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5 Luglio 2011 | Archivio / Protagonisti

L’uomo che sussurrava alle pietre

Luigi Fantini, lo speleologo che riavvolse all’indietro il nastro della vita sulla terra

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

5 luglio 2011

Il suo destino era segnato nelle pietre. Nato nel 1895 di fronte alle grotte del Farneto, nell’Appennino bolognese, con solo la licenza elementare in tasca Luigi Fantini divenne un appassionato speleologo, dilettante ma capace di costringere gli scienziati, che di lui diffidavano per i  modi poco accademici, a retrodatare l’età della terra.
Frugava tra le pietre, le cercava lungo i greti dei fiumi e dentro gli antri gessosi della Val di Zena, se le portava a casa dentro sacchi di canapa che poi ammonticchiava lungo le pareti. Sul Monte delle Formiche Luigi Fantini trovò reperti preistorici, sassi sagomati che venivano scheggiati per tagliare o usati per piantare. Trovarsi in mano oggetti di molte migliaia di anni fa, gli dava i brividi, un’emozione unica.

Tutto cominciò da giovane, quando alla Croara, poco fuori Bologna, si imbatté in alcuni manufatti preistorici. Da quel momento comincia a esplorare la zona dei Gessi, fino a fondare nel 1932 con alcuni amici il Gruppo Speleologico Bolognese, cui si deve la scoperta della Grotta della Spipola, una tra le maggiori cavità europee nel gesso. Sarà poi il professor Gortani dell’Istituto di Geologia dell’Università di Bologna a finanziare le esplorazioni nella Spipola, che Fantini documenta con la sua macchina fotografica.

Nella grotta raccoglie i minerali che sono oggi esposti nei musei universitari. Nel 1936 i soci del gruppo speleologico aprono la Spipola al pubblico. Fino al 1942 Fantini continua a impressionare fotografie, tornando in continuazione presso il Monte delle Formiche per avvalorare una sua convinzione che l’avrebbe poi accompagnato come un’ossessione fino alla morte: era certo che l’inizio della vita sulla terra si dovesse retrodatare di almeno un milione di anni, rispetto ai calcoli fatti dagli scienziati.

Quei reperti che aveva trovato sulla cima del monte, era convinto fossero utensili usati dalle popolazioni preistoriche che vivevano sulla riva del fiume che allora sommergeva il Monte delle Formiche. Tesi ardita, se non pazza, secondo gli scienziati. Chi poteva credere a quel dilettante eccentrico, con in testa un cappello floscio, al limite della macchietta, che sussurrava alle pietre?

Come sempre accade in vicende come questa, Fantini fece in tempo a morire, nel 1978, sepolto sul Monte delle Formiche (se non lì, dove?), senza che gli venisse riconosciuta l’intuizione. Ma poco dopo alcuni scienziati scoprono in Kenia uno scenario che è la fotocopia di quello trovato e interpretato da Fantini nella sua Val di Zena. Si rifanno i calcoli e si scopre che, sì, è vero: l’umanità è più vecchia di quanto si credesse, di almeno un milione d’anni, proprio come riteneva lo speleologo bolognese.

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