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18 Aprile 2015 | Paesaggio dell'anima

Musica nella nuova capitale

Un viaggio in regione attraverso la musica

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Alessia Del Bianco

Antonello Venditti & Gato Barbieri: Modena.

Cari ascoltatori, come ci ha preannunciato la canzone di Antonello Venditti, siamo a Modena. Il magistrale sax che avete sentito è quello di Gato Barbieri. Siamo a Modena, all’ombra della Ghirlandina che, come sapete, è la torre campanaria del duomo e simbolo della città. Poco più di tre anni fa la Ghirlandina, che prende nome dalle due ghirlande che ne ornano la punta ottagonale, è stata restituita alla città più bella che mai, dopo un accurato restauro. Bella, certo, e anche vecchia, perché la torre svetta sulle tegole rosse dei tetti di Modena dal 1179. Però la punta fu aggiunta due secoli dopo. È un medioevo un po’ fantasy, quello evocato dal brano di Stefano Principini che andiamo ad ascoltare, e che ci introduce alla musica suonata nella nuova capitale del ducato estense, dal 1598 orfano di Ferrara e formato dalle sole città di Modena e Reggio Emilia.

Stefano Principini: Ghirlandina.

Che musica si suonava a Modena nel suo secolo d’oro, che fu il Seicento, e in particolare il periodo in cui il duca fu Francesco II? Partiamo proprio dai primissimi anni del ducato, quando Cesare d’Este nominò maestro di cappella del Duomo un raffinato compositore di madrigali, Orazio Vecchi. Alla fine del Cinquecento, un genere molto in voga era la “commedia madrigalistica”, vale a dire l’unione di più madrigali che, tenuti insieme, raccontavano una storia. Vecchi fu un maestro e un innovatore di questo genere, ma scrisse anche musica sacra. Ora vi diamo un esempio della sua “modernità”, e naturalmente ci riferiamo a quel che poteva essere considerato “moderno” nel tardo Cinquecento e nei primi del Seicento. Infatti Orazio Vecchi, pubblicando a Venezia nel 1604, un anno prima della sua morte, la commedia madrigalistica  “Le veglie di Siena”, la sottotitolò così: “Le veglie di Siena, overo i varii humori della musica moderna a tre a quattro a cinque a sei voci composte e divise in due parti, piacevole e grave …”. Sentiamo quindi questi “umori” della musica moderna che si suonava a Modena.

Orazio Vecchi: Le veglie di Siena. So ben mi c’ha bon tempo.

Queste erano le canzonette ai tempi del ducato. Passiamo ora ad un altro notevole musicista approdato alla corte di Modena, il romagnolo Marco Uccellini, nominato nel 1647 maestro di cappella dal duca Francesco I d’Este. Uccellini fu un inesausto compositore di musica strumentale, di cui ci ha lasciato circa trecento brani, ed è soprattutto ricordato per le sue sonate per violino. Era, infatti, un virtuoso dello strumento, uno sperimentatore, con una tecnica particolare della mano sinistra. Sentite che meraviglia questo brano, contenuto nelle “Sonate, arie et correnti a 2-3, libro III“,  pubblicate a Venezia nel 1642. 

Marco Uccellini: Aria quinta “Sopra la bergamasca”. Libro III.  

E adesso è venuto il momento di raccontarvi la storia di Siface, cari ascoltatori. Siface era il nome d’arte di Giovanni Francesco Grossi, uno tra i massimi cantanti lirici castrati del Seicento. Un vero divo che fu al servizio della corte di Modena dal 1679 al 1687. E, in quanto divo, faceva le bizze, tant’è che il duca, che ne era amico, fu costretto a metterlo agli arresti domiciliari per aver insultato l’ambasciatore di Francia, colpevole di non essere stato sufficientemente attento a una sua esibizione. Evirato da piccolo per poter cantare come sopranista, Siface aveva ottenuto uno strepitoso successo a Londra, ma tornò in Italia preoccupato che il clima umido gli danneggiasse la voce da usignolo. Benché castrato, riuscì a vivere con la nobildonna bolognese Maria Maddalena Marsili un’intensa storia d’amore, che i fratelli di lei cercarono in tutti i modi di ostacolare. I fratelli Marsili, feriti nell’onore, andarono dal duca di Modena a chiedergli di allontanare Siface, e al suo rifiuto fecero ciò che si usava a quei tempi: rinchiusero la sorella in convento, a Bologna. Ma quando Siface fu chiamato a Bologna per interpretare un’opera, la relazione riprese. A quel punto, i fratelli Giorgio e Alessandro Marsili assoldarono quattro sicari per ammazzare Siface. Fermata la carrozza in cui viaggiava il cantante nei pressi di Malalbergo, i sicari lo fecero scendere e gli spararono tre colpi di archibugio. Fu sepolto a Ferrara con tutti gli onori, e nella sagrestia della chiesa di San Paolo una lapide ricorda “Ioannis Francisci de’ Grossis, alias Siface 1697″. Ascoltiamo il mezzosoprano Cecilia Bartoli nell’interpretazione del “Siface” del compositore Nicola Porpora, che fu anche maestro di canto del castrato più famoso del Settecento, Farinelli.     

Cecilia Bartoli: Come nave in mezzo all’onde (di Nicola Porpora).

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