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19 Agosto 2008 | Archivio / Protagonisti

Un prete sul Tamigi

Dal 1971 Carmelo Di Giovanni è il riferimento dei parmensi e degli italiani a Londra

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

19 agosto 2008

Il quartiere di Saffron Hill nelle stampe d’epoca sembra uscito da un romanzo di Charles Dickens: case decadenti, vicoli sconnessi, gente ammassata in fredde stanze. E’ qui che vivevano gli emigrati italiani nella Londra dell’Ottocento. A metà secolo erano circa duemila, non pochi dei quali provenienti dalle zone povere dell’Appennino parmense. Svolgevano lavori improbabili: musicisti e merciai ambulanti, suonatori d’organetto, venditori di statuine di gesso. Per lo più, girovaghi e accattoni, dalla vita improvvisata, come quella oggi in Italia dei lavavetri slavi o dei venditori di rose pakistani.

Il Times registra già nel marzo 1820 la presenza di ragazzini dei paesi vicino a Parma, portati a Londra per chiedere l’elemosina in strada. E il Penny Magazine nel 1833 rileva che dal minuscolo ducato di Parma e Piacenza sono arrivati in città dei piccoli organettisti e dei vagabondi che sbarcano il lunario facendo ballare scimmiette e orsi e topi bianchi.

Gli abitanti di Little Italy non avevano ancora una chiesa cattolica in cui pregare: utilizzavano la Cappella Reale Sarda in Lincoln’s Inn Fields. Finché nel 1845 un prete romano, Vincenzo Pallotti, che aveva dedicato la sua esistenza ai poveri e agli emarginati – e per questo santificato nel 1963 da papa Giovanni XXIII – decise che era giunto il momento di costruire una chiesa per gli emigrati di Londra. Pensata inizialmente per tutti i cattolici della capitale inglese, la “Chiesa di San Pietro per tutte le nazioni” fu inaugurata nel 1863.

Sorge in Clerkenwell Road, nel cuore di quello che era il quartiere italiano. Nel corso dei suoi quasi 150 anni di vita, St. Peter’s Church è sempre stata il punto di riferimento dei nostri connazionali sul Tamigi: ha ospitato concerti, grazie al magnifico organo di cui è dotata e che ha accompagnato anche il tenore Beniamino Gigli, e celebrato gli avvenimenti più importanti della comunità, dai battesimi ai funerali. Un monumento ricorda la tragedia dell’Arandora Star, la nave affondata nel 1940 da un sommergibile nazista, mentre trasportava gli italiani destinati dal governo inglese a un campo di internamento in Canada.

La chiesa di San Pietro è nota per le sue attività sociali. In Clerkenwell Road ha tuttora sede l’Associazione Parmigiani Valtaro, che raduna i discendenti degli emigrati dalla Val di Taro. Qui funzionava una sorta di ufficio di collocamento, dove la parrocchia forniva ai connazionali un aiuto per la ricerca di lavoro e il disbrigo delle pratiche, e assistenza ai più bisognosi. Ancora oggi anziani italiani vengono a giocare a carte, mentre giovani sbandati con problemi di droga trovano un pasto caldo e una parola di conforto.

In Clerkenwell Road arrivò nel 1971 per svolgervi attività pastorale uno strano parroco: giovane, maglione rosso, jeans e capelli lunghi, accento meridionale. Era Carmelo Di Giovanni, dei Padri Pallottini, l’ordine del fondatore della chiesa di St. Peter. Si erano appena sciolti i Beatles e la swinging London attirava molti ragazzi italiani in cerca di emozioni.

Il rock, le mode e i miti giovanili, l’aura di trasgressione, gli ideali di libertà messi a dura prova in Italia dagli scontri ideologici, erano come una calamita per ragazzi curiosi, intraprendenti, ma anche deboli, che si ritrovavano spaesati sui marciapiedi di Soho o di Piccadilly Circus, confusi, tentati, eccitati dalle droghe, spesso senza un posto dove andare. A decine si affacciavano allora all’uscio della Italian Church, a ogni ora del giorno e della notte, perché sapevano che lì qualcuno li avrebbe ascoltati.

Ad accoglierli c’era questo parroco che non li intimidiva e non li giudicava, perché era uno di loro. Un prete “di sinistra”, fresco di studi di Sociologia a Roma, che – come ha scritto in un libro pubblicato nel 1989, Eravamo terroristi. Lettere dal carcere – se non avesse fatto il prete sarebbe “diventato un terrorista”, tanto era forte il suo bisogno di giustizia.

