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22 Marzo 2014 | Paesaggio dell'anima

Fontanellato, una corte di pianura

Un viaggio in regione attraverso la musica

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

Baustelle: La morte (non esiste più).

Cari ascoltatori, abbiamo dedicato due puntate del nostro «Paesaggio» a un celebre quadro definito “la Gioconda d’Olanda”, la Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer, protagonista di una mostra in corso a Bologna, insieme ad altre trenta opere di pittori olandesi. Il brano che ascolteremo ora è un curioso tentativo, fatto dal compositore Capitanata insieme al Quartett Salzburg Orchestra, di scrivere musica per l’arte, cioè di associare alla vista di un dipinto anche il suono, in modo da arrivare a un coinvolgimento totale, a un’immersione nei colori, nella magia di un’opera d’arte. Le grandi opere d’arte si definiscono tali perché hanno un fascino, un mistero che sentiamo vicino a noi, ma è difficile da definire. Ci risvegliano emozioni profonde, un rimosso che viene a galla improvvisamente, ricordi lontani. Vediamo se questo brano ci fa venire in mente il quadro che descrive, l’epoca in cui fu realizzato. Il quadro è la Santa Cecilia dipinta da Raffaello nel 1514 e custodita alla Pinacoteca Nazionale di Bologna.

 Capitanata & Quartett Salzburg Orchestra: Santa Cecilia (da “Raffaello”, 2006).

 Adesso da Bologna andiamo a Parma, e più precisamente a Fontanellato, perché in questo paese della “Bassa”, in un castello circondato da un fossato, si trova una pittura bella e misteriosa quanto quelle di Vermeer. Diciamo “misteriosa” non per utilizzare un termine abusato, ma perché davvero la saletta decorata dal Parmigianino si presta a diverse interpretazioni, tutte affascinanti, che ci fanno capire la ricchezza del nostro patrimonio culturale e artistico. Prima di avvicinarci al capolavoro del Parmigianino, facciamo un giro per Fontanellato, un paese che nel Cinquecento fu una piccola corte di pianura, come le vicine Sabbioneta e Gualtieri. In queste piccole corti padane, che furono anche corti di campagna per la realtà agricola in cui si svilupparono, ci fu un mecenatismo artistico dovuto alle famiglie nobiliari che vi stabilirono le loro residenze, i Bentivoglio a Gualtieri, rami cadetti dei Gonzaga a Sabbioneta e a Guastalla, e i Sanvitale a Fontanellato. Sta arrivando l’estate, le giornate si allungano, ma non solo per questo vi facciamo ascoltare “Aspettando l’estate” di Franco Battiato. Nel testo c’è una frase che ci riporta alla piccola sala del Parmigianino nella rocca di Fontanellato: « l’estasi dei momenti d’ozio/ voglio riscoprire/ aspettando l’estate».

 Franco Battiato: Aspettando l’estate.

 L’estasi dei momenti d’ozio: si potrebbe cercare in una piccola sala nascosta dentro un labirinto di stanze, isolata in un castello protetto da un fossato, dove magari si riunivano gli iniziati di una sorta di circolo alchemico, per pensare, meditare e cercare di scoprire l’essenza delle cose e la verità del mondo? Sono passati quasi 500 anni – 490 per l’esattezza – dal 1523-1524, quando il conte Galeazzo Sanvitale chiamò il giovane pittore Francesco Mazzola detto il Parmigianino, considerato l’erede di Raffaello e uno dei maggiori maestri del manierismo, ad affrescargli una piccola saletta nella sua residenza. Ancora oggi non è ben chiaro a cosa servisse quella piccola stanza segreta e nascosta che racconta la storia di Diana e Atteone narrata da Ovidio nelle Metamorfosi. Non si sa con esattezza cosa volesse esprimere, oltre alle fantasie o alle verità degli scrittori – a partire dal Vasari nel Cinquecento – che nei secoli hanno ricamato su un Parmigianino “alchemico”, desideroso di trasformare il mercurio in oro, andando – scrive Vittorio Sgarbi – “oltre le possibilità dell’arte e dell’uomo, verso la vera sostanza spirituale della bellezza”.  

 Johnny Hollow: Alchemy (da “Dirty Hands”, 2009)

 Non è chiaro se questo luogo enigmatico fosse una sala da bagno, come suggerirebbe il tema del “bagno di Diana”, oppure legato al concetto filosofico ed esistenziale dell’alchimia («trovare Dio nelle cose») di cui si discuteva nella corte parmense di Galeazzo Sanvitale, o ancora una sorta di sacrario dove Galeazzo e la moglie Paola Gonzaga – ritratta nelle vesti della dea Demetra, con in mano le spighe, simbolo di rigenerazione – meditavano sull’inesauribile fluidità della vita, ricordando la separazione dal loro figlioletto morto. La misteriosa scritta RESPICE FINEM inserita nel grande specchio centrale –  «osserva la fine», ma anche «guarda il fine», inteso come scopo – sembra suggerire, dice Pietro Citati, che «per conoscere la fine, dobbiamo ritornare all’inizio». A noi la saletta sembra un rifugio del cuore, un luogo di rasserenamento, un bellissimo e colorato incantesimo che viene dalle profondità del tempo. Ne riparleremo la prossima volta. Intanto, immergiamoci nelle atmosfere tenebrose dei Dead Can Dance.

 Dead Can Dance: Children of the sun.

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