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20 Giugno 2016 | Racconti d'autore

Disertore nel conflitto siriano

Racconto di un richiedente asilo palestinese tratto dal libro “Tutta la vita in un foglio. Memorie di richiedenti asilo” (a cura di Sandra Federici ed Elisabetta Degli Esposti Merli, Sasso Marconi, Edizioni Lai-momo, 2014)

A cura di Vittorio Ferorelli

Dare voce a chi rischia di essere solo una foto o una cifra da notiziario: è questo l’obiettivo di “Tutta la vita in un foglio”, il libro che raccoglie 53 memorie di richiedenti asilo transitati in Italia tra il 2011 e il 2014, testimonianze raccolte in provincia di Bologna nell’ambito di vari progetti di accoglienza. Ascoltiamo una di queste vite.

Sono nato a D., in Siria e sono di nazionalità palestinese. Sono figlio di palestinesi rifugiati in Siria dal 1948.
Vengo dal campo rifugiati palestinese di Y., dove vivevo con la mia famiglia. Mia madre è siriana, faceva la direttrice di una scuola a Damasco ed ora è in pensione. Mio padre è palestinese, aveva un negozio e lavorava nella decorazione.
Ho iniziato a lavorare fin da piccolo, avevo 14 anni. Studiavo e lavoravo: nel 2004 ho ottenuto il diploma in economia. Ho lavorato con mio zio e facevamo grondaie. Avevo una fidanzata con cui avevo deciso di sposarmi, ma poi è scoppiata la guerra.

Io e la mia famiglia siamo stati costretti a scappare da casa molte volte a causa degli scontri tra i due schieramenti del governo e i ribelli. Questi scontri avevano luogo anche vicino a casa nostra. Ogni volta scappavamo con la speranza di poter tornare a casa.
Inoltre, a causa della guerra, l’esercito aveva iniziato a richiamare tutte le persone che la legge permetteva come soldati di riserva: se qualcuno non accettava, veniva arrestato o giustiziato. Le persone che avevano fatto il servizio militare venivano preferite per essere mandate direttamente a combattere, ed io ero tra quelli.
Infatti, anche i palestinesi erano obbligati a prestare servizio militare in un corpo speciale sotto l’autorità dell’esercito siriano, chiamato “Esercito di Liberazione Palestinese” (PLA).
Avevo prestato servizio militare obbligatorio dal 2005 al 2007: i primi sei mesi presso l’esercito siriano e dopo nel PLA.
Durante questo periodo sono stato spesso in prigione, anche per un mese, per cose banali come essere in ritardo alla mattina o avere il berretto posizionato male.
Le persone erano richiamate dal governo per televisione, chi aveva la casa riceveva una lettera di convocazione. Anche l’esercito di opposizione (FSA) chiedeva a tutte le persone capaci di utilizzare delle armi di unirsi a loro.
Io mi sono rifiutato di servire entrambi questi ordini: non voglio né prendere le armi né uccidere, perché avrei potuto uccidere un amico o un parente.

L’ultima volta che io e la mia famiglia abbiamo lasciato la nostra casa, non l’abbiamo più ritrovata al nostro ritorno. Una persona ha detto che un carro armato aveva sparato al piano terra del nostro palazzo e l’incendio aveva distrutto l’immobile. Così iniziò la nostra sofferenza: ci trovammo senza casa e fummo costretti ad andare da parenti e amici. Spostarsi era faticoso e pericoloso: per qualsiasi passo sbagliato potevamo imbatterci in un posto di controllo e potevano scoprire che eravamo dei disertori.
Ero costretto a rimanere a casa e uscivo solo per estrema necessità. Era ricominciata la diaspora della mia famiglia: mio padre era dovuto scappare dalla Palestina 65 anni fa per costruirsi una nuova vita a Y. e adesso iniziava una seconda fuga.
A questo punto i miei genitori decisero di vendere tutto quello che gli era rimasto per poter scappare e trovare un Paese più stabile lontano dalla guerra e dalla morte.

I miei genitori sono andati da mia zia in Egitto. La mia fidanzata è rimasta dai suoi genitori in una zona più sicura di Damasco. Mio fratello, che era nell’esercito, ha disertato ed è scappato in Libano. Ora lui vive lì, in un campo di rifugiati palestinesi e fa una vita d’inferno.
Io sono rimasto a casa dei miei nonni materni, cercando un modo per fuggire. Ero sempre molto attento e stavo sempre in casa. Avevo preparato un nascondiglio se per caso fossero venuti a cercarmi: ogni volta che qualcuno bussava alla porta scappavo in una casetta per gli attrezzi in giardino e ogni volta aspettavo che mia nonna mi venisse a chiamare per dirmi che la persona era andata via. Avevo paura non solo per me ma anche per i miei nonni perché stavano nascondendo un disertore. Sono stati i giorni più difficili della mia vita: un giorno sembrava durarne tre ed è andata avanti così per diversi mesi.

Un giorno mi ha chiamato mia sorella dall’Egitto per dirmi che c’erano dei trafficanti ad Alessandria che aiutavano i rifugiati siriani ad andare in Europa per 3.000 dollari. Questa notizia mi diede un po’ di speranza. Il problema ora era raggiungere l’aeroporto passando dai controlli e dalla polizia di frontiera. Chiesi ai miei amici e parenti, e mio fratello mi consigliò di rivolgermi alla stessa persona che lo aveva aiutato per raggiungere il Libano. Mi diede il numero e lo contattai.  Mi disse di comprare il biglietto aereo e lui mi avrebbe fatto fare il timbro sul passaporto per 100.000 lire siriane [circa 480 euro]. Così feci.
Ci siamo messi d’accordo che lui sarebbe passato a prendermi con la sua macchina tre ore prima della partenza in una piazza vicino alla casa dei miei nonni. Non mi fidavo di questa persona.
Alla fine arrivò all’appuntamento, passammo per strade secondarie per evitare i posti di blocco: in quelli che passammo, lui dava la sua carta di identità. Siamo arrivati in aeroporto dopo due ore lunghe e faticose. Ha preso il mio passaporto e la mia valigia ed è andato al check in. È tornato dopo poco con la mia carta di imbarco: a questo punto gli ho dato la busta coi soldi, sono salito sull’aereo e dopo due ore e mezzo sono arrivato all’aeroporto del Cairo. Mia sorella e uno dei miei parