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17 Maggio 2006 | Racconti d'autore

N°12-RACCONTI D’AUTORE

Josef Indig Ithai “Anni in fuga”. I ragazzi di Villa Emma a Nonantola. Firenze, 2006

Giugno 1942: alcune decine di ragazzi ebrei in fuga dai nazisti scendono alla stazione di Nonantola. Ad attenderli, Villa Emma, residenza dì campagna dove troveranno rifugio, tra paure e sogni della Terra Promessa, per quindici mesi.


Questo periodo cambierà profondamente la vita dei ragazzi, ma anche quella della comunità locale. A farci rivivere le loro vicende, a più di mezzo secolo di distanza, è il diario di uno dei protagonisti: Josef Indig Ithai. Le sue parole, scritte all’arrivo in Palestina alla fine della guerra, ci raccontano la storia, le emozioni e le speranze di quelli che da allora sono per tutti “i ragazzi di Villa Emma”.



Vi leggiamo l’inizio del 4° capitolo “In viaggio verso Villa Emma”…



A che scopo descrivere il viaggio? Attraversammo città famose, e nel complesso fu abbastanza piacevole. L’unico problema era che avevamo una fame tremenda, ma Markus dimostrò ancora una volta di conoscere bene la mentalità italiana e ci procurò del pane in diverse stazioni.



Modena! È mattino presto. Ci accoglie un piccolo ebreo con una barbetta a punta. II sagrestano! Ancora un po’ frastornati per il viag­gio, lo seguiamo fino alla sinagoga. La sinagoga e grande, ma in città gli ebrei sono pochi. Dopo l’introduzione delle leggi razziali molti si sono fatti battezzare.


Mentre siamo lì seduti, compare improvvisamente un rabbino pri­vo di minyan, che vuole approfittare dell’occasione per pregare. Va bene, facciamolo contento! Con sincero rispetto per il suo deside­rio ci copriamo il capo con tutti i berretti disponibili. Il rabbino vorrebbe tenerci sotto controllo con il suo sguardo severo, ma do­po un po’ quei birbanti si mettono a ridere. Dopo la preghiera c’è da mangiare. Non possiamo però uscire dalla sinagoga, per non de­stare attenzione.


Da non credersi, due giorni fa eravamo ancora in mezzo ai combat­timenti, e adesso siamo nel paese del fascismo. Non c’è coprifuoco! Tutto qui appare calmo, la vita scorre tranquilla, come se le truppe italiane non fossero al fronte e la popolazione fosse, d’accordo su tut­to. Una città italiana di media grandezza, la tipica vita per le strade. In un certo senso non riusciamo a condividere l’aria di timore con cui i nostri protettori parlano con noi, non riusciamo a metterla in relazione alla vita per le strade e nelle piazze.



Ora siamo sul treno della ferrovia locale che ci porterà a Nonantola, a Villa Emma. Un uomo corpulento si unisce a noi, si dichiara nostro amico e protettore. Resta quasi sempre in silenzio. Tutti nel­la carrozza sono trepidanti. Mi rivolgo ai ragazzi: «Che cosa ci at­tendiamo in pratica da Nonantola, da Villa Emma?».


«Te lo dico io, che cosa tutti si attendono”. Pauli, il tribuno del popolo, che tutela gli interessi dei suoi confratelli, si mette in posa: “Innanzitutto una migliore alimentazione. Se dovremo lavorare nei campi, bisognerà anche poter mangiare a sufficienza. Si spera che non ci rifilino le solite porcherie: come a Lesno Brdo. E poi vogliamo finalmente poter andare in città, in un posto civilizzato, con mo­numenti antichi e biblioteche. Ognuno di noi, grande e piccino, do­vrà ricevere una paghetta adeguata. Nella villa non ci dovrà più es­sere acqua da portare e legna da spaccare!”.



II treno si ferma accanto a una casetta con un cartello: “Nonantola”. Pieni di curiosità ci avviamo lentamente, guidati dal nostro grasso amico. Dietro di noi una folla di italiani, abitanti di Nonantola, tra i quali d’ora in poi vivremo.



