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11 Novembre 2021 | Racconti d'autore

Santi Numi

Testo tratto dal libro omonimo di Jacopo Masini (Roma, Exòrma Edizioni, 2021)

Vittorio Ferorelli

Senza curarsi troppo del proverbiale ammonimento a “non scherzare con i santi”, lo scrittore parmense Jacopo Masini ha realizzato una divertente raccolta di racconti brevi, tutti dedicati a “fatti e miracoli” della pianura padana. Ascoltiamone alcuni, grazie alla lettura di Seba Pezzani.

Fatti e miracoli della pianura

Non è forse un caso se nessuno ha mai raccontato prima le vite raccolte di seguito.
Si tratta, infatti, delle vite di donne e uomini che, secondo le cronache e i testimoni dell’epoca, giunsero a una loro speciale forma di beatitudine e persino di santità, quasi completamente misconosciuta e, in alcuni casi, del tutto priva di senso.
Ma, a parte tutte queste faccende preliminari, che nelle raccolte di vite ci sono sempre, qui si tratta appunto di isolare un certo numero di vite, un certo pezzo di terra che chiamiamo Pianura Padana, certi fatti notevoli che ciascuno interpreterà a modo proprio, e una speciale intenzione in cui non è facile discernere e separare il vero dal falso.
D’altra parte, qualcuno possiede un sistema infallibile per separare il vero dal falso? Non è forse, sempre, alla fine, una questione di fede? Credere o non credere a un racconto dipende dalla fede che prestiamo alla voce e all’autorevolezza di colui o di coloro che ce lo raccontano.
Dal momento che non avrete modo di sapere con certezza se colui o coloro che hanno raccontato le storie, i fatti e i miracoli raccolti di seguito fossero o meno attendibili, non vi rimane che fare una cosa: fidarvi.
Oppure, non fidarvi. Non importa. Fidarsi o non fidarsi sono la stessa cosa, di fronte al mistero insondabile di un certo numero di vite, di un certo pezzo di terra che chiamiamo Pianura Padana e di un certo numero di fatti notevoli che diventano veri nel momento in cui vengono letti. Veri in un particolare significato che possiamo attribuire alla parola verità: si realizzano nella nostra immaginazione, una volta che li abbiamo ascoltati o letti.
Non è andata sempre così, in fondo?
E dunque, non è forse un caso se nessuno ha mai raccontato prima le vite raccolte di seguito. Nessuno lo aveva fatto, perché prima che fossero raccontate non esistevano. Così come accade sempre, da migliaia di anni, con qualunque vita, reale o immaginaria.
Queste sono vite particolari, di un luogo particolare e non c’è altro da aggiungere.
Se non che sono tutte vere e quindi tutte inventate.

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Valter delle Api

Valter era figlio di Valter Pattini, sindaco di Casalbarbato. Mentre dormiva nella culla, sistemata in un angolo del salone del Comune, davanti alla porta in cui suo padre stava ricevendo dei contadini che si lamentavano per l’aumento di una tassa comunale che sarebbe andata a ricadere su di loro e sulle loro famiglie, e mentre sua madre era al mercato a fare la spesa per il pranzo, uno sciame d’api entrò dalla finestra lasciata aperta (era giugno e faceva già molto caldo) e calò improvvisamente sul piccolo Valter e gli riempì tutta la bocca e la faccia. Le api entravano e uscivano dalla sua bocca, per poi svolazzare sopra la culla, agitarsi, uscire dalla finestra e rientrare per rituffarsi sul piccolo Valter, quasi come se quest’ultimo fosse il loro alveare.
Poi, a un certo momento, proprio quando suo padre Valter Pattini uscì dall’ufficio del sindaco, stringendo le mani dei contadini che sembravano avere un’aria molto soddisfatta, come se quella tassa comunale fosse stata revocata (anche se tutti sappiamo benissimo che i sindaci, e i politici in generale, sono bravissimi a promettere di togliere tasse e altri pagamenti, per poi farli rientrare dalla finestra come api o mosche), proprio in quel momento le api si alzarono in volo tutte insieme dalla faccia e dalla bocca del piccolo Valter e uscirono dalla finestra, volando sempre più in alto, così in alto che non le si poteva più vedere. Atterrito dall’accaduto, il padre disse:
– Se questo bambino vivrà, sarà senz’altro un grand’uomo.
Era ormai adolescente, e il padre Valter era morto investito da un trattore, anche se non sembra ci fosse una correlazione tra quella tassa che aveva in effetti reintrodotto e la sua morte considerata accidentale, quando il giovane Valter Pattini vide la madre e la sorella che baciavano le mani al vescovo di Parma che era andato a Casalbarbato in visita pastorale, e per gioco offrì alla sorella la sua mano e le disse:
– To’, bacia anche la mia, intanto che ci sei.
Ma lei gli aveva detto:
– Te sei sempre stato un po’ tocco da quella volta delle api.
Allora Valter anni dopo si mise in politica come il padre, fece la campagna elettorale, venne eletto sindaco, forse anche in memoria del padre che aveva lasciato di sé un buon ricordo, e il giorno dell’elezione, quando la sorella si avvicinò per abbracciarlo e complimentarsi, le allungò la mano destra e le disse:
– Adesso la mano me la baci?
– Adesso sì – disse la sorella sorridendo, solo che, invece di baciargliela, gliela morse e Valter Pattini divenne subito paonazzo, la pelle tesa e gonfia come quella di un cotechino o di una mariola, la gola stretta che impediva all’aria di arrivare ai polmoni, e alla fine morì, per una reazione allergica.
Le api no, la sorella sì.

