6 novembre 2012
Una mostra al MAR di Ravenna, il museo d’arte della città, rende omaggio in questi giorni, e fino al 9 dicembre, a Carlo Corsi, pittore nato a Nizza nel 1879 e vissuto a Bologna, dove morì nel 1966. Chiamato per questo “il francese di Bologna”, Corsi attira la nostra attenzione non soltanto per la sua grande sensibilità pittorica, ma anche perché abbiamo scoperto che su di lui svolse la sua tesi di laurea la mai abbastanza compianta Francesca Alinovi, straordinaria critica d’arte dalla breve vita, spezzata in un tristissimo giorno della primavera del 1983 da una mano assassina.
Stupisce un po’ che la tesi della giovane critica di Parma, laureata in lettere moderne all’Università di Bologna con Francesco Arcangeli come relatore, riguardasse Carlo Corsi, artista di scelte sorprendenti, ma lontano dalla fascinazione avanguardistica e “enfatista” che avrebbe poi caratterizzato gli amori artistici di Francesca Alinovi, che infatti subito dopo, per il perfezionamento, scelse Piero Manzoni. E’ interessante vedere come, nel suo scritto giovanile, l’Alinovi cerchi di dare una lettura diversa del lavoro artistico di Corsi, sottraendolo alle interpretazioni “post-impressioniste”, per non dire “borghesi”, che a lungo l’hanno relegato in una visione ancora fortemente intrisa delle tematiche passate, impedendo di coglierne gli elementi di novità.
Carlo Corsi rimane uno dei maestri bolognesi più importanti del primo Novecento, per quanto la sua formazione sia legata alle grandi scuole dell’Ottocento, impressionismo e simbolismo, arrivando però ad incrociare – e qui sta la sua modernità – le atmosfere postimpressioniste, cubiste e “fauves” della “scuola di Parigi”. Da Nizza Corsi si trasferì prima a Bologna e poi a Torino per frequentare l’Accademia di Belle Arti, dove entrò in contatto con Giacomo Grosso, pittore pompier, accademico e stilisticamente conservatore, di cui per fortuna non seguì l’esempio. Nel 1912 Corsi fu invitato alla Biennale di Venezia, alla quale parteciperà più volte, così come partecipò a tutte le edizioni della Secessione Romana e ad esposizioni internazionali a Monaco e a San Francisco.
Corsi è stato un poeta del colore che ha vissuto nella Bologna dominata dalla figura di Giorgio Morandi. E se pure fu sostenuto dalle più autorevoli voci della critica – da Valsecchi ad Arcangeli, da Pallucchini a Raimondi, per citarne solo alcune- la sua fortuna critica è stata altalenante.
Senza rinunciare a tratteggiare la figura, poiché la figurazione era il clima in cui si era formato, Corsi si sforzò di andare oltre l’accademia per rappresentare uomini e donne dentro un tempo di forti mutazioni, che era quello della modernità, e cioè di una pittura libera, espressiva, autonoma, gestuale e coloristica. Non si accontentò delle sue eleganti figure femminili “alla francese”, per le quali era apprezzato dal pubblico, ma estremizzò il suo stile, come compresero Francesco Arcangeli e la sua allieva Francesca Alinovi, sperimentando nuovi esiti.
«Tutto questo è frutto – ha scritto Daniela Bellotti su Art Journal – della “straordinaria stagione che inizia nel ’47 dei “collages”, ma anche (di) quella precedente e più difficilmente misurabile evoluzione che fin dalla metà degli anni Venti avviene all’interno della pittura, dove scompare la linea e la materia passa in un continuum visivo mosso tra figure e sfondo in un’unica superficie osmotica, vibrante di luce e di energia. Tutto comunica per onde e scie di sostanza trasparente e luminosa, quasi una trasposizione per immagine delle invisibili, mirabili trasmissioni che attraverso l’aria e gli spazi infiniti portavano la comunicazione, la grande scoperta del suo concittadino Guglielmo Marconi.
Questo stile, dai più considerato come una estremizzazione della prima maniera, si conquistò l’attenzione di Francesco Arcangeli, che comprese che si trattava di una strada a se stante, ancora differente rispetto a quella dell’Ultimo naturalismo, una opzione che passava attraverso la figura umana, anzi attraverso la figura femminile in un’immersione abbagliante nel paesaggio che Corsi da un certo momento in poi non descrive più, ma sente, come respiro vitale ed espansione nello spazio. Questo momento è assolutamente precoce, e indica uno sviluppo autonomo dello stile verso il risultato più “informale”, colto nella percezione dello sfaldamento dell’essere umano in una visione universale della realtà, cui Corsi giunge in virtù di una sua sensibilità acuita da delusioni e isolamento, in anni difficili, già durante il ventennio fascista».