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11 Febbraio 2021 | Racconti d'autore

Diari della vita di prima

Testo inedito di Paola Berselli e Stefano Pasquini (Teatro delle Ariette) / prima puntata

Vittorio Ferorelli e Rita Giannini

Stefano Pasquini e Paola Berselli, attori e contadini, vivono alle Ariette, un podere nel cuore della Valsamoggia, sulle colline a sud-ovest di Bologna, dove hanno creato un vero e proprio “teatro in mezzo ai campi”. I loro spettacoli nascono spesso dal diario in cui raccontano il mondo attraverso le azioni e i sentimenti della vita quotidiana, e si concludono condividendo con gli spettatori gli alimenti prodotti con il loro grano. Vi proponiamo in anteprima, dalla loro stessa voce, un brano del libro in cui, durante la pandemia, hanno deciso di raccogliere i diari scritti nel corso degli anni.

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Sono trent’anni che Paola e io viviamo alle Ariette. Dal novembre del 1989.
Io sono Pasqui.
Sono trent’anni che lavoriamo questi campi, li seminiamo e li coltiviamo.
Sono trent’anni che ogni giorno passato alle Ariette, la mattina e la sera diamo da mangiare ai nostri animali, li puliamo e li curiamo. E sono trent’anni che nella nostra cucina trasformiamo in cibo i prodotti che gli animali e i campi ci danno. Ma non solo, nella nostra cucina, con Paola, parliamo anche, discutiamo, scriviamo, litighiamo, ci raccontiamo sogni e progetti e immaginiamo i nostri spettacoli.
In trent’anni sono successe tante cose.
Non so perché. Forse per tentare di trattenere questo tempo che passa  troppo in fretta, l’estate del 2019 abbiamo deciso con Paola di scrivere un diario, dal 21 giugno al 21 settembre. Abbiamo deciso di scrivere il diario della nostra vita quotidiana.

Le Ariette, 19 giugno 2019

Non si può essere tristi il mese di giugno, tutto è pieno di vita.
Ieri è stata una giornata speciale: la festa del nostro trentesimo anniversario di matrimonio.
Ci siamo svegliati alle sei di mattina. Abbiamo cominciato il lavoro sistemando il teatro in mezzo ai campi. Poi abbiamo dato da mangiare ai nostri animali.
Alle 9, appuntamento in paese, a Bazzano, tutti e due dal dentista.
Quando siamo rientrati ci siamo messi alle raccolte nell’orto: le fragole, la lattuga, i ravanelli e la bietola da cucinare per la festa.
A casa, Pasqui si è messo lavare le verdure e a cucinare, mentre io sono tornata al teatro per preparare i piatti, le posate, i cestini e tutto il resto.

Ci siamo detti che assomigliava a trent’anni fa, quando ci siamo sposati ad Anzola dell’Emilia, dove abitavamo prima di venire alle Ariette. Il 18 giugno 1989 era una bellissima giornata di sole e anche allora avevamo preparato da mangiare per i nostri invitati, avevamo cucinato tutta la notte, dormendo a turno un po’ per uno.
Pensando a queste cose, a quella giornata di trenta anni prima, Pasqui si è messo a impastare il pane con la farina del nostro grano, quello che abbiamo raccolto l’estate scorsa. Prima di venire alle Ariette, trenta anni fa, Pasqui non sapeva veramente cosa fosse il grano.

20 giugno

Anche oggi una vera giornata d’estate, di luce, di caldo.
Ogni tanto guardo il nostro piccolo campo di grano. Saranno duecento metri quadrati. Quest’anno il piano di rotazione dei nostri campi non prevedeva grano, ma questo pezzettino lo abbiamo seminato lo stesso, per festeggiare i trent’anni di vita alle Ariette. Quando vedo le erbe selvatiche che ci crescono in mezzo lo confronto ai campi coltivati con l’agricoltura convenzionale. Noi facciamo il biologico da sempre, il nostro grano non è mai stato pulito come quello degli altri. Quelli che arrivano a raccoglierlo con la mietitrebbia ti guardano storto se fai il biologico. E se poi oltre al biologico il tuo campo è piccolo, i terzisti con la mietitrebbia scappano.
L’anno scorso uno ci ha detto: “No, non vengo, voi dovete smetterla di coltivare il grano”. Ma noi continuiamo lo stesso, sempre biologico, sempre piccoli campi, troveremo altri sistemi per raccoglierlo, magari anche a mano, col falcetto, perché il grano è un pezzo insostituibile del nostro rapporto, del nostro amore, come il teatro, gli animali, le Ariette.
Pasqui e io abbiamo un patto segreto: semineremo il grano sempre, finché sarà possibile, nel grano c’è la felicità dell’eterno.

23 giugno

Ieri sera non ce l’ho fatta a scrivere, ha vinto la stanchezza di una giornata di lavoro in campagna. Ha vinto la pioggia con la grandine che nel pomeriggio è arrivata a rovinare il fieno che era pronto da imballare e le piante di zucchine, fagioli, zucche e pomodori che stanno crescendo.
Contro la grandine non c’è niente da fare, solo aspettare, sperando che smetta. La nonna Ortensia mi raccontava che una volta si pregava. Si pregava molto e Dio ascoltava perché, lei diceva, prima o poi smetteva.
La nostra vita è legata a un filo. La grandine potrebbe non smettere mai, la pioggia potrebbe continuare per sempre e noi saremmo destinati a morire. Noi ci siamo solo perché il nostro DIO-NATURA interviene e dopo la pioggia fa tornare il sole.
Bisogna pregare il nostro DIO-NATURA e tenerlo sempre con noi, ricordarci che è lui che ci dà la vita ogni giorno, che ogni giorno ci dà il sole, la pioggia, l’aria per respirare, il cibo per mangiare.

Prima della nostra seconda vita, quella che è cominciata trenta anni fa alle Ariette, quando vivevo ancora in città, a Bologna, non avevo la patente e viaggiavo in treno. Guardando fuori dal finestrino vedevo la campagna. In inverno e primavera vedevo solo campi di erba e in estate campi di grano. Non pensavo che fossero gli stessi campi, non associavo le cose, non mi domandavo nulla delle semine e dei raccolti. Mangiavo pasta, pane, vedevo campi di erba e campi di grano, ma non mi facevo domande, le cose da mangiare le comprava mia mamma, io mangiavo, guardavo, vivevo e pensavo ad altro. Forse per questo, quando abbiamo cominciato a lavorare a questo nuovo progetto, abbiamo deciso con Paola di adottare un campo di grano a Matera.

27 giugno

Alle sette e trenta siamo saliti in macchina e abbiamo lasciato le Ariette. Destinazione Matera. Vogliamo vedere la paglia e le spighe secche, gialle, di quel campo di grano che in aprile avevamo adottato quando era ancora verde, alto poco più di trenta centimetri. Vogliamo sentire e vedere la trasformazione di un campo di erba in un campo di grano.

Il viaggio è lungo, parliamo tanto. Ancora noi, l’uomo e la donna, il nostro incontro, la giovinezza.
Ci siamo conosciuti giovani e mentre ci frequentavamo abbiamo fatto esperienze, le abbiamo condivise, ci volevamo già bene ed eravamo già amici. E poi abbiamo deciso di dedicarci l’uno all’altra e siamo partiti insieme per costruire la nostra vita adulta.
I nostri corpi sono invecchiati, è normale, con loro facciamo più fatica a confrontarci ogni giorno.
Ci diciamo che fare l’amore adesso è più faticoso, che è più difficile, ma che non importa, noi ci amiamo sempre di più. E mentre ci diciamo queste cose il cuore batte e arriva in gola per il desiderio di toccarci, di baciarci, di stare insieme ora, in questo momento.

Arriviamo in Puglia. Il grano è già stato trebbiato, sui campi ci sono solo le stoppie e le balle di paglia. A Canosa usciamo dall’autostrada e prendiamo la SR 6. Dopo Minervino, nelle Murge, ci tuffiamo in un mare di grano, di spighe bagnate di sole e di cielo, di luce limpida e chiara.
Cielo e grano, blu e giallo, ma ogni campo è diverso dall’altro. Veniamo presi dalla frenesia di raccogliere qualche spiga da ogni campo, riempiamo la macchina. Sono soprattutto grani duri, spiga piccola con le ariste lunghe, pungenti e aperte.