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La beata Ines di Gorgo

Isidoro di Camatta, nel suo libro sulle origini delle osterie e delle trattorie della bassa mantovana, dopo essersi a lungo dilungato sulla monotonia del paesaggio estivo, menziona l’episodio della beata Ines di Gorgo, che, pur essendo di famiglia ricca e avendo in banca abbastanza soldi per campare il resto della vita senza fare niente, decise un giorno di fare la cameriera.
Ines entrò per caso all’Osteria Salina una mattina di maggio del 1977 verso le undici, mentre stava tornando dal mercato in bicicletta e le venne una gran sete. Vide la porta dell’osteria aperta, dice Isidoro di Camatta nella sua cronaca, e decise di entrare. Appoggiò la bicicletta al muro, accanto alla porta dell’osteria, entrò facendosi largo tra le listarelle di plastica della tenda fissata agli stipiti e, nella penombra, intravide un omone di spalle che apparecchiava i tavoli. Era Mario Bertazzoni, padrone dell’osteria.
– Buongiorno – disse Ines, – le posso chiedere per cortesia un bicchiere d’acqua?
Sulle prime Mario Bertazzoni, che era un uomo burbero, non rispose, poi si voltò appena, vide Ines in controluce, vide la rotondità dei fianchi e intuì quella dei seni e disse – Ma certo.
Mentre Ines beveva le chiese se per caso cercava un lavoro, magari come cameriera, perché ne stava cercando una, anche se, dice Isidoro di Camatta nella sua cronaca, in realtà non la stava affatto cercando, ma si era invaghito di Ines ed era disposto a pagarle uno stipendio pur di averla accanto. Lei disse che non le occorreva un lavoro, ma sarà stata la penombra, sarà stata la luce che attraversava i bicchieri sui tavoli e scintillava, le venne come il desiderio di stare lì e di passare le giornate in mezzo alla gente dell’osteria, invece che a casa sua, nella grande casa padronale di Gorgo. Rispose comunque di no, ringraziò per l’acqua e uscì.
Quando fu in strada, però, scoprì che le avevano rubato la bicicletta. Rimase a fissare il punto del muro dove l’aveva appoggiata, pensò alle cose che svaniscono, al tempo che passa inutilmente. Rientrò in osteria e accettò il lavoro. E così scoprì che fare la cameriera le piaceva molto, che servire la gente era una cosa che le andava a genio, sebbene suo padre le desse tutti i giorni della stupida perché non aveva certo bisogno di lavorare e Mario Bertazzoni non abbia mai trovato il coraggio di confessarle il proprio amore.
Isidoro di Camatta conclude che a volte anche una cosa antipatica come un furto può cambiare la vita delle persone. Per alcuni in meglio, per altri in peggio, per altri così così. Andatelo a chiedere a Mario Bertazzoni, per esempio.

