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27 Settembre 2011 | Archivio / Protagonisti

Ciro Menotti, un giovane imprenditore

I protagonisti emiliano-romagnoli del Risorgimento

A cura di Paola Fedriga e Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

27 settembre 2011

Cari ascoltatori, oggi vi parliamo di un giovane imprenditore modenese che fu il primo a introdurre nel Ducato di Modena la macchina  a vapore. Carbonaro, fu fautore di un programma monarchico-costituzionale e guidò i moti del 1831 che da Modena si allargarono a tutta la regione. Per questo il duca Francesco IV lo fece impiccare sui bastioni della città.

Ciro Menotti nasce nel 1798 a Migliarina di Carpi, cittadino della Repubblica Cisalpina, per diventare, dal 1802, cittadino della Repubblica Italiana, presidente Napoleone Bonaparte. Dai sette anni ai sedici anni è suddito del Regno d’Italia, con Napoleone come re. Nel 1815 il Congresso di Vienna sancisce il ritorno negli stati italiani delle vecchie famiglie regnanti. Ciro è così suddito del Ducato di Modena e Reggio e di Francesco IV d’Asburgo Este. 
Menotti proviene da una famiglia di commercianti e imprenditori; il padre arriva a impiegare nella sua industria di lavorazione del truciolo di paglia più di mille lavoratori. Lo chiamano il “grande pagliaro”. Il giovane Ciro è audace e intraprendente: prima di tornare a lavorare con il padre, apre con esiti alterni un’agenzia di spedizioni, una fonderia, un opificio per la filatura della seta e una distilleria in cui, per la prima volta nel Ducato, impiega una macchina a vapore.
Cresciuto “duchista”, si avvicina alle idee liberali; è comunque un moderato che non sogna rivoluzioni, ma una monarchia rappresentativa e costituzionale, sotto il vessillo della religione. La sua presa di coscienza politica coincide con quella della parte più avvertita della borghesia cittadina, consapevole che la vecchia organizzazione statuale non è più in sintonia con le nuove idee di progresso e modernità. 

I primi moti
La repressione dei moti produce un’ondata di emigrazione politica verso Svizzera, Francia e Inghilterra. Anche Menotti, sospettato di aver diffuso un proclama ai soldati ungheresi di passaggio per andare a reprimere gli insorgenti napoletani, è arrestato, ma successivamente rilasciato.
La fine del 1830 e gli inizi del 1831 vedono una ripresa del movimento liberale stimolata dagli avvenimenti che, nel luglio 1830, hanno portato al potere in Francia  Luigi Filippo D’Orleans. Luigi Filippo, re dei francesi, proclama il principio del non intervento negli affari interni degli Stati.
Le sette segrete costituiscono ormai un mondo brulicante e mutevole, diviso per ideali e per fini, per strategia e radicamento sociale, ma che, dai fallimenti del ’20-’21, ha imparato a ragionare in termini europei e a cercare di evitare per quanto possibile i motivi di disunione.
Sin dal 1829 Ciro Menotti entra in contatto con la cosiddetta “congiura estense” la cui anima è rappresentata dall’avvocato Enrico Misley, uomo “scellerato e finto, ma di talento”, affarista e faccendiere per conto dello stesso duca. Misley aveva elaborato un progetto di insurrezione basato su una sorta di collaborazione tra il duca e le fazioni liberali disposte a riconoscerlo come sovrano di un territorio allargato anche al Regno di Sardegna. Un progetto a dir poco fantasioso che giocava ambiguamente sulla sete di potere del duca, stanco di regnare su un “guscio di castagna”, e sul pragmatismo dei liberali. Menotti, per conto di Misley che si trova a Parigi, estende le trame cospirative a Bologna, Firenze, Mantova, Parma.   

