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17 Dicembre 2020 | Racconti d'autore

Anticorpi bolognesi

Testi tratti dal libro omonimo, prodotto da “Witness Journal” (Bologna, Edizioni Pendragon, 2020)

Vittorio Ferorelli

Come reagire all’isolamento, producendo anticorpi civili? Lo racconta il libro fotografico messo su carta dal mensile di fotogiornalismo online “Witness Journal”, che documenta, con la forza silenziosa delle immagini, alcune delle azioni individuali, collettive e imprenditoriali realizzate a Bologna durante il confinamento della primavera 2020. Il 10% del ricavato dalla vendita delle copie andrà alle “Cucine Popolari”, la mensa che dona pasti offerti dalle imprese del territorio. Le fotografie sono di Giulio Di Meo, i testi di Sara Forni, con le grafiche di Vittorio Giannitelli e le illustrazioni di Elle alias Luca Ercolini. Ringraziamo per la lettura Alessandra Ambrogi e l’associazione “Legg’io”.

Ripensare il futuro

Ti do due minuti per disegnare un labirinto che ne richieda uno per risolverlo.
Dominick Cobb

Italia, marzo 2020 – esterno giorno.
Gli ospedali sono allo stremo. Strade desolate, bar chiusi, le montagne, i musei, le chiese deserte, la paura e il sospetto, la sopravvivenza in prima linea, le code (a distanza) fuori dai supermercati, una sigaretta in terrazza, il lavoro virtuale come la scuola di tuo figlio, metti un Leonard (Cohen) e la speranza in un arcobaleno.
Ancora credevamo fosse un film. Di fantascienza, ovvio. Il pianeta Terra viene improvvisamente attaccato da un nemico invisibile, un virus letale, un contagio; l’esercito nazionale si prepara alla difesa… e poi l’intoppo sugli schermi – non c’è niente da combattere, non davvero e non qui.
Nel frattempo, i medici e il personale ospedaliero e volontario vengono sottoposti a turni massacranti per arginare la malattia (orribile), salvare vite, confortare e supportare, come fanno da sempre in realtà; solo che ora ce ne accorgiamo di più.
Così li guardiamo ammalarsi, li riconosciamo, li fotografiamo in volto e capiamo di aver atteso troppo tempo per proteggerli e occuparci di loro. Ora finalmente vorremmo aiutarli, quando un tremendo dubbio ci assale: forse abbiamo sbagliato il film.
Forse siamo caduti in un loop. Ci troviamo in una foresta e possiamo addirittura scegliere se restare immobili oppure fare qualcosa per sopravvivere. Prendi una città, come ad esempio Bologna, dove la risposta è una questione di anticorpi, non di fantascienza. Anticorpi sociali come i fiori di Auser, i polmoni meccanici della Siare Engineering, le “Staffette alimentari partigiane” di YaBasta, Làbas e TPO, le spalle larghe di “Don’t Panic” con la calda voce di Radio Leila, gli spaghetti di Casa Zanardi e le note leggere dell’Orchestra Senzaspine.

La morte è una cosa inconcepibile, ma puoi riconciliarti con essa. Fino a quel momento passerai i giorni a chiederti se hai fatto le scelte giuste.
Lo Straniero

Molte cose del coronavirus non le sapevamo e molte ancora restano sconosciute, ma una ce la ripetevano i nostri nonni: prevenire è meglio che curare. La scienza può curare ed è un mezzo potente, ma è pur sempre un mezzo e non un fine. Per prevenire bisogna scegliere nella foresta la propria strada da percorrere, anche se questa può essere intricata, insidiosa, complessa e molte volte incomprensibile. Cosa succederebbe ad un mondo dove gli anziani non fossero più i depositari di un sapere, guida e testimone per le generazioni future; e che accadrebbe alle nuove generazioni se non riuscissero più a trovare nel loro paese spazio e possibilità, tanto da desiderare di fuggire lontano dalle proprie radici di appartenenza?
Quale destino avrebbe un pianeta se l’uomo si comportasse da padrone assoluto, abusandone al punto di mettere a rischio non solo l’esistenza e l’equilibrio di migliaia di altre specie viventi, ma persino la sua?
Se la storia ci insegna che ad ogni grande crisi segue un imprevisto risveglio, che può esserci qualcosa di prezioso anche nella morte e nello sconvolgimento, dovremmo rivedere subito le nostre priorità. E non si tratta solo degli ospedali e dello stato e di un sistema diverso che investa davvero in sostenibilità, cultura, sanità, tutela dei più deboli, integrazione, scuola, lavoro e che non svenda le sue risorse più preziose, ma le sostenga.
Abbiamo bisogno di più anticorpi sociali e di una collettività condivisa basata su modelli diversi che ripensino radicalmente le comunità, le città, la natura, lo spazio e il tempo in cui viviamo al servizio dell’altro. Ci serve più umanità.

“Che mondo ci aspetta nel futuro?”. Lo Straniero: “Spero uno migliore di quello che è oggi”.

