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6 Aprile 2017 | Racconti d'autore

Guida narrativa di Cavriago

“Gli abitanti raccontano il loro paese”: testi tratti dal libro omonimo curato da Giuseppe Caliceti (Cavriago, Multiplo, 2016)

A cura di Vittorio Ferorelli. Lettura di Alessia Del Bianco

Raccontare i luoghi, i personaggi, gli eventi piccoli e grandi del loro paese, per comporre un’opera collettiva: con questo spirito, a Cavriago, nel Reggiano, sono stati chiamati a concorrere tutti gli abitanti. Il libro che raccoglie le loro voci è stato curato dallo scrittore e docente Giuseppe Caliceti.

Abitanti
Io ho lavorato come trenaio, cioè come macchinista di treni. A me piace girare intorno a Cavriago. Camminare nei campi, sulle carraie. Andare dove ci sono i pozzi. Dove c’erano i pozzi, una volta, si facevano sempre degli incontri, delle riunioni. C’erano dei sentieri che collegavano i pozzi. Ci si andava anche in bicicletta, su questi sentieri. A me, a Cavriago, se devo dire la verità, non c’è niente che piace particolarmente. Insomma, la cosa che mi piace veramente non sono i luoghi, ma è la gente: sono gli abitanti di Cavriago. Di luoghi di Cavriago non apprezzo niente di particolare, apprezzo solo la gente. Tutta la gente.
William Vitali, 79 anni, pensionato, ex macchinista di treni

Artino Arduini
Artino Arduini sulla carta di identità aveva scritto inventore. Andò in anagrafe in comune e chiese che ci fosse scritto così e lo accontentarono. Abitava nella zona di Pratonera. Artino faceva i suoi esperimenti all’epoca della guerra. Cercava di scoprire il moto perpetuo. Le sue invenzioni però non funzionavano perciò penso che per campare facesse qualche altro lavoro, ma non so quale. A ogni modo, Artino sapeva che mio nonno lavorava come disegnatore tecnico, chiese a mio nonno di disegnare i progetti per le sue invenzioni da portare all’ufficio brevetti di Reggio Emilia. Lui fece principalmente tre invenzioni. Sono degli insiemi di molle, eliche e robe così che lui installava su un’automobile, poi la faceva muovere, in questo modo le eliche e le molle si mettevano in movimento anche loro e lui pensava in questo modo che si potessero muovere all’infinito. Le sue invenzioni sono brevettate, almeno alcune. Queste tre strutture sono simili. Ci sono anche delle foto. Il vento faceva muovere l’elica e partendo da questa spinta iniziale il macchinario avrebbe dovuto mantenere il moto perpetuo. Faceva questi esperimenti sullo stradone del Ghiardo. Ma in fisica hanno dimostrato che il moto perpetuo non esiste. Voleva far continuare ad andare avanti questo movimento, ma non riusciva: gli attriti alla fine lo fermavano. Brevettò questi tre marchingegni che alla fine non servivano a niente. Un’elica enorme collegata a dei tiranti, cose stranissime. Brevetti inutili, insomma. Il terzo progetto lo disegnò mio nonno. Lo disegnò su un foglio grande. All’ufficio brevetti dissero che accettavano solo disegni di formato A4. Mio nonno dovette rimpicciolire tutto il disegno. Artino era un intellettuale che cercava di fare lo scienziato. “Se si muove è nulla, se sta fermo è tutto”, questo era un suo motto. O il contrario: “Se sta fermo è tutto, se si muove è nulla”. Questo nel primo dopoguerra. Il suo motto stava a significare, secondo lui, che se tutte le forze erano in atto, si controbilanciavano, si annullavano, perciò per funzionare il suo moto perpetuo doveva stare tutto fermo. Un’altra frase diceva: “Certe mattine mi sento matto matto, certe mattine mi sento savio savio, certe mattine mi sento genio genio”. Era già adulto quando mio nonno era un ragazzo. E mio nonno era del ’21. Negli ultimi anni di vita Artino si buttò nello studio della meteorologia. Ma sempre a modo suo, cioè senza prenderci mai. Artino frequentava il Bar Garibaldi e disse: “Ci sarà un inverno mite”. Fu così mite che davanti al bar gli fecero una statua di neve con scritto sopra “inverno mite”.
Dario Ferrari Lazzarini, 23 anni, studente

