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18 Aprile 2019 | Racconti d'autore

E Modena sorrise agli U2

Racconto di Roberto Franchini tratto dal libro “Live in Modena. Quarant’anni di concerti nella città del rock”, di Roberto Franchini, Roberto Menabue, Stefano Piccagliani (Modena, Edizioni Artestampa, 2018)

A cura di Vittorio Ferorelli

Il 29 e 30 maggio 1987, nello Stadio comunale di Modena, la rock band irlandese U2 tenne due concerti memorabili. Il giornalista e scrittore Roberto Franchini li rievoca, in un libro che ricapitola quattro decadi di eventi musicali all’ombra della Ghirlandina.

A Modena tanta gente non si era mai vista. Probabilmente non se li aspettavano nemmeno gli organizzatori. I primi arrivarono nella notte, si sistemarono sulle tribune di quello che oggi si chiama parco Novi Sad ma allora non so. Le prime erano alcune ragazze di Firenze e si presentarono davanti ai cancelli verso le 3. Di notte. Parecchie centinaia di giovani fecero l’alba attorno allo stadio. Il servizio d’ordine del PCI venne per la prima volta a contatto con “il variopinto pubblico del rock”. Contatto visivo, ma non fisico. Ne arrivarono non solo più del previsto ma anche più dei biglietti venduti e quello fu forse il problema più delicato da gestire. Di quella vicenda ho raccolto ricordi diversi, io vendo quella che mi piace di più: il servizio d’ordine fece filtrare la voce che sarebbero entrati tutti quelli rimasti fuori, con calma e a concerto ben iniziato. La cosa incredibile è che i “senza biglietto” si fidarono: roba da non credere.
Quanto ai biglietti venduti, non chiedetemi di darvi una cifra esatta: su questo si giocarono le polemiche politiche trent’anni fa, peraltro senza grande successo. Diciamo che in ciascuna delle due serate trovo verosimile che allo Stadio Braglia vi fossero più di trentamila persone. Qualcuno scrisse, a ragion veduta, di quarantamila. Dal punto di vista dell’ordine pubblico, non accadde nulla di importante, se siete interessati alla lettura dei mattinali della Questura. Dal punto di vista musicale accadde molto, moltissimo.
Se non c’eravate vi sarà facile fingere: potete trovare nel web il video del concerto e, se siete fortunati, anche il disco non ufficiale delle due serate. La qualità è quella che è ma, come si dice, l’importante è esserci.

Mi pare impossibile, però, provare a ricreare l’atmosfera di quelle due notti: per la prima e, forse, ultima volta ho pensato a un concerto come a un rito pubblico. Un rito sacro. Non riuscivo a credere che quei quattro ragazzi, che avevo visto timidi e in abiti dimessi chiacchierare con la sindaca della città, fossero sacerdoti sul palco, e che la musica prendesse il posto degli effettacci speciali. Penso che solo Springsteen avesse dal vivo quella potenza. I paragoni possono essere sbagliati, i ricordi no. Intendiamoci: il palco era immenso, o così parve a noi che avevamo passato raramente Secchia e Panaro; l’amplificazione era sui centomila watt dichiarati, le luci gestivano 600 fari. Eppure, nulla pareva superfluo.
Molti di coloro che vennero al concerto sono ancora convinti che quelle serate furono “diverse”: era diverso lo spazio (lo stadio Braglia), era diverso il numero degli spettatori, era diverso il pubblico. Sono alchimie che si formano anche per una notte sola, poi magari svaniscono. Scrisse giustamente Mario Luzzatto Fegiz sul “Corriere della Sera”: “La platea sembrava pervasa da un’ansia di rinnovamento, di valori positivi che si sono manifestati clamorosamente allorché Bono ha accennato le prime note di Sunday Bloody Sunday (sulla violenza nell’Irlanda del Nord)”. Il critico musicale si riferiva al concerto romano allo stadio Flaminio, a Modena avrebbe potuto ripeterlo con ancora maggiore convinzione.

Quando il 29 maggio, alle 21.13, la voce di John Lennon che canta Stand by Me fa da sigla al concerto degli U2, si alza un coro di quarantamila persone che gonfia il cuore e lo stadio.
Entrambi i concerti del 29 e del 30 maggio si aprirono con Where the Streets Have No Name, la canzone che apriva anche il loro album. Presentarono molte delle canzoni di quel disco e in ciascuna serata infilarono anche alcune cover di canzoni famosissime: Maggie’s Farm di Dylan, Bad di Michael Jackson, You’ve Got to Hide Your Love Away dei Beatles e Riders on the Storm dei Doors la prima sera. Così, tanto per far capire da dove venivano e cosa avevano dietro le spalle. Il 30 le cover non furono meno entusiasmanti: continuò l’omaggio ai Beatles, con Help e poi Rain, ma non meno potente fu la terna successiva, che comprendeva BadRuby Tuesday e Sympathy for the Devil. E così avevano metabolizzato anche i Rolling Stones. Ah, dimenticavo Gloria di Van Morrison.
Più che ricco il blocco dei gruppi spalla: Lone Justice, che avevano il duro compito di aprire la giornata verso le 16.30, i Big Audio Dynamite e poi i Pretenders di Chrissie Hynde.

Tra il primo e il secondo concerto gli U2 accettarono di incontrare il rappresentante del governo locale. Arrivarono abbastanza presto nel pomeriggio e si fermarono a chiacchierare, in piedi, con la sindaca di allora, Alfonsina Rinaldi. Erano giovani, erano gentili. In realtà, non sapevano dove il tour li avesse condotti. Avevano capito che uno stadio non è solo uno stadio e che attorno c’era qualcosa di più, sicuramente di diverso. Modena non sapevano dove si trovasse sulla carta stradale e tantomeno sapevano cosa significasse. Il tour manager, confessarono, gli aveva detto sbrigativamente qualcosa del tipo “Modena, Ferrari” e quasi si giustificarono per non sapere niente di niente. Allora, poi, non sembravano gente da Ferrari, non come i Duran Duran che lo sapevano eccome e avevano chiesto di andare in visita alla fabbrica.
Avevano tempo e se lo presero, parevano non avere fretta. E così si svolse una surreale chiacchierata tra Bono, con stivali e cappellaccio da cowboy, e la sindaca elegante: qualche battuta sulla Bonissima, la statuina d’argento che viene regalata agli ospiti di riguardo, poi su Modena e sull’organizzazione che aveva messo in piedi quel concerto. Loro facevano domande e lei provava a spiegare cosa erano i comunisti. Bono se la cavò affermando con convinzione che “gli italiani sono molto simili a noi irlandesi”, una frase che ripeté anche durante il concerto.
Per loro Modena poteva essere come il deserto dove si trova l’albero di Giosuè. The Joshua Tree era il loro album e il nome del loro tour. Per loro fu la svolta, per Modena il loro doppio concerto fu sicuramente il migliore di sempre. Il migliore di quelli che erano venuti prima, ed erano pochi, e migliore di tutti quelli venuti dopo, e furono davvero tanti.
 

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