[Matilde Castagna]

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Con la scusa dei fiori

A Bologna oltre mille ragazzi si sono offerti volontariamente per portare la spesa a casa di chi è più in difficoltà; come anziani e disabili. Tra loro c’è anche Silvia, studentessa che durante il lockdown ha iniziato a collaborare con Auser.
Insieme alla spesa, Silvia regalava anche fiorellini ai signori anziani che, in realtà, spesso aspettavano solo la visita di uno dei volontari per avere un po’ di compagnia. Silvia era convinta che anche un sorriso fosse un bene essenziale, utile a colmare la solitudine dell’anima, tanto quanto il pane quella del corpo.
Tra loro, ci sono anche Giuseppe e Angela. Per loro, la consegna settimanale della spesa non significava solo rifornimento di cibo, ma un vero e proprio scambio di umanità e compagnia. Nei giorni in cui l’isolamento si faceva più duro da sopportare, Angela chiamava spesso i suoi figli, i quali però vivono a 400 chilometri da lei, nelle Marche, e spesso avevano altre preoccupazioni per la testa, come i figli a casa da scuola e un lavoro da ripensare in regime di smart working.
A farle compagnia c’era il suo cagnolino che, puntualmente, portava a spasso due volte al giorno, come fosse il suo appuntamento con una routine di libertà. Angela aveva molta paura del coronavirus. Racconta, infatti, che in tutta la sua vita non si è mai sentita così inerme; un po’ perché sa che la sua età non l’aiuterebbe in un eventuale caso di contagio, un po’ perché non avere una data di scadenza dell’emergenza rende più lento e confuso il tempo delle sue giornate nel loro trascorrere tutte allo stesso modo.
Giuseppe, invece, fin dall’inizio era più ottimista. Si potrebbe definire un signore 2.0. Il mondo digitale per lui non è un mistero. Ha un pc, un tablet e uno smartphone che usa per rimanere in contatto con i suoi amici, esploratori digitali come lui.
Non solo videochiamate, ma anche giochi di carte virtuali e brevi video in cui si raccontano le giornate. Il più divertito da questa pratica bizzarra per un gruppo di quasi ottantenni è Luciano che, una volta avuto il permesso di uscire fuori di casa per una passeggiata con i figli, tra una ricetta e l’altra, ha portato a spasso il Bimby.
Quando Silvia suona il campanello di Sofia e Giuseppe, a loro viene da sorridere, come se arrivasse quella nipote lontana che non vedono da tempo. Sanno benissimo che insieme a frutta e verdura, dentro le sue grandi sporte della Coop avrà anche un mazzolino di fiori di campo.

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E uscimmo a riveder le piazze

Cinque minuti di silenzio – simbolo di oltre due mesi di indifferenza – seguiti da un grido liberatorio. Si è concluso così il lockdown degli oltre mille lavoratori della cultura e dello spettacolo, che a fine maggio hanno istituito un grande flash mob davanti alle Due Torri.
Bolle di sapone, musica, sorrisi, abbracci distanziati. La loro iniziativa ha sancito il passaggio a una sorta di nuova libertà e, da quel momento in poi, le strade e le piazze della città sono tornate a essere lo spazio centrale per la rivendicazione dei diritti, permettendo ai percorsi nati prima della pandemia di intrecciare le istanze nate proprio durante la quarantena.
C’erano i migranti, per settimane rimasti in centri accoglienza senza sapere quale sarebbe stato il loro destino, lamentando condizioni di salute inadatte alla situazione. C’erano i collettivi e le associazioni femministe che si sono battute ogni singolo giorno, garantendo l’apertura delle case-rifugio anche quando tutto il resto era chiuso, per contrastare la situazione di disagio vissuta dalle donne vittime di violenza domestica, durante la quarantena più a rischio che mai. Ma c’era anche chi, con semplicità, aveva soltanto il desiderio di salire sulla bicicletta e pedalare liberamente, senza essere interrotto, senza avere la paura di venire fermato, senza il timore di una multa per una boccata d’aria.
C’era chi entrava nei negozi, rispettando con rigore le interminabili code, e chi fotografava le persone intente in interminabili code.
Di questi momenti, sarebbe importante ricordare: dei sorrisi e dei primi timorosi abbracci, dei vorrei, ma non posso, degli occhi che hanno imparato a sorridere al posto della bocca, nascosta dalla mascherina. Dell’odore della pioggia, differente sull’asfalto da quello su un prato. Perché con l’esperienza si impara, ma mai abbastanza.
Chiusa tra quattro mura silenziose, più volte mi sono detta che mi sarebbe bastato poter uscire anche solo per una passeggiata, consapevole delle libertà che mi venivano tolte decreto dopo decreto e all’improvviso riacquistate.
In realtà, è bastata un’estate per farmi dimenticare quello che è stato. Gli Anticorpi aiutano ma non rendono totalmente immuni. Per questo vorremmo fossero coltivati giorno dopo giorno. Per questo, esistono questo progetto e queste fotografie.
Non per l’importanza del presente, ma per il messaggio che vorremmo rimanesse in futuro. Ai noi anziani e ai figli giovani, fino a chi non l’ha vissuto e ne sentirà soltanto parlare.

[Sara Forni]

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Musiche
Leonard Cohen – “Take This Waltz” (Paris version)
Downtown Boys – “Dancing in the Dark”
Bandão – “Vento” (dedicato a Marielle Franco)

Brano corrente

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