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Giorgio Guerzoni e la beata Giulia Braghiroli, sua innamorata

Uno degli anziani di Bondeno, che si chiamava Franco Dondi, raccontava sempre che una volta, in campagna, lì vicino, abitava uno che si chiamava Giorgio Guerzoni di anni cinquantaquattro, che un giorno a forza di lavorare e lavorare e lavorare e basta, gli era scesa la catena, come si suol dire, si era vestito con dei sacchi di juta e non usciva più di casa.
Così gli amici del bar di Bondeno erano andati a trovarlo, prima uno, poi l’altro, poi a coppie, poi tutti insieme, ma questo tale Giorgio Guerzoni appena vedeva qualcuno avvicinarsi gli urlava: – ’Ndate via, che m’avete tutti sfiancato! – e capitava a volte che, avendo uno schioppo a portata di mano, sparasse anche in aria, ma, nel dubbio, tutti scappavano.
Così, un giorno, quelli di Bondeno andarono dalla Giulia Braghiroli di anni sessantuno, che si diceva fosse l’amante di Guerzoni da molti anni, ma che si vergognassero a rendere nota la cosa, soprattutto perché lei era più anziana e verso la fine degli anni ’60 poteva ancora essere un problema, se una donna era più anziana.
Comunque, andarono dalla Giulia Braghiroli e le dissero: – Giulia, noi facciamo finta di non sapere niente di te e di Giorgio Guerzoni, ma te potresti farci il piacere di andare là e convincerlo a smetterla di fare il matto? Di tornare a vestirsi come una persona normale e venire ancora al bar a fare due chiacchiere con noi?
– Io ci vado – disse la Giulia Braghiroli, – ma poi voi la smettete di ridermi dietro quando passo per la strada. Va bene?
– Va bene – dissero.
La Giulia andò da Guerzoni, che appena la vide, raccontava Franco Dondi, ebbe un sussulto al cuore e si vergognò di come era vestito, anche se non si sa bene come facesse Dondi a sapere questa cosa, ma non è certo il caso di farsi degli scrupoli quando si tratta di storie e leggende che raccontano fatti destinati a rimanere nella storia, sebbene di un posto piccolo come Bondeno.

Sta di fatto che Guerzoni fece avvicinare Giulia Braghiroli senza sparare in aria e senza urlare e, appena se la trovò davanti, disse: – Come sei ancora bella, Giulia – e le fece una carezza, ma la Giulia aveva una missione e non intendeva lasciarsi intenerire, sebbene secondo Franco Dondi anche lei avesse sentito un sussulto, una specie di tuffo al cuore, come si dice in questi casi.
– Giorgio – disse la Giulia.
– Eh – disse Giorgio.
– Sei vestito che fai cagare – disse la Giulia.
– Lo so – disse Giorgio.
– E allora cosa ti vesti così a fare?
– Giulia – disse Giorgio.
– Giorgio – disse Giulia.
– Son delle settimane che nella testa ho tre pensieri, se mollare tutto e andare lontano dove non c’è nessuno, tipo nel deserto; se andare all’estero dove nessuno mi conosce, che mi stanno tutti sulle balle; o se invece chiudermi in casa, non rispondere più a nessuno, non vedere nessuno e mangiare un giorno sì e uno no.
La Giulia Braghiroli lo guardò molto seria in faccia e poi gli disse: – Giorgio, vai bene a cagare, va’. Entra in casa, cambiati e andiamo in paese a mangiare in trattoria.
– Va bene – disse Giorgio voltandosi di scatto e andando verso casa, per uscirne dopo una mezz’oretta tutto pulito e ben vestito e, sembrava, anche felice. Così, secondo Franco Dondi, la Giulia Braghiroli fece il miracolo di far tornare normale Giorgio Guerzoni. Anzi, di farlo diventare normale, che non lo era mica mai stato.

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Un ringraziamento particolare a Seba Pezzani, musicista, traduttore e scrittore, per aver dato voce “padana” ai racconti di Jacopo Masini.

Immagini
“Guida per riconoscere i tuoi santi” – foto di Emanuele (CC BY-SA 2.0)

Musiche
Dr John – “When the Saints Go Marching In”
Monica Vitti – “E il Signore venne”
Tom Waits – “Chocolate Jesus”
James Brown – “When the Saints Go Marching In”

Brano corrente

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