Nonantola è un villaggio abbastanza grande e ben sviluppato. Accan­to alla stazione della ferrovia locale Modena-Ferrara c’è un imponen­te capannone industriale. Vi si producono conserve di tutti i generi, con i prodotti agricoli della zona: pomodori, verdure, frutta. Davanti al capannone c’è sempre una fila di carri agricoli a due ruote che at­tendono di scaricare. La fabbrica è stata fondata da un ebreo. Adesso la fabbrica lavora per la Germania. Guardando verso il centro storico, si scorge una torre quadrata antichissima. In seguito ci spiegarono che Nonantola è un villaggio con un passato ragguardevole, che risale ai Romani e ai primi papi. Vi è sepolto papa Silvestro I, e c’è una chiesa abbaziale del X secolo con ogni genere di reliquie.



Svoltiamo in una strada asfaltata. I bambini del paese ci ridono die­tro. In un primo momento pensiamo che sia per scherno, ma presto ci rendiamo conto, con grande stupore, che è un segno di cordiale accoglienza.


Da dietro gli alberi spunta un edificio magnifico, di stile rinasci­mentale. Il nostro accompagnatore si fa più loquace e inizia a spie­gare: “In casa non è stato predisposto ancora nulla. Nessuno sapeva che sareste arrivati così presto. Visitate pure la casa, ma ancora non potete occupare tutte le stanze. Le trattative con il proprietario non sono ancora concluse. Per il momento le autorità hanno requisito per voi solo i locali strettamente necessari».



Villa Emma era la residenza estiva di un latifondista ebreo, che l’a­veva chiamata così in onore della moglie. È un grande edificio qua­drato con due lunghe ali laterali sul retro. Un’ampia, elegante scali­nata da accesso alla casa attraverso una porta a vetri. Sul loggiato d’ingresso vi sono imitazioni dì colonne in stile greco, con decorazioni rinascimentali. Tutto è luminoso, arioso, lineare. Sopra il log­giato d’ingresso, al primo piano, vi è una seconda loggia con belle decorazioni. Le due ali laterali delimitano un cortile lastricato, al centro del quale vi è un’aiuola fiorita. In fondo alle ali laterali il cor­tile è chiuso da un muro con un cancello di ferro.


All’interno della casa regnava una sporcizia incredibile, come se da decenni non fosse stata toccata da mano umana. In un angolo era­no rintanati alcuni ebrei di Bengasi. I giudizi dei ragazzi sulla casa erano contrastanti. Le stanze erano magnifiche, ma molti erano di­sgustati per la sporcizia. E davvero non era stato predisposto niente! Di chi era la colpa?


«Abbiate pazienza!», ci dicevano i nostri amici, «e non cominciate a mugugnare prima di non aver fatto voi stessi qualcosa per sistema­re la casa!».



Passati alcuni giorni, continuavamo a essere avviliti. A che serve una casa bellissima, se si pensa di dover continuare per molto tem­po a dormire sulla paglia? Eravamo pigiati in due stanze, i maschi in una, le femmine nell’altra. Non c’era altra soluzione. E meno male che era estate, perché i pavimenti di pietra erano freddi. Non era­vamo riusciti a ottenere delle coperte, e i nostri bagagli da Lesno Br­do ancora non erano arrivati.



Per circa un mese le cose andarono avanti cosi: alzarsi, ramazzare la paglia nelle stanze, lavarsi a una pompa davanti al portone, mangia­re in trattoria. Poi magari si teneva un’assemblea, per discutere di qualcosa, e dopo si bighellonava per il paese. La popolazione ci osservava con stupore dalla mattina fino alla sera. Ogni giorno nasce­vano nuove amicizie tra i nostri compagni più grandi e i ragazzi del paese, che erano inquadrati nei ballila. Ci portavano regali, che do­vevamo accettare. Ogni tanto Gino Friedmann il rappresentante della Delasem a Modena, veniva a farci visita e si informava di co­me stavamo. Soltanto nelle ore serali, quando cantavamo seduti tut­ti insieme sui gradini, e la popolazione non ci fissava più a bocca aperta, avevamo ancora la sensazione di formare un collettivo.

Brano corrente

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