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3 Dicembre 2015 | Racconti d'autore

Le giovani parole

Poesie di Mariangela Gualtieri tratte dal volume omonimo (Torino, Einaudi, 2015)

A cura di Vittorio Ferorelli. Lettura di Mariangela Gualtieri

Poeta e drammaturga, Mariangela Gualtieri ha fondato nel 1983, a Cesena, il Teatro Valdoca insieme al regista Cesare Ronconi. Da tempo sperimenta il rapporto che lega voce, musica e verso poetico. Vi proponiamo quattro poesie tratte dalla sua raccolta più recente, lette dall’autrice nell’ambito del rito sonoro “Fraternità solare”, trasmesso da Radio 3 il 5 settembre 2015, in occasione di “Materadio”.

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La mamma era una grande arca
io galleggiavo nel soffio
quando il tempo mio
scalciava
per cominciare.

La mamma era una forte nave
in cui navigavo addormentata
carica del mio nome e della contrada
e di un sogno terrestre.

La mamma era mia casa allora
una tana, un guscio, un’enorme noce
di latte. Una patria in cui stavo
rannicchiata. Silenziosa
in alto raccoglimento
per quel grido, quel pianto
quando la camera esplode
per una voce che prima non c’era
e adesso è la mia.

 

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Ogni giorno partorivo la mamma
aggiustavo sul guanciale le forme
di quel suo stare rovinato.
Con parole rimpicciolite
modellavo il suo corpo disteso
agitavo lo stagno del suo sangue.
Dal suo pozzo sillabava lenta lenta
come fosse da molto lontano.

Partorivo la mamma, la tenevo
di qua. Lei che piano mollava
scivolando sul fondo fangoso.
Che fatica allora che lungo sgravare
che infinito lento precipitare
che terminata festa
e come la mia vita parcheggiava lo slancio
all’ombra di quel feto dipinto
d’un’infanzia sghemba e pesta.

Questa fanciulla mamma rovinata
ogni parola resta imprigionata
in un gorgoglìo di vento e di tormento –
il suo nome, il mio nome, ogni nome
è fuoco spento.

 

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Sono stata una ragazza nel roseto
una ninfa. Quasi fantasma che stava
scomparendo
sono stata una ragazza di sedici anni
distesa. Ho attraversato il deserto
rapidamente, quasi volando,
una statua di pietra del Budda
dormiente, un Budda di cenere
sono stata. Una donna appesa.
Sono stata un uomo duro e forzuto.
Una eccentrica con un pesce in bocca
e poi il bambino dell’imperatore
del giardino orientale. Un albero
forse. Un topo. Un elefante
una lepre. Sono stata campo
di battaglia e una preghiera. Un papavero.
Un intero pianeta. Forse una stella
un lago. Acqua sono stata,
questo lo so. Sono stata acqua
e vento. Una pioggia su qualcosa
che ero stata tempo addietro.
Un giuramento. Un’attesa.
La corsa della gazzella. E proiettile
sono stata, freccia perfetta scagliata,
catacomba. Un credo – un lamento.
Un bastimento fra onde altissime.
Forse anche il mare.
E dunque – di cosa dovrei avere paura
adesso.

 

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Ormai è sazio
di ferite e di cielo. Si chiama
uomo. Si chiama donna. È qui
nel celeste del pianeta –
dice mamma. Dice cane
o aurora.
La parola amore l’ha inventata
intrappolato nel gelo.
Perso. Lontano. Solo. L’ha scritta
con ditate di rosso
in un silenzio caduto giù
dalla neve.

 

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[Per ascoltare la registrazione integrale delle poesie lette da Mariangela Gualtieri nell’ambito di “Materadio 2015. La festa di Radio 3”: www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-8944705b-0119-4f7e-9cec-4403c06b399f.html]

 

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