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13 Gennaio 2015 | Archivio / Protagonisti

Il primo Strauss della Romagna

Tra Otto e Novecento Carlo Brighi rese le musiche colte della Mitteleuropa, valzer e polke, adatte ad essere ballate non in splendide sale piene di specchi, ma nei cameroni male illuminati da lampade a petrolio. Così nacque il “liscio”.

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Paolo Rambaldi.

“Le coppie passavano dinnanzi, quando la musica batteva le note vorticose di un valzer, come un baleno, e finito il ballo le signore si gettavano sui divani ansanti, pallide e cogli occhi pieni di languore”. Questa è la cronaca, pubblicata su L’Avvenire del 24 agosto 1890, di una festa da ballo a Rimini, nel pieno della Belle Epoque romagnola inaugurata con l’apertura dei primi stabilimenti balneari una ventina di anni prima.

La colonna sonora della nuova voglia di vivere della Romagna tra Otto e Novecento era scandita dalle orchestrine di pochi elementi che suonavano nei caffè-concerto, nei villini e nelle piattaforme sul mare, nei circoli socialisti, nelle campagne, nelle feste patronali.

L’orchestrina più famosa era quella di Carlo Brighi detto Zaclèn, anatroccolo, per la sua passione per la caccia alle anatre. Fu lui a far ballare abbracciati un uomo e una donna per la prima volta, in Romagna e in Italia. Prima dei valzer di Zaclèn, i romagnoli non avevano un ballo tipico, se non il saltarello, che comunque era derivato dall’Italia centrale, e ballavano come tutti gli altri italiani la manfrina, la quadriglia, il trescone, cioè i balli saltati di gruppo, dove il cavaliere e la dama nemmeno si sfioravano. Le danze erano una delle poche occasioni di corteggiamento. Prima di Zaclèn, un ragazzo per dichiararsi a una ragazza doveva ricorrere al prete o a un altro mediatore, o sfruttare il momento della danza per far arrivare il messaggio; la ragazza, per non offenderlo o per non farsi vedere avventata, doveva rispondere “Av ringrezi e av darò l’arposta” (vi ringrazio e vi darò la risposta).

Poi arrivò Carlo Brighi. Un ragazzo, nato nel 1853 in una piccola frazione, Fiumicino, del comune di Savignano sul Rubicone, toccato dal sacro fuoco della musica. Ogni giorno andava a piedi a Cesena per prendere lezioni di violino, e quando tornava, la sera, gli sgorgavano facili le melodie che avrebbe poi irrobustito completando gli studi presso un maestro di banda e, soprattutto, facendosi le ossa con vari complessi orchestrali fino ad arrivare ad essere diretto da Arturo Toscanini. I primi ballabili li scrisse di notte fischiettandoli nel buio della stanza, dopo aver lasciato l’orchestra prestigiosa di Toscanini per diffondere una musica tutta sua, che faceva incontrare la cultura mitteleuropea del valzer con la musica suonata nelle aie che si portava nel cuore. E’ il “liscio” delle origini, quello di Zaclèn: il vero inventore di questo genere, erroneamente attribuito all’estro di Secondo Casadei. In realtà, l’autore di Romagna mia fu l’erede di Zaclèn, dal quale orecchiò il mood, per dirla all’inglese, avendo suonato come secondo violino nell’orchestra che Emilio Brighi rilevò dal padre Carlo dopo la sua morte nel 1915.

Secondo Casadei nel 1928 diede avvio alla sua celebre orchestra portando il liscio romagnolo all’affermazione internazionale, finché negli anni Settanta Raoul Casadei lo commercializzò come musica da balera, che col tempo si sarebbe fatta sempre più stereotipata. Oggi il liscio vive la crisi di una musica statica, che non ha saputo ripartire dalle origini per confrontarsi con la contemporaneità, com’è accaduto, ad esempio, alla pizzica salentina o alla musica grecanica. Ci vorrebbe per il liscio un talento come quello dell’organettista Riccardo Tesi, che si è creativamente accostato alle musiche tradizionali dell’Appennino bolognese per fonderle con i nuovi linguaggi espressivi. Carlo Brighi fu un artista che oggi chiameremmo “glocal”, globale e locale. La sua operazione fu quella di prendere il modello culturale universale della raffinata borghesia viennese – il valzer di Strauss, che aveva sostituito gli asfittici balli di corte settecenteschi – e declinarlo “alla romagnola”, secondo i gusti di un pubblico di piccoli borghesi, lavoratori e contadini che affollava le sale da ballo, i circoli cittadini, le sezioni dei partiti, le feste campestri, gli stabilimenti balneari. Che una musica del genere potesse nascere solo in Romagna non è casuale. Nell’Ottocento la Romagna, scrollatasi di dosso l’occhiuta vigilanza papalina, aveva liberato la sua vena anarchica e progressista riempiendo il territorio di circoli ricreativi e politici, e moltiplicando le occasioni di svago e di ballo nelle osterie, nei teatri, nelle sedi associative.

Socialista convinto, amico di Andrea Costa, Carlo Brighi trasformò in popolari le musiche colte della Mitteleuropa, valzer, polke, mazurche. Le rese più veloci, adatte ad essere ballate non nelle splendide sale piene di specchi di Schönbrunn, ma nei cameroni (cambaroun) malamente illuminati da lampade a petrolio, progenitori delle balere romagnole. Il liscio – così detto perché richiama il suono strisciato dei piedi al suolo – nasce dunque come versione popolare e romagnola delle briose arie viennesi, sporcate con il sudore dei salti e delle acrobazie imparati nelle aie con la pula sotto i piedi o nei circoli repubblicani o socialisti tra un bicchiere di vino e un proclama politico.

“Due violini primi, un violino secondo, una chitarra, un contrabbasso e un clarinetto gorgheggiante a orecchio come un usignolo. Zaclèn, con i suoi valzer travolgenti faceva impazzire i ballerini. L’orchestra suonava senza musica. Il violino inventava il controcanto con una fantasia inesauribile. Il contrabbasso batteva il tempo sulla corda con il fragore di una cannonata”, racconta lo scrittore romagnolo Rino Alessi, per il quale il massimo della felicità era ballare il valzer “cun e Zaclèn” abbracciati a una “bela mora”. Dopo una dura giornata di lavoro, arrivava per i nostri nonni e bisnonni il momento magico. I ballerini guardavano l’orchestra e gridavano: taca, Zaclèn! Lui, i capelli unti di piuppen, l’antenato della brillantina, con tre colpi di tacco lanciava ai musicisti il segnale di apertura delle danze.  Era talmente amato, che nel decimo anniversario della morte il sindacato fascista di una frazione di Forlì ospitò una festa danzante e commemorativa, nonostante la nota militanza socialista di Brighi. E per la prolusione, i fascisti chiamarono Aldo Spallicci, ammiratore di Zaclèn, medico, storico della Romagna antifascista convinto, arrestato l’anno dopo e più tardi condannato al confino.

Nelle Raccolte Piancastelli della Biblioteca Comunale di Forlì sono custoditi gli spartiti dello Strauss della Romagna. Annotati con cura o frettolosamente a matita, ancora sporchi dei segni dei bicchieri, sono 831: quelli che restano delle circa 1200 composizioni che hanno fatto ballare dal 1870 ai primi anni del Novecento il popolo di Romagna.

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