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18 Gennaio 2014 | Paesaggio dell'anima

Antonio Delfini, la vita idiota di tutti i giorni.

Un viaggio in regione attraverso la musica

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

18 gennaio 2014

Modena City Ramblers: Delinqueint Ed Modna

Cari ascoltatori del «Paesaggio», cominciamo il nuovo anno da Modena, l’antica colonia romana Mutina – la Mutna etrusca – posta sulla Via Emilia, città ducale e, soprattutto, la città di Antonio Delfini. Vi parleremo della città con le parole di Delfini, scrittore che amiamo tanto perché è un “irregolare”, uno che non si prende sul serio ma – come scrive Gianni Celati – uno che “ci ha lasciato alcuni racconti tra i più belli, i più innovativi e freschi di tutta la letteratura contemporanea”. Prima di dar voce a Delfini, cerchiamo di inquadrarlo meglio, sempre seguendo i ragionamenti di Gianni Celati – altro grande scrittore, però contemporaneo e di famiglia ferrarese – che di Delfini ammira la capacità di “autoderisione”, cioè di “presentarsi a chi legge come un autore senza autorità, magari un imbecille (come faceva Satie)”. E dunque è di Erik Satie il brano musicale che vi facciamo ascoltare ora. C’è sicuramente affinità tra la prosa ironica e spaesante di Delfini, attratta dalla “vita idiota di tutti i giorni”, dal fascino della stupidità, e la stravaganza del compositore francese, un genio che – ricordiamolo – era fissato con il numero tre, con gli ombrelli di cui era collezionista e con i completi di velluto, che possedeva in gran quantità, ma tutti uguali.

Musica. Erik Satie: Gnossienne n° 5 (pianoforte: Katia Labèque).

Ah, Delfini: ti facciamo parlare subito di Modena! «Le più belle ragazze della città guardano, passando, dentro al caffè, furtivamente, in cerca di qualche ammiratore; poi si fermano ridendo al cinematografo di faccia, analizzano ben bene le fotografie dei divi e delle dive, finché la madre, con le signore amiche, non arriva anche lei per prendere i biglietti, e tutte spariscono dietro l’uomo che strilla. Mi assale la noia. La scaccio guardando una ballerina viennese della compagnia d’operette. Cerco d’interessarmi alla sua vita, ma nulla, la noia torna, e quella lunga passeggiata domenicale seguita a transitare davanti al caffè: allievi della Scuola Militare, signori, impiegati e sartine, sciatori in riposo, qualche poveretto che stende la mano. Tutta questa gente cammina ammirandosi e bestemmiandosi, tenendo la destra. Io sto pensando d’andare via domani, se ci sarà il sole, via verso il respiro della campagna o la soffocazione della grande città, dove udrò tanta gente che grida forte senza un perché».

Musica. Caterina Caselli: Com’è buia la città.

Naturalmente anche Caterina Caselli è modenese. Ma torniamo a Delfini. La vita di Antonio Delfini, erede di una famiglia di proprietari terrieri caduti in disgrazia, inizia a Modena nel 1908 e termina a Modena nel 1963. La vita, lui la guarda dal suo angolo di provincia, tra il palazzo di famiglia nel centro città, che perderà nel 1935 per raggiri di altri e ingenuità sua, e la villa di campagna a Cavezzo, vicino a Mirandola. La musa di Delfini – è stato detto – è l’angoscia, più ancora della noia e dell’eros. Angoscia che nei Diari descrive come “il raggrupparsi dei momenti stupidi, profondi, passionali, ecc., che si scorrono giorno per giorno nella vita”. Angoscia come smarrimento, come perdita, come impossibile ritorno al passato. C’è un racconto, La passeggiata, che inizia così: «Sono andato dove non so, dove non sono forse arrivato, dove non mi è piaciuto andare, perché la gente se ne avesse a male. (…) Mi pare che la via fosse libera e pulita perché il cielo aveva voluto così. Mi pare che ogni tanto ci fosse una casa come quella della vecchia che stava alla porta a filare e di sera raccontava le favole ai bambini. Mi pare che a un certo punto ci fosse un castello con due occhi neri che mi guardavano, e mi affascinavano come la sala di un caffè dalle tendine rosse».

Musica. Roxy Music: Jealous guy.

«Udivo un suono di chitarra, un canto di ubriachi, e sentivo un odor di fiori di campo sotto la luna, perché era giorno e la fantasia correva con la sera, così come alla sera va via col sole che nascerà domani. Pensavo che cosa ero io e camminavo. Fischiavo cantavo e continuavo a camminare. Sognavo di arrivare in una città che tenesse le fanfare in piazza tutto il giorno e tutta la notte e nei minuti d’intervallo tra una sonata e l’altra, si udisse il fischio dei treni sortire dai comignoli delle case. Poi pensavo, chissà, che oltre quei monti ci doveva essere una ragazza con gli occhi verdi che guardava sempre il mare. I monti stavano a picco sulla valle e avrei dovuto arrampicarmi lassù a forza di unghie. E se l’avessi trovata là sulla cima? No, era impossibile, lei non stava che in faccia al mare».

Musica. Luciano Pavarotti, Irene Grandi, José Mancini & Orchestra Sinfonica Italiana: Guarda che luna – In cerca di te.

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