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15 Dicembre 2021 | Racconti d'autore

Prendi la penna e disegna

Testo tratto dal libro di Federico Moroni “Arte per gioco” (Firenze, Vallecchi, 2021)

Vittorio Ferorelli e Rita Giannini

Maestro elementare e pittore, Federico Moroni ha insegnato per più di vent’anni nella scuola elementare di Bornaccino, a Santarcangelo di Romagna, sperimentando con i suoi piccoli scolari la libertà di fare “arte per nulla”, giocando con penne, matite, colori e materiali di tutti i giorni. Dal libro in cui racconta la sua esperienza, pubblicato nel 1964 e riproposto ora in una nuova edizione, abbiamo scelto alcune pagine, lette dall’attore Faustino Stigliani.

Un bimbo gioca

Un bimbo gioca al disegno.
Ha un foglio di giornale e una matita colorata. Traccia, delinea, incrocia, attraversa, va, viene, ritorna ed entra in un mondo in cui crede.
Scende per la valle profonda, scivola nel burrone, si rialza, si ritrova in pianura, corre al fiume, ripete a voce lo scrosciar delle acque, il fruscio dei cespugli. Incontra il lupo e lo uccide. Trova un cavallo, lo monta, corre sbrigliato nella prateria. Arresta i briganti, li lega al palo, porta con sé il tesoro che essi han rubato. Sale su di un treno, suona il fischio, soffia agli stantuffi, strepita per i binari, sibila lungo i freni e scende in città. Compra un aereo, una nave, un grattacielo, arriva al mare e parte verso la fine del foglio. Arriva in America, scende dalla nave, monta in aereo e arriva in tempo per la gran corsa d’auto. Posa la matita, stende a terra la sedia auto, la mette in moto imitandone il rombo. Parte manovrando i pioli, prende le curve a estrema velocità, spostando la sedia coi piedi. Il motore romba nella sua voce. Ora altre macchine da corsa lo seguono, ma egli è in testa a tutte e taglia da solo il traguardo.

Ora la mamma lo accoglie con la coppa d’oro della tazza del latte, coi biscotti e lo zucchero.
Chiuso nella sua cucina, con un foglio, una matita nera, e una sedia, il bimbo ha compiuto la sua grande giornata. Dopo la coppa trionfale del latte, andrà a dormire, col vanto del grande eroe.
Prendiamo il suo foglio e guardiamo al disegno: la grande, emozionante, sconfinata avventura è uno scarabocchio indecifrabile; come la potentissima auto è nella sedia accanto alla tavola, e il vasto autodromo è un tratto del pavimento accanto al focolare.
Il disegno va intrapreso, condotto, immaginato e sognato con la convinzione del bimbo che gioca.

Scuola di campagna

Nei dintorni di Santarcangelo di Romagna c’è una scuola fra i campi.
Camminando per i loro sentieri i bimbi ne vedono il tetto rosso da lontano, guardano alle siepi, guardano negli orti se i fiori delle zucche nel cadere lasciano una zucchina verde oppure niente. Si arrestano per un frullo improvviso di fringuello tra la siepe, lo guardano sfrecciar via di sbieco e cercano il nido nel fitto delle foglioline. Spaventano le lucertole e trovano qualche uovo di gallina in certe cune nascoste fra i cespugli. S’incontrano con le compagne e tutti si voltano a vedere Giovanni che sbuca improvviso da sotto il portico, scalzo, lanciato in una corsa irresistibile lungo un filare, dietro a un maialino piccolo. Ridono insieme delle sue cadute improvvise. In classe lo raccontano e uno dice che ieri, nel pomeriggio, mentre Giovanni stava vangando alle viti, era arrivato suo fratello Ernesto, completamente ubriaco: senza parlare, s’era appoggiato a un olmo, a due passi da lui.
Seduti nel banco, dalle vetrate dell’aula vedono i buoi che passano col carro. Le galline vengono a razzolare attorno alla scuola, i galli cantano sul mezzodì, ed entrano per la porta.
In prima classe gli scolari parlano dialetto come a casa e rivolgono il tu come al babbo. Quando s’accostano, sanno di fieno e di frutta; le mele sull’armadio nella camera dove dormono, l’odore del vino e del grano per i corridoi e l’odore del fumo del camino.
Nel fondo delle tasche hanno le briciole del pane. Il pelo del cane che salta su di loro e li annusa è sul grembiulino stinto e malandato.