Sulle strade viaggiano trattori, camion e mietitrebbie.E arrivare a Matera è come tornare a casa, il suo cielo è inconfondibile, bellissimo, di un blu che non c’è da noi, vorrei essere un pittore per dipingerlo e uno scrittore per poterlo descrivere.
Prendiamo le chiavi e andiamo al nostro alloggio. Siamo stanchi ma felici.
Durante il viaggio abbiamo desiderato baciarci e toccarci e appena arrivati alla camera ci baciamo a lungo, facciamo l’amore con una gioia che abbiamo dentro da quarant’anni, da quella prima volta nella tenda al campeggio.

Puliti, lavati, e profumati di doccia, torniamo alla macchina e andiamo al campo. È il tramonto. Le spighe sono là, dritte, mature. Anche quest’anno si è compiuto il miracolo, l’erba si è trasformata in grano.

15 luglio

Grano benedetto, grano maledetto…
Domenica scorsa, il 7 luglio abbiamo provato a raccogliere il nostro piccolo campo di grano.
Con due falcetti cominciamo a tagliarlo e a fare tanti mazzi di spighe che lasciamo a terra sulla fila. Non male, si può fare, però ci vuole molto tempo e quel piccolo pezzo di terra diventa ai nostri occhi un campo enorme.
I primi mazzi vengono bene e dopo un po’ la simmetria del piccolo campo si disegna, file di mazzi di spighe, ben allineati e stesi al sole. Ma poi il campo si inerbisce sempre di più. Ci scoraggiamo e decidiamo di usare la motofalciatrice e in mezz’ora finiamo di falciare il grano.
Poi con la forca facciamo un mucchio al centro del campo. La raccolta è finita.
Ieri lo abbiamo coperto con un telo perché non abbiamo ancora trovato il tempo per batterlo e le previsioni per oggi danno pioggia.

Quando saremo più vecchi e nessuno verrà più con la mietitrebbia, l’unica nostra possibilità sarà un piccolo campo come questo da raccogliere a mano per fare il nostro grano, la nostra farina, il nostro pane. In questi trenta anni abbiamo mangiato quasi sempre solo il nostro grano e solo il nostro pane.

Anni fa in una lettera a Pasqui, ho scritto che “Seminando il grano si può anche morire”.
Mi appare un’immagine che vorrei scacciare dalla mente: io e Pasqui di fronte al nostro campo di grano.
Pasqui è su una sedia a rotelle. Io gli sono vicino. Non parliamo. Ci teniamo per mano e guardiamo il grano. Sui nostri volti appare un sorriso: quest’anno il grano è bello, il campo è pulito, sarà un buon raccolto.
Poi io mi siedo per terra, accanto alla sedia a rotelle, metto la testa sulle sue ginocchia, Pasqui mi accarezza i capelli. Ci guardiamo e sorridiamo. Pasqui scende dalla sedia a rotelle e ci sdraiamo vicini, sulla terra, al bordo del campo di grano. La terra sotto i nostri corpi comincia a vibrare dolcemente e a ricoprirci come una calda coperta accogliente.
Ancora insieme per sempre, terra, grano, luna, sole, lupi… finalmente siamo terra, grano, volpe, lupo ruggente, sole, luna, neve, pioggia, vento.

[fine della prima puntata]

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La seconda parte dei “Diari della vita di prima” è pubblicata nella puntata del 18 febbraio 2021. Per saperne di più sul Teatro delle Ariette, si può ascoltare l’intervista di Piera Raimondi Cominesi a Paola Berselli e Stefano Pasquini.

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Musiche
Ella Fitzgerald & Louis Armstrong – “Summertime”
Eddie Vedder – “Guaranteed”
Franco Battiato – “La cura”

Brano corrente

Brano corrente

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