L’insurrezione e la condanna
Se la congiura estense è una sorta di partita a scacchi tra i liberali e il duca, a quest’ultimo tocca la (prevedibile) mossa finale. Venuto a conoscenza dei preparativi dell’insurrezione, la sera del 3 febbraio 1831, Francesco IV fa circondare la casa in corso Canalgrande in cui Menotti ha riunito una quarantina di patrioti. Dopo una breve resistenza, vengono tutti arrestati.
Il moto esplode comunque e il duca, impaurito, fugge a Mantova piazzaforte austriaca, portando con sé Menotti come un trofeo. A Modena e a Reggio si formano governi provvisori. La rivolta dilaga da Parma a Bologna e alle Legazioni, dall’Umbria alle Marche, ma la situazione internazionale non è più favorevole. Francesco IV, con l’aiuto dell’esercito austriaco, torna a Modena già il 9 marzo, scatenando una fortissima repressione.
Gli atti del processo a Menotti e ai suoi compagni sono andati perduti. Sappiamo che il Tribunale militare pronuncia 212 condanne, di cui 36 a morte. Misley si salva (il che non depone a favore della limpidezza del ruolo da lui giocato), mentre Ciro Menotti è condannato all’impiccagione. La sentenza verrà eseguita il 26 maggio 1831 sui bastioni della cittadella di Modena. Insieme a lui viene impiccato il notaio Vincenzo Borelli, colpevole di aver rogato l’atto di decadenza del duca.
Prima di morire Menotti indirizza alla moglie Francesca una lettera, che ora vi leggiamo, ritrovata negli archivi della polizia in occasione dei moti del ’48. Il nome di Menotti percorre intero il Risorgimento italiano. La Giovine Italia, che annovera tra i fondatori il fratello Celeste, adotta la sua parola d’ordine “indipendenza, unione e libertà”; Garibaldi chiama  Menotti il primo figlio. 

CITAZIONI

La lettera di Ciro Menotti alla moglie Francesca Moreali, scritta la notte tra il 25 e il 26 maggio 1831, alla vigilia della sua esecuzione.

“Carissima moglie,
La tua virtù e la tua religione siano teco e ti assistino nel ricevere che darai questo mio foglio. Sono le ultime parole dell’infelice tuo Ciro. Egli ti rivedrà in beato soggiorno. Vivi ai figli e fa loro anche da padre: ne hai tutti i requisiti. Il supremo amoroso comando che impongo al tuo cuore è quello di non abbandonarti al dolore. Studia di vincerlo e pensa chi è che lo suggerisce e consiglia. Non resterai che orbata di un corpo che pur doveva soggiacere al suo fine: l’anima sarà teco unita per tutta l’eternità. Pensa ai figli e in essi continua a vedere il loro genitore, e quando saranno adulti, dà loro a conoscere quanto io amava la patria. Fosti l’interprete del mio congedo colla famiglia. Io muoio col nome di tutti nel cuore e la mia Cecchina ne invade la miglior parte. Non ti spaventi l’idea dell’immatura mia fine. Iddio che mi accorda forza e coraggio per incontrarla come la mercede del giusto, Iddio mi aiuterà al fatale momento. Il dirti d’incamminare i figli sulla strada dell’onore e della virtù, è dirti ciò che hai sempre fatto: ma te lo dico perché sappiano che tale era l’intenzione del padre, e così obbedienti rispetteranno la sua memoria. Non lasciarti opprimere dal cordoglio, tutti dobbiamo quaggiù morire. Ti mando una ciocca de’ miei capelli: sarà una memoria di famiglia. Oh buon Dio!quanti infelici per colpa mia! Ma mi perdonerete. Do l’ultimo bacio ai figli: non oso individuarli perché troppo mi angustierei: tutti quattro, e i genitori, e l’ottimo nonna, la cara sorella Virginia e Celeste: insomma dal primo all’ultimo vi ho presenti. Addio per sempre Cecchina. Sarai finché vivi una buona madre de’ miei figli. In questo ultimo tremendo momento le cose di questo mondo non sono più per me. Speravo molto; il sovrano … ma non sono più di questo mondo. Addio con tutto il cuore: addio per sempre: ama sempre il tuo Ciro.”

Brano corrente

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