I ragazzi di Bornaccino vivono nei campi assieme al sole, agli alberi, al grano, alla frutta, agli animali, all’odore dei polli e del rosmarino. Conoscono la fatica delle giornate lunghe e si riposano a scuola. Invece di zappare o di legar le canne col vimine alle viti, prendono la penna per fare delle aste, delle parole o dei numeri. Le loro mani lavorano nel campo. Ruvide d’esperienza, disegnano con la penna e l’inchiostro del calamaio.
Vediamo cosa fanno.

Severino

Severino Guidi è in prima classe, ha sette anni, dice tutto in dialetto. Muove i piedi e mi tocca quando parla, gli occhi tondi e curiosi, come un furetto. Sua madre l’ha tosato con le forbici attorno agli orecchi perché senta meglio a scuola e impari di più. Ai primi giorni non ha pazienza di riempire di aste la prima pagina del quaderno a quadri.
Vuole andare invece a staccare i grappoli dell’uva fra il fogliame delle viti. Ma suo padre l’ha rimandato a casa a fare i compiti. Allora, con la sua piccola mano dal dito mignolo incurvato, comincia a disegnar le viti con la penna, i pampini mossi dal vento, a scoprire i grappoli duri di viticcio e gremiti di chicchi come pigne.
Ecco il disegno dei giorni della vendemmia, quando i moscerini e le vespe vengono ai tini pieni di brodo d’uva.
Severino aveva le dita violacee quando disegnò. Un’esperienza viva e sensoriale guidò al disegno la sua mano. Senza saperlo, solo così era possibile decantare la festa della vendemmia, le viti solenni e fastose e la gloria del loro frutto, in dono per la letizia del vino buono sulla tavola, accanto al galletto arrosto e alla salsiccia odorosa per Sant’Antonio.
[…]

Romano

Romano conosce una malva che fa bene alle capre. Non le gonfia, le calma. Se ne brucassero molta, si scontrerebbero meno coi crani convessi come testuggini: colpi da mazzuoli di bosso. Romano disegna la pianta.
Le foglie a gran pavese piegano per le chioccioline che s’allungano in cerca di una cima umida. Due scarabei punteruoli si aggirano a bucherellarle. La lumaca in alto tocca l’orlo di un buco, e una pioggerella completerebbe l’idillio.
La costruzione roteante, solenne nella luce del bianco, ora può sembrare una giostra da sagra campestre: piattaforme che girano con l’organetto strimpellante un Valzer Blu. Per poco non è un’orologeria apparente, pendole assurde con le ruote scostate dai pendoli fuorviati. Oppure un gruppo di ventagli orientali con lunghi manici sottili. Il disegno può far pensare a cose diverse e donarci letizia. Una delle virtù magiche del disegno è quella di permettere le trasposizioni ideali o poetiche, come a te può accadere ogni volta che tu giochi a disegnare.
Non lo sa Romano che cos’è il disegno. Non ha mai disegnato. Dirà come Severino e i compagni, dirà come te, di non saper disegnare.
[…]

Il piacere del disegno

Questi bimbi di campagna non hanno mai disegnato e provengono da un ambiente dove il disegno non è praticato da nessuno e non ha mai interessato. Quando disegnano, si trovano nella stessa condizione emotiva che li porta a intraprendere un gioco, dopo che sentono la necessità di rivelare un oggetto o una situazione che li commuove, o siano attratti dalla partecipazione viva del loro maestro alle cose che amano di più, in uno scambio di impressioni e d’immagini stimolanti. Diversamente non disegnano. Passano a volte i mesi dell’inverno senza neppure pensare al disegno. Giocano in altro modo. Anche l’insegnante non incontra l’occasione di un richiamo emotivo e non pensa al disegno. Ma quando, anche inaspettatamente, avviene l’incontro o la scoperta di qualcosa che richiama per incanto l’interesse estetico, l’emozione poetica o il sogno di ciascuno, i bimbi allora passano al disegno come al mezzo più libero, più potente e più immediato. Entrano così nella fase del gioco.
Il piacere dell’inventiva è pari a quello del costruire la balestra e la stecca per l’aquilone; di dare la carta vetrata e il mastice a una gomma della bicicletta, di costruire il mulinello con le spranghe e i rocchetti, o il frullo con un bottone del cappotto, messo al centro di quattro cordicelle tenute ai capi, fatte girare fino ad attorcigliarle, poi tirate a tempo per un viluppo alternato, col soffio del bottone che fa vento per quanto va forte. (Capitarci sotto coi capelli). Oppure il frullo con l’osso corto dello zampetto del maiale. (Accostarlo al portone e sentire i colpi dell’osso contro il legno).
Il disegno è una cosa del genere. Che il risultato sia attraente questo lo può pensare l’insegnante o le persone che in genere s’interessano al disegno. Non interessa ai bimbi: il disegno compiuto è un gioco già fatto e non lo guardano più. Attendono un’altra occasione. Così non sentono il disegno come un’impresa difficile quanto un’operazione aritmetica, col timore del risultato sbagliato e il pericolo del voto. Se così fosse, allora sentirebbero di non saper disegnare e non farebbero nulla. Li salva il fatto di essere condotti al disegno da una disposizione emotiva e dall’urgenza di intraprendere un gioco.
Nel gioco è evidente come il bambino entri in un’altra personalità, quella ad esempio del personaggio immaginario ch’egli è convinto di essere. Egli agisce e parla come tale. L’ambiente scompare, diventa immaginario. Se si mette un berretto di carta, si passa una canna alla cintura, non è più lui, è il generale. Una compagna si pone un cestino sul capo, si lega un sacco al fianco e non è più lei: è la regina. Il suo stato emotivo le fa compiere i gesti di una regina di fronte a un eroe.

