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17 Febbraio 2011 | Racconti d'autore

Il cane lupo alla pompa di benzina

di Alberto Grossi, Edicta Edizioni, Parma 2010 (terza puntata)

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

17 febbraio 2011

Nello stile affabulatorio, con risvolti comici, che sembra avere le sue radici più salde nella nostra regione (vedi il modenese Ugo Cornia e il parmense Paolo Nori), Alberto Grossi, pure lui di Parma, ci delizia con le folgoranti, minime narrazioni de “Il cane lupo alla pompa di benzina (e altri cento racconti brevi)” edito dalla casa editrice Edicta di Parma. Cento racconti che concorrono a disegnare l’affresco di un’epica personale che è anche l’epica delle genti emiliane e dei loro cugini romagnoli.
Alberto Grossi, giornalista, ha lavorato come autore radiotelevisivo e ha pubblicato un libro di fiabe per bambini e, nel 2007, il saggio “Dalla fame alla sazietà” per le edizioni Sellerio.

Il cane lupo alla pompa di benzina (e altri cento racconti brevi)

Un giorno a Modena camminavo in Corso Canalchiaro, ad un certo punto sulla via c’è una piazzetta con una chiesa e una fontana, e passando mi colpì un odore forte e un po’ disgustoso. Quell’odore mi piacque tantissimo perché mi fece tornare alla mente quando da bambino accompagnavo mia nonna Elide al ci­mitero, specialmente a giugno che la scuola era finita e di giorno non sapevamo mai cosa fare, e nei cimiteri c’è sempre quell’odo­re di acqua stagnante misto a fogliame marcio, che sarà anche disgustoso ma io lo trovd buonissimo. A volte penso che ci sia qualcosa di ancestrale nella memoria degli odori, specie quelli acri e persistenti, e non mi riferisco soltanto alle fiale puzzolenti al gusto vomito o cloaca che da bambini a carnevale spargeva­mo nei corridoi della scuola, penso agli odori tipo morchia delle macchine o lardo per friggere, che saranno anche fastidiosi ma ci sono molto famigliari, e anche se ci fa fatica riconoscerlo, noi, a quegli odori lì, gli vogliamo bene. Poi ci sono degli odori che piacciono un po’ a tutti, quello di benzina, la colla delle figuri­ne, il coppertone dolciastro che inali sulle spiagge, la cera delle candele. Ma ci sono anche degli odori tristi, come il frescume di un uovo che ristagna o quella puzza di muffa e di chiuso che c’è in quei musei dove non va mai nessuno e i guardiani annoiati guardano l’orologio ogni tre minuti. Ma l’odore che davvero non tollero è l’odore dei cani e dei gatti, e degli animali d’affezione, come li chiamano i politicamente corretti. Gli han fatto pure un cimitero, agli animali d’affezione, gli han fatto.

È carino pensare come negli anni cambino le tendenze o le mode senza quasi rendersene conto. Trent’anni fa andava il borsello da uomo, anche mio papà ce l’aveva ma non avendo sigarette perché non fumava, le chiavi della macchina le tene­va mia mamma, il fazzoletto da naso lo teneva in tasca, a un certo punto piuttosto che portarlo in giro vuoto l’ha smesso. Pensiamo ad esempio ai cambiamenti climatici, un tempo con la pioggia spuntavano i funghi, adesso con la pioggia spunta­no dei nigor che vendono ombrelli.

Ho letto su un giornale che dire negri è sbagliato e razzi­sta. Dire neri è comunque sbagliato perché connota una per­sona attraverso il colore della pelle. Dire persone di colore è non solo sbagliato ma anche un po’ da deficienti. Non sapendo come chiamarli ho pescato in quella insostituibile cassetta de­gli attrezzi che è il dialetto, e li ho chiamati nigor. 

Da noi in Emilia, se vuoi capire l’ordine delle cose e come gira il mondo dalle nostre parti, devi fare una cosa molto semplice, devi conoscere i silos. I silos sono come dei totem, devi girarci intorno, devi imparare a conviverci, conoscere il loro potere e portargli rispetto. Chi non è nato in Emilia fatica a capire, sono leggi non scritte che ogni emiliano conosce alla perfezione e che ti dicono come gira l’ordine delle cose. La prima regola dice che il silos va temuto e rispettato, e il corollario naturale è che per nessun motivo ti ci devi metterti contro. La seconda regola dice che il silos è un contenitore sì però un po’ particolare, cioè non tutti i contenuti che ci metti dentro vanno bene, se lo riempi di lambrusco o di malvasia frizzante, ad esempio, il silos s’inquieta e inizia a perdere la pazienza. Occorre quindi molta prudenza prima di riempirlo, occorre valutare, soppesare bene, vagliare il come e il che cosa e le conseguenze. Tra parentesi, poiché senza fare gli animisti sappiamo con certezza che anche le cose e gli oggetti hanno un’anima, io ritengo che chi ancora si ostina a negare questo, semplicemente nega una realtà oggettiva. Casomai la questio­ne è di angolazione dello sguardo, di punto di osservazione, perché di silos ne parlano in tanti e spesso a sproposito. Chie­dete in giro quanti hanno visto un silos da dentro, provateci. Vi risponderanno sguardi balbettanti.

Per capirci di più sulla nostra terra, prendiamo ad esempio i rapporti tra noi emiliani e i cugini romagnoli, che ci sarebbe tanto da dire, ma intanto partiamo dal fatto che in Romagna c’è un paese che si chiama Bagnacavallo dove nacque un gior­nalista che diventerà poi famoso. Che non era proprio un gior­nalista ma molto di più, e comunque si chiamava Leo Longa­nesi. Il quale Longanesi aderisce al fascismo bello convinto, anzi a Bologna lo mettono a dirigere il settimanale della fe­derazione fascista bolognese che si chiama l’Assalto, in seguito lo cacceranno via ma questa è un’altra storia. In quel periodo, pur avendo un po’ di anni più di lui, capita dalle parti di Bolo­gna anche Arturo Toscanini; che è un parmigiano e in quanto tale emiliano. Una sera Toscanini deve dirigere l’orchestra del comunale alla presenza di Galeazzo Ciano, che era un pezzo grossi, e al pomeriggio una squadra di giovani gli chiede di intonare Giovinezza ma il Maestro oppone un secco rifiuto, e della spedizione che vogliono fargli cambiare idea c’è anche il giovane Longanesi che tra urla e spintoni riesce a mollare uno schiaffone al celebre maestro, il Toscanini. Ora, premesso che mi è mai balenata l’idea di diventare fascista o tanto meno romagnolo, premesso anche che mi sanno un tantino di squal­lido gli assalti di gruppo a una persona da sola, devo però ammettere che uno sberlone storico affibbiato a un emiliano illustre in qualche modo non mi offende. Intendo dire che non mi sento punto sul vivo. Sarò forse io che son poco etnico, saranno i tempi che son cambiati, certo si tratta di un’onta che non mi sento di dover lavar via, simbolicamente parlando. Però i romagnoli un po’ teste calde li sono rimasti, questo per onestà va detto.

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