Un prete che, mandato a Londra per punizione, perché considerato dai superiori una testa calda, la prima cosa che fa è bussare alla sede del Partito comunista italiano: salvo poi capire che i problemi non si risolvono abbattendo le “strutture”, ma “cambiando il cuore dell’uomo”. Parte da qui, Carmelo: dalla voglia di misurarsi con i mali del mondo. “Un prete – sostiene – non è uno che, finita la messa, ha esaurito il suo compito. Ma deve stare in mezzo alla gente, e prendere su di sé la condizione di servo, di ultimo sulla terra, come quel dio in cui crede, che si è annientato facendosi uomo”.

Ecco dunque il lavoro di assistenza ai detenuti italiani. Le carceri del Regno Unito, ancora oggi, ospitano ogni anno sei-settecento giovani condannati per vari crimini, soprattutto legati alla droga. Alla fine degli anni Settanta e dopo l’attentato alla stazione di Bologna del 1980, sono transitati nei penitenziari inglesi vari terroristi, di destra e di sinistra. Uomini in fuga che nella solitudine della prigione hanno avviato un percorso di dissociazione dalla lotta armata e in alcuni casi di purificazione spirituale, di conversione, seguito da padre Carmelo che ne ha raccolto il travaglio.Il piccolo prete entra in confidenza con loro. Alcuni sono autori di crimini orrendi, come Marco Barbone, nel 1980 a capo di un gruppo affiliato alle Brigate Rosse, condannato per l’assassinio del giornalista Walter Tobagi. O Arrigo Cavallina, altro protagonista degli anni di piombo, ideologo dei “Proletari armati per il comunismo”.

Il prete di Londra raccoglie nel libro citato le lettere di una quindicina di terroristi, giovani caduti nella spirale dell’odio per un’assurda adesione al furore ideologico che caratterizzava gli anni Settanta. “Si arriva a disegnare sull’asfalto la riga bianca, continua, della differenza, l’amico e il nemico”, scrive Cavallina. E una volta che riduci l’altro a “categoria nemica” non resta che l’abisso della violenza. I terroristi colpivano simboli, ma uccidevano persone.

Nel ’94 Carmelo Di Giovanni pubblica in un altro volume, Dal carcere di Londra, le lettere a lui indirizzate da giovani italiani reclusi nel Regno Unito, in genere tossicodipendenti e sieropositivi. Instancabile, il piccolo prete del sud ha girato una trentina di penitenziari, la maggior parte localizzata a Londra e dintorni, per portare conforto ai suoi ragazzi. Dalle lettere emergono episodi toccanti, come quelli dei giovani usciti a fatica dal tunnel della droga, e subito condannati dall’Aids. Come Moreno, che prima di morire scrive una poesia alla moglie. O come Franco, che da una comunità fuori Londra comunica a padre Carmelo di aver ritrovato la fede: “Ho ricevuto una forza interna, un qualcosa che non riesco a descrivere”.

E c’è Isabella, il cui ragazzo è stato trovato morto in un gabinetto della stazione di King’s Cross, luogo di ritrovo dei tossicodipendenti: “Rivivo tutti gli orrori che ho vissuto sulla mia pelle e sento un urlo salire dentro di me, un urlo di rabbia e di impotenza”. Un grido come quello di Munch, nella desolazione fredda di un ponte sul Tamigi, che solo il cappellano italiano delle carceri di Londra raccoglie. Un pastore buono che per le sue pecore smarrite – la scimmia sulla schiena, una vita allo sbando – non teme di sporcarsi le mani nei bassifondi dell’esistenza. “Dal 1985 in poi ho visto centinaia di giovani italiani a Londra morire nella più totale solitudine, ripudiati anche dalle famiglie. Celebravo fino a tre, quattro funerali a settimana”. E’ padre Carmelo che porta alle madri le ceneri dei figli morti di Aids. Lui che consola e convince.

Lui che lotta nella parrocchia per fare accettare agli emigrati la presenza di questi giovani emarginati, che vivono in strada e vengono a mangiare al centro diurno. Ed è la parrocchia a pagarne la retta alle comunità di recupero inglesi.
“Oggi l’emigrazione è cambiata”, dice. “A frequentare la parrocchia non sono più i figli degli emigrati, ormai inglesi a tutti gli effetti, ma i giovani italiani che lavorano nelle banche, nelle università, e fanno i medici, i professionisti o i camerieri.

E quei ragazzi, ancora molti, che arrivano dall’Italia già pieni di problemi, credendo che Londra possa offrire la soluzione, e invece si trovano a bussare alla chiesa. Infine ci sono i turisti, che non mancano di visitare la St. Peter’s Church, da cui se ne vanno commossi, per l’atmosfera che si respira”.
La comunità emiliana ha festeggiato padre Carmelo il 5 settembre 2007, quando il comune di Borgo Val di Taro gli ha concesso la cittadinanza onoraria, per essere il punto di riferimento per i parmensi di Londra, una delle comunità italiane più significative nel Regno Unito.

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