Così entran d’incanto in un’altra esistenza, dove l’ambiente non è più visto com’è.
Questa condizione può durare fino a quando la mamma non chiami – Piero! – Maria! – E allora la regina ritorna Maria e il generale ridiventa Piero. Così escono dal sogno per tornare nell’aia, di fronte al pagliaio, alla capanna, alla porta della cucina, alla stalla, al campicello, al pozzo con la catena e il secchio. I polli passeggiano intorno, mentre essi si tolgono l’elmo, la corona, il manto e la spada.

Come nel gioco, così nel disegno, basterebbe che l’estraneo esclamasse – Cosa stai disegnando, che cosa è questo… – perché la penna fosse posta sul banco e il foglio di carta messo via.
Rientro dalla seconda esistenza, fine del gioco. È dunque la condizione del gioco, il piacere emotivo del gioco che sostengono il bimbo nel tempo in cui intraprende il suo disegno.

È necessario che altri vedano a giocare? Il bimbo si apparta quando si mette a giocare. È bene che un estraneo veda il disegno compiuto e dica – bello –? Il bimbo di campagna rimane indifferente, anche quando l’estraneo prende il disegno e lo tiene per sé. Si alza e va a fare un giro in giardino. Non ha mai contemplato il suo foglio e neppure ammirato quello di un altro compagno. Sarebbe come se potesse provare piacere nel pensare di aver giocato, o vedere come ha fatto un altro a giocare.
L’importante è giocare.

Così sia per te

Prendi la penna e disegna quando incontri qualcosa per cui senti di evadere da quanto ti è intorno, richiamato dall’urgenza irresistibile di una tua invenzione. Gioca allora, disegna, finché il piacere perdura. Se oltre alla penna vuoi la matita, il pennello, il colore, prendili, gioca con quelli, inonda il foglio di colore. Liberati con uno scarabocchio felice dal rispetto che ti tiene obbligato nel timore e nell’inibizione, senza donarti alcuna felicità. Sei libero di far questo. È tua la tua libertà. La tua persona, la tua esistenza, la tua vita, sono soltanto tue: amale, rispettale, difendile, perché sono uniche e sono tue. Salvati con uno scarabocchio liberatore dalla prudenza che inutilmente ti lega, dal civismo sociale che ti fascia. Riscatta in un gioco te stesso e le generazioni che fino ad oggi col disegno e col colore non han potuto giocare.
Domani, non ti curare di quanto hai disegnato o dipinto. Attendi un’altra occasione che ti incontri per via, dovunque ti trovi, portandoti il desiderio del gioco. Altrimenti non far proprio nulla. Non importa che altri vedano i tuoi fogli disegnati o dipinti, mettili via; se ti piacessero tienili per te. Non li mostrare neppure alla tua compagna preferita, non ha alcuna importanza. Invitala a giocare con te. Il consenso e l’incoraggiamento li avrai dai bimbi del caseggiato quando allungano il braccio e col carbone segnano sui muri camminando. Se ti capita di vederli all’opera, guardali in volto, guarda con quale intensità emotiva, con quale piacere stanno segnando col gesso e col carbone: sono quelle le condizioni che portano alla creazione artistica. Nei segni forti bianchi e neri, i ritratti sbilenchi, gli aereoplani assurdi, gli animali impossibili, gli scritti senz’accenti né doppie, vi è la certezza che il gioco del disegno è importante per il piacere ch’esso dona.

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Immagini
Tempera di Pasquale Nicolini, Scuola elementare di Bornaccino (Santarcangelo di Romagna), 1964 – Collezione privata Casa Moroni

Musiche
Mina – “Prendi una matita”
Antonio Castrignanò – “Corri”
Alessandro Mannarino – “Vivere la vita”

Brano corrente

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