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8 Novembre 2011 | Archivio / Protagonisti

Giuseppe Compagnoni, l’inventore del Tricolore

Fu lui a scrivere il verbale della storica seduta del 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

8 novembre 2011

Cari ascoltatori, proseguiamo le nostre puntate “risorgimentali” con un profilo di Giuseppe Compagnoni, uno dei padri del Tricolore. Fu sua, infatti, la mano che scrisse il verbale della storica seduta del 7 gennaio 1797 nella quale venne adottato, su sua proposta, il tricolore come bandiera della Repubblica Cispadana. Compagnoni non fu solo il padre del tricolore, ma anche  il primo a teorizzare un ordinamento giuridico fondato sulla sovranità popolare e a parlare di Repubblica parlamentare democratica, di indipendenza dello Stato dalla Chiesa, di parità tra uomo e donna.

Giuseppe Compagnoni nasce nel 1754 a Lugo di Romagna. Dotato di una intelligenza brillante e versatile, le sue ambizioni di promozione sociale si scontrano con le ristrettezze della famiglia e il giovane Giuseppe deve adottare la soluzione classica: accantonati gli studi di giurisprudenza, all’età di 24 anni si laurea in teologia e viene ordinato sacerdote.  Ma i suoi interessi sono tutt’altro che dottrinali. Collabora al settimanale bolognese di novità letterarie  Memorie enciclopediche e  nel 1785 ne diventa per breve tempo direttore. Si trasferisce a Bologna, dove  inizia un’intensa attività di giornalista, letterato e scrittore (nelle Memorie si autodefinirà  un “ furioso scribacchiatore” ). Nel 1786, alla ricerca di un impiego sicuro, entra come segretario al servizio della famiglia ferrarese dei Bentivoglio d’Aragona, che segue a Ferrara, Torino e, nel 1787, a Venezia, città in cui vive per una decina d’anni. Qui entra in contatto con il gran mondo cittadino e intreccia molte relazioni. La più stretta è con Vincenzo Dandolo, chimico, agronomo e politico, che gli sarà amico per tutta la vita. Nel 1788 si licenzia e accetta l’invito a dirigere il bisettimanale Notizie del mondo, una rivista di taglio conservatore, ma non ostile ai fermenti innovatori. Compagnoni la rivitalizza, dimostrando ottime doti di giornalista e divulgatore politico. La censura veneziana non è dello stesso avviso: “ Il censore  aveva consumato tanta matita rossa che non era forse più leggibile “ scrive Compagnoni a proposito dei tagli subiti da un suo testo. Politicamente è ancora un sostenitore del dispotismo illuminato di Giuseppe II d’Asburgo, ma capisce che qualcosa di molto importante sta succedendo a Parigi. Smette l’abito talare e intanto scrive di tutto e su tutto: da un poemetto sulle grotte del Carso, a un manuale di chimica per le donne, che ha molto successo anche all’estero. Nel  1796 fonda il Mercurio d’Italia, pubblicazione mensile, ma nello stesso anno lascia Venezia, accettando l’incarico di segretario dell’amministrazione centrale del ferrarese.

Deputato e costituzionalista

Nel triennio 1796-1799 l’ ancien régime della penisola è travolto dalla vittoriosa offensiva francese e dal nuovo assetto repubblicano imposto da Napoleone. E’ un periodo esaltante  e tumultuoso. Anche Compagnoni si sposta su posizioni decisamente progressiste e giacobine: Napoleone  diventa il nuovo riferimento del suo credo politico, il simbolo di uno stato forte ed efficiente, in grado di operare le giuste riforme per il benessere dei cittadini. Deputato di Ferrara al Congresso fondativo della Repubblica Cispadana, non si limita a proporre l’adozione del tricolore, ma partecipa all’elaborazione della nuova Costituzione, da cui ottiene che vengano esclusi gli articoli riguardanti la religione. Nel 1797 l’amministrazione repubblicana gli assegna a Ferrara la prima cattedra italiana di diritto costituzionale; deve abbandonare quasi subito l’insegnamento per il boicottaggio del clero, ma due mesi dopo pubblica a Venezia gli Elementi di diritto costituzionale democratico, un testo importante e anticipatore, in cui si sforza di costruire un nuovo linguaggio giuridico. Non a caso verrà più tardi dato alle fiamme dagli austriaci.