Benzinaio
Lì al benzinaio vicino al bar Milano, all’inizio di Cavriago, io e mia moglie ci siamo dati il primo bacio.
Enea Ferrari, 65 anni, pensionato, ex artigiano

Busto di Lenin
Sul Busto di Lenin io posso dire che per me ci sta bene qui a Cavriago. Perché Cavriago nel 1919 ha fatto quello che ha fatto. Questa offerta all’Unione Sovietica. E insomma, la Storia è Storia. Non va cancellata. Indipendentemente dalle ideologie.
Gianfranco Borghi, 76 anni, pensionato, ex agente di commercio

Casa protetta
Noi siamo qui nella Casa Protetta di Cavriago che è del comune. Una casa per gli anziani. Abbiamo una camera in due. Mangiamo insieme. Mangiamo benissimo, tutti nella stessa stanza. Facciamo anche la colazione insieme. Qui dentro si mangia bene e c’è anche pulizia e igiene. Però possono venirci solo gli anziani di Cavriago. Noi qui siamo in trenta e più secondo me. Perché ce ne sono poi degli altri anche al piano giù. Quelli che ci sono sempre. Qui invece ci sono quelli che stanno sempre qui ma anche quelli che vanno a casa a dormire e dopo tornano qui. A me per esempio mi porta al mattino mio nipote quando va in ufficio e mangio e dopo torno a casa perché io sono pericolosa a cadere, mi sono già rotta tre volte le anche.
Ada Pioli, 86 anni, pensionata, ex contadina

Colombi viaggiatori
Mio padre si chiamava Mario e ha sempre fatto viaggiare i colombi viaggiatori. Andavano anche in Sicilia. Ha fatto anche un primo e un secondo posto nazionale, cioè primo tra i colombai di tutta Italia. In treno o in camion portavano i piccioni in Sicilia, alle 5 o alle 6 del mattino aprivano tutti le gabbie insieme e loro dovevano tornare a casa. Ma tornare dalla Sicilia. Perché avevano aperto le gabbie in Sicilia. E loro, i colombi, i nostri colombi, dovevano ritornare a casa. Io mi ricordo quando i nostri colombi hanno vinto perché li ho visti io, quando sono arrivati. Due colombi. Prima uno e poi l’altro. Era verso sera. Ero lì a guardare in alto. Ero ancora una bambina. “Eccolo!”, ho gridato. I miei erano in casa. Io ero fuori a guardar per aria. Quella volta era ormai sera e si pensava che non viaggiassero ancora, i colombi. Invece li ho visti arrivare. Mio padre è corso in solaio. Ai colombi in una zampa mettevano un anello di gomma e un bossolo e il bossolo lo mettevi dentro all’orologio e forava l’orario e l’orario era perfetto. Dopo due minuti è arrivato un altro colombo. Poi è andato a Reggio Emilia, mio padre. Perché nessuno ci credeva che erano arrivati i nostri colombi.
Laila Panciroli, 70 anni, pensionata, ex operaia

Corrado Costa
Spesso, da ragazzo, nel tardo pomeriggio, andavo allo studio legale dove lavorava Corrado Costa, insieme a un giovane Giulio Cesare Bonazzi e ad Ettore Rocchi che faceva il praticante. A volte si cenava insieme a Reggio Emilia, nell’osteria di fianco alle farmacie comunali. Altre si veniva a Cavriago alla Capra. Io e Corrado, nonostante la differenza di età, eravamo amici e, appena potevamo, trascorrevamo un po’ di tempo a leggere e a parlare insieme di libri e di letteratura di ieri e di oggi. Quando Corrado ha iniziato ad abitare a Cavriago con Amedea, spesso mi è capitato di cenare e, a volte, dormire a casa sua. Ricordo ancora, con tenerezza, il padre di Amedea. Corrado, oltre che la passione per la lettura e la scrittura, mi ha trasmesso anche quella per l’arte. Realizzava quadri strappando manifesti rovesciati. Più di una volta, dopo un temporale, quando cioè era più facile staccarli, siamo saliti sulla sua auto a caccia di vecchi manifesti. Quando Corrado ne avvistava uno ai bordi della strada, fermava l’auto e scendeva. Il mio compito era quello di fare il palo. Lui si arrampicava al muro e strappava. Poi arrotolava e caricava in auto. I suoi manifesti preferiti erano quelli più grossi. Mi spiego: quelli in cui erano stati incollati sopra tanti altri manifesti e facevano massa, materia. Una volta, dopo un violento temporale, mentre io e Corrado strappavamo manifesti in una anonima via di Cavriago, una pattuglia di due Carabinieri ci sorprese: “Cosa fate?”. Corrado rispose: “Stiamo strappando alcuni vecchi manifesti. Possiamo?”. E loro:”A cosa vi servono?”. Corrado rispose: “Ci servono”. I due Carabinieri se ne andarono senza dire più niente.
Giuseppe Caliceti, 52 anni, docente e scrittore

