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16 Giugno 2015 | Archivio / Protagonisti

La stella emiliana del jazz

Ricordiamo Henghel Gualdi, il migliore clarinettista italiano, a dieci anni dalla sua morte

A cura di Claudio Bacilieri.

Cari ascoltatori, il «protagonista» di oggi ci sommergerà di musica, dal cielo dei musicisti dove ora brilla come la stella emiliana del jazz. Nato a Correggio nel 1924, ma più legato al confinante comune reggiano di San Martino in Rio, dov’è sepolto, Henghel Gualdi è un compositore e clarinettista. Specifichiamo: è considerato tra i più grandi, se non il più grande, clarinettista italiano. Lo ricordiamo a dieci anni dalla morte, avvenuta a Bologna il 16 giugno 2005.

La sua passione musicale sbocciò molto presto, grazie alla banda musicale “Luigi Asioli” di Correggio, dove suonava già a dieci anni con ottimi risultati. Seguirono poi gli studi al Conservatorio Achille Peri di Reggio Emilia sotto la guida del maestro Augusto Battaglia, e il conseguimento del diploma in clarinetto. Durante la seconda guerra mondiale, il giovane Henghel subisce il fascino delle big band americane. Le grandi orchestre di Glenn Miller e Tommy Dorsey gli fanno scoprire il meraviglioso mondo della musica jazz. Comincia allora la sua lunga carriera, che l’avrebbe consacrato come la stella del jazz-swing all’italiana.

La morte prematura del padre, anche lui musicista, nel 1947, lo rende responsabile della sua numerosa famiglia. Per guadagnare, va a suonare il liscio nelle balere di periferia. Nel 1948 fa il suo esordio nella scena jazz suonando il clarinetto in un concerto alla Sala Farnese del Comune di Bologna. In un concerto a Cortina D’Ampezzo il suo strumento incanta lo scrittore Ernest Hemingway venuto a sentirlo. A Milano suona con Rex Steward, il trombettista di Duke Ellington. Cominciano le sue collaborazioni con artisti del calibro di Bill Coleman, Chet Baker, Count Basie, Sidney Bechet, Albert Nicholas, Lionel Hampton, Teddy Wilson, Gerry Mulligan e  Louis Armstrong.

Nel 1954 vince un concorso radiofonico della Rai presentato da Nunzio Filogamo, davanti ad orchestre come quelle di Peppino Principe, Happy Boys di Nino Donzelli (in cui cantava Mina), Fred Buscaglione, Giovanni Fenati, Renato Carosone, Bruno Canfora. Tre anni dopo il “Benny Goodman Italiano” si conferma il miglior talento jazz del nostro paese, tanto da essere invitato dal maresciallo Tito a inaugurare lo stadio di Belgrado.

Dal 1962 al ’65 è direttore artistico dello Zecchino d’Oro di Bologna. Nel 1968 accompagna con la sua band Louis Armstrong al Festival di San Remo. Nel 1981 incontra il suo mito, Benny Goodman, venuto in Italia per incidere “Fantasma d’Amore”, un brano di Riz Ortolani peril film omonimo di Dino Risi. In quell’occasione Henghel Gualdi regala al grande maestro americano, virtuoso del clarinetto, il suo ultimo lavoro discografico dal titolo “Dedicato a Benny Goodman”.
Un concerto importante per Henghel Gualdi è quello al Memorial Clarinet di Riccione nel 1982, con Pupi Avati e Gianni Sanjust. Due anni dopo la sua San Martino in Rio gli conferisce la cittadinanza onoraria. Nel 1989 partecipa alla tournée americana di Luciano Pavarotti, dopo la quale riceve numerose richieste per suonare negli Stati Uniti, rifiutate per la paura di prendere l’aereo. A Rimini nel 1994 Henghel Gualdi suona per George Bush e Michail Gorbaciov, mentre nel 1996 è un altro clarinettista, il regista Woody Allen, a trattenerlo per un’ora chiedendogli consigli sullo strumento.

L’attività concertistica di Henghel Gualdi prosegue sino al 2005 accanto a musicisti quali il cubano Paquito D’Rivera e  il celebre flautista italiano Andrea Griminelli. Nell’ultimo periodo partecipa a Umbria Jazz e altri festival. Si reca spesso a Cattolica per insegnare ai giovani l’amore per la musica jazz. Poco prima di morire nella sua casa di Bologna, riceve la bandiera tricolore dal Comune di Reggio Emilia che lo annovera tra i personaggi illustri. Da sei anni è ricordato in un festival della provincia bolognese, l’“Anzola Jazz Festival Henghel Gualdi”.

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