a soli quarantotto anni, per una malattia fulminante, il 19 febbraio del 1968. Due sere prima, a Reggio Emilia, è stato presentato in prima nazionale il film sui fratelli Cervi. A interpretare il ruolo che fu suo nella vita, questa volta, c’è un’altra attrice. Ma non c’è finzione capace di tenere il passo con la realtà affrontata da una donna che ha lottato per vivere in un paese diverso. Se gli annali ufficiali della resistenza, come spesso accade per le donne partigiane, si limitano a ricordarne il ruolo di “staffetta” o “corriere clandestino”, dentro di sè Lucia sapeva bene ciò che aveva fatto. Lo aveva detto solo una volta, con tono sommesso, ma con la chiarezza e l’orgoglio dell’interprete autentica: “Abbiamo dato prova a tutti, ai tedeschi, ai fascisti, che le donne non sono quelle che accettano e che hanno paura”.

[Per conoscere meglio la protagonista di questa storia vi rimandiamo al libro di Laura Artioli: “Storia delle storie di Lucia Sarzi”, Reggio Emilia, corsiero editore, 2014; la famiglia Sarzi è ancora in attività con i suoi burattini e il museo che a essi ha dedicato Otello, il fratello di Lucia: www.fondazionefamigliasarzi.it]

 

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