Funzionario napoleonico e scrittore

Nel 1799, in seguito all’unificazione delle Repubbliche Cispadana e Cisalpina, Compagnoni si trasferisce a Milano, dove è deputato all’Assemblea legislativa;  nello stesso anno fonda Il Monitore cisalpino, testata filo-napoleonica e governativa. Il 1799 è anche l’anno della controffensiva austriaca e Compagnoni si rifugia in Francia. Per mantenersi, scrive Le veglie del Tasso, un poemetto che tutti considerano come un documento autentico del poeta e che, svelata “l’impostura innocente”,  gli procura fama e denaro. Tornato a Milano nel 1800 dopo la vittoria di Napoleone a Marengo,  Compagnoni, sempre più apprezzato come giurista, è segretario del Consiglio legislativo dal 1803 al 1810 e membro della commissione di riforma dei codici penale, militare e commerciale. Alla caduta di Napoleone, ormai sessantenne, rimane a Milano, dove vive del proprio lavoro di giornalista e poligrafo. Scrive, tra l’altro, una Storia d’America in 29 volumi che aggiunge ai suoi molti primati anche quello di essere stato uno dei primi americanisti italiani.  Muore nel 1833.

Vi leggiamo, in conclusione, due suoi testi, uno sulla Rivoluzione francese e l’altro sulla religione. 

Giuseppe Compagnoni  e la  Rivoluzione francese

 “La Francia da due anni presenta all’Europa uno spettacolo unico negli annali del genere umano, e la cui novità desta a ragione la comune sorpresa. Errori d’ogni maniera hanno fatto nascere una rivoluzione che mettendo sottosopra tutto, come una di quelle grandi crisi che la natura ha sofferto, prepara un ordine nuovo di cose che saranno grande argomento alla storia … Un grande edificio opera di quindici secoli si è improvvisamente diroccato; e si tratta di erigerne un altro al suo posto. Un’immensa turba di operai vi lavora dietro con entusiasmo; una congerie di materiali è pronta. Lo strepito assorda da ogni parte; acceca la polvere dall’altra: invano si tenterebbe per ora di giudicare dell’opera …”

(Tratto da “Giuseppe Compagnoni,  Prospetto politico dell’anno 1790, Venezia )

 Compagnoni al Congresso Cispadano di Modena sulla religione

Modena, 25 gennaio 1797  “Voi siete impegnati a dare al Popolo Cispadano una costituzione democratica fondata sui principi della Libertà e della uguaglianza.( …) E’ la Religione un rapporto dell’uomo con Dio, non un rapporto dell’uomo coll’Uomo. (…) Pertanto se la Legislazione non può violentare le coscienze, essa dunque è costretta a rispettare la libertà de’ cittadini in fatto di Religione. Ma non la rispetterebbe se nella Costituzione  ne proclamasse una.(…) dunque sull’Articolo della Religione noi dobbiamo tacere. Siccome a ciò ci obbliga il principio della libertà; così pure ci obbliga a ciò del pari quello dell’uguaglianza. Una Religione costituzionalmente proclamata diventa una Religione dominante; ed è intrinseca condizione di una Religione dominante l’ottenere diversi essenzialissimi diritti sopra qualunque altra, che pur venga nel medesimo Stato tollerata”.

(dal discorso tenuto al Congresso cispadano di Modena citato in Sante Medri, a cura di, Giuseppe Compagnoni. Un intellettuale tra giacobinismo e restaurazione, Bologna, Edizioni Analisi, 1993, p.101).

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