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9 Febbraio 2017 | Racconti d'autore

Allora io vado

Testo tratto dal romanzo omonimo di Laura Gambi (Bologna, Pendragon, 2016)

A cura di Vittorio Ferorelli. Lettura di Alessia Del Bianco

Una donna matura (si direbbe “realizzata”), scompare in un bosco senza lasciare tracce. Poco prima, una donna più giovane (si direbbe “precaria”) entra per caso in contatto con lei: forse è l’unica a poterla salvare, ammesso che voglia esserlo. Da questo innesco misterioso scaturisce il racconto della scrittrice ravennate Laura Gambi.

1. trentuno ottobre

La donna sta seduta a testa bassa, in attesa. Guardo l’ombra della candela fluttuare sul raso verde del tavolo, le mie mani posate tra un mazzo di carte romagnole e un bicchiere di plastica bianca, con un po’ di birra oramai svigorita.
Mi preparo a parlarle, ma la bocca è piena di saliva. Seguo il consiglio del mio venerabile maestro – lo chiamo così per scherzare – e allungando il collo in avanti l’inghiotto in tre piccoli sorsi con la sensazione di spingerla nell’intestino.
Mi sento subito sollevata. La donna poggia una mano ingioiellata sul tavolino, mentre l’altra pende lungo il fianco in una posa lasciva, come di resa, un abbandono che contrasta con il suo aspetto curato, un desiderio di annullarsi, di non essere.
L’essere è, e il non-essere? Osservo la fede d’oro bianco, raffinata.
Il viso non tradisce nessuna emozione. Lo sguardo è oscurato, più che triste. Le faccio pescare una carta con la mano del cuore, quella sinistra che i musulmani usano per lavarsi.
Il Matto. Un uomo che non si cura di sé e non ha casa in questo mondo. Sovvertimento dell’ordine e delle regole.
«Mi può dire il suo nome?».
«Isa» sussurra.
Isa occhi verdi. Isa essiccata.
«Isa, qualcosa succederà nella sua vita, un grande cambiamento improvviso, non preventivato».
«Nel lavoro?».
Le faccio pescare un’altra carta.
La Morte. Uno scheletro in un campo cosparso di teste e dita. Fine e crollo di qualcosa, per sempre. Dopo la morte, la rinascita.
«Non solo nel lavoro, in generale nella sua vita».
«Cioè, qualcosa di brutto?».
Non capisco come mai si sia seduta davanti a me. Le persone a un certo punto hanno bisogno che qualcuno dica loro ciò che già sanno, ma che fingono di non sapere. Non ho voglia di procedere, ma lei inizia a parlare.
«Posso dirglielo? Purché rimanga una cosa tra noi».
Io non la conosco e non vorrei sapere chi è.
«Il mio, oggi, è un matrimonio infelice. Soffro. Mio marito mi ha delusa, è un uomo assente, non mi ama più. Sono molto sola.  Quando i figli se ne vanno, l’uomo con cui hai vissuto tutta una vita è altrove. Non pensa più a te. Ti subisce».
«Credo che faccia male» so dire solamente, ma provo pena per lei, la signora elegante davanti a me. La immagino piena di presunzione in altri contesti, un’esistenza ridondante, ma l’essere umano, la donna, è fragile ora.
Poi si gira. L’amica l’aspetta. Più elegante di lei, firmata e giovane, è lì per accompagnare il figlio, un figlio di razza. Le fa un cenno. Io cerco di concludere, qualcosa devo pur dirle.
«Comunque, i cambiamenti, quando si soffre, sono sempre salutari».
Incede su scarpe nere Louboutin. Si gira. Lo sguardo, pieno di sofferenza, è una supplica. La vedo nel profondo. Non mi piace entrare nel dolore degli altri se non lo decido io.

La serata procede nel caos di petardi scoppiati nelle stradine circostanti. I ragazzini corrono su e giù, si sono tolti le giacche, le facce dipinte di rosso e nero, come fantasmi in mezzo al fumo, alla musica e al freddo umido della notte.
Le persone sostano nel buio, per sedersi davanti a me. Cosa vuoi che ti racconti? Cosa vuoi scoprire di te oggi?
Eccoli, una volta seduti, entrare nel mondo della notte, basta una parola perché comincino a raccontare di sé senza pudore, amore dolore malattie speranze. Tutto quello che di giorno cerchiamo di dimenticare, il fardello che qualcuno ci ha assegnato.
I ragazzini a turno arrivano al tavolo vicino al mio, riempiono bicchieri di carta con coca-cola marrone, poca schiuma, in bottiglie da un litro e mezzo, ficcano in bocca dolcetti a ferro di cavallo, un punta intinta nel cioccolato fuso, ora seccato, burrosi.
Anch’io mi alzo. Al sapore di birra sul palato, mischio i ferri di cavallo dolci, in bocca un rincorrersi di morbido e duro, un’insensatezza di sapori. Mio nipote non compare ancora, rintanato nel buio con la banda, a bruciare carta con ragazzine accessoriate.  Jeans a vita bassa, capelli stirati in avanti, High School Musical.
Un uomo giovane viene a sedersi al mio tavolo. Con gli uomini sento imbarazzo, non hanno l’avventatezza di dirti tutto subito, ma se ci credono finisce che ci pensano di più. Ci pensano di più, ma in un altro modo. Ci pensano senza divagare, nell’immediato, in concreto.
«Tua moglie ha avuto un figlio, giusto, ma ci sono chiacchiere in giro, su questo figlio. Sono sciocchezze, ma ti fanno male».  Non osa dirmi che è vero, ma lo guardo negli occhi e capisco che qualcosa succede. Penso allora che non si possono dire cose come queste a uno sconosciuto. Entrare direttamente dentro ai pensieri più protetti, senza bussare. Mi sento male e voglio andare via.  Poca consapevolezza sul suo volto.
Finalmente mi alzo, dico che la cartomante ha finito.
Il nipote non vuole venire a casa con me. Vuole vedere bruciare la strega. Piazzata in mezzo al campo. Un cappello enorme di cartapesta, alta quasi tre metri, abito di cartoni e carta velina, volto marrone e naso enorme, con un neo in punta.
Una pira di fuoco e fiamme, nel buio autunnale, in mezzo alle stoppie, vento che trasporta brandelli di carta infuocata verso gli alberi: qualcuno si lamenterà, speriamo che non prenda fuoco qualcosa.
Si consuma il volto roseo e spaventoso, si illumina di rossi riflessi di dramma.
Isa è ancora là in piedi, il volto illuminato riflette lo stesso dramma: non ce la fai più, sei straziata dentro, morirai di consunzione, per esempio un tumore o un morbo più cattivo per punire quell’uomo per la sua assenza, che so, un parkinson. La vita, a volte, la lasciamo così, per punire gli altri o anche solo noi stessi per essere stati incapaci di affrontare il dolore.
Scappa se puoi, allontanati veloce, non avere paura. La fine è una sola.

Brano corrente

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