Oratorio di San Giovanni
All’oratorio di San Giovanni si sono sposati i miei genitori. Mio padre era romagnolo. Ma ha avuto una lunga vicenda di fidanzamento con mia madre. Un fidanzamento travagliato, burrascoso. Si sono lasciati e ripresi tante volte, prima di sposarsi. Mio padre era di Bagnacavallo di Romagna. Un fidanzamento contrastato, si sono anche restituiti l’anello. Mio padre era ostinato, ma anche indeciso. Ha incontrato mia mamma perché mio nonno, suo padre, era venuto qui durante la guerra a dirigere il Consorzio agrario di Reggio Emilia. Finalmente mio padre e mia madre decidono di sposarsi. Vollero un matrimonio alternativo e un po’ segreto, tutti soli, con il prete e i testimoni: il campanaro sordo, e la Noemi, la perpetua. La Noemi mi diceva sempre: “Tu, sei mio figlio. Perché se non c’ero io, i tuoi non si sposavano e non c’eri neppure tu” e mi dava dei baci. Aveva dei baffi terribili. Dei baffi che pungevano. La famiglia di mia madre, visto l’andamento del fidanzamento, era un po’ sospettosa circa questo matrimonio. Mia mamma aveva già trentasei anni, che era già tardi per allora. Era il 1958. Così, poiché nessuno della famiglia era stato invitato, il cugino di mia madre, il cugino Orazio, si era nascosto nel confessionale della chiesa. Per controllare che si sposassero veramente. Questo racconta la leggenda familiare. Gli sposi uscirono dall’Oratorio e se ne andarono con la Giulietta Alfa Romeo. La Noemi si fece caricare per fare un giro a tutta velocità per Cavriago sulla Giulietta Alfa Romeo perché a lei piaceva tantissimo andare veloce, le piaceva tantissimo la velocità. Mentre era sull’auto la Noemi gridava: “Più forte! Più veloce!”. È morta qualche anno fa.
Paolo Gagliardi, 56 anni, imprenditore agricolo

Pagnàca
Mio marito fin da piccolo lo soprannominavano Pagnàca. Non so perché. Forse perché era un po’ cicciotto. Non lo so. Non so Pagnàca cosa vuol dire.
Eglia Gazzotti, 85 anni, pensionata, ex sarta

Quelli di Barco
Quelli di Barco dicono sempre che sono anche loro di Cavriago, ma invece loro sono sotto al comune di Montecchio.
Enea Ferrari, 65 anni, pensionato, ex artigiano

San Terenziano
Io son comunista ma so anche delle robe di chiesa. Io so che San Terenziano non si sa neanche che santo è. A me risulta che come santo, San Terenziano, è inesistente, almeno da quello che io ho sentito dire.
William Vitali, 79 anni, pensionato, ex macchinista di treni

Tonino
Un’altra volta la compagnia di amici del Bar Centrale ha impiumato tutta la Lambretta di Tonino, il parrucchiere. Bisogna sapere che Tonino era patito per questa Lambretta. Non faceva altro che lucidarla e parlarne. Insomma, guai per questa lambretta. Una sera si è dimenticato in piazza la Lambretta. Capirai! Tutta la sera lì al bar, gli amici del bar, a pensare cosa farci. Alla fine ci hanno messo sopra una colla e sopra la colla, con un cuscino, tutte le piume. Alla mattina presto le persone che passavano e andavano a lavorare a Reggio con il primo treno passavano dalla piazza e ridevano. Ma lui, Tonino, il parrucchiere, non la prese mica tanto bene.
Roberta Mazzali, 75 anni, pensionata, ex barista

Zanàga
Zanàga correva in bicicletta. Non era un ciclista professionista, faceva il muratore. Era una persona normale. Ma appena smetteva di lavorare lui era sempre in sella alla sua bicicletta.
Eglia Gazzotti, 85 anni, pensionata, ex sarta

[La versione integrale della “Guida narrativa di Cavriago” può essere scaricata dal sito del Comune]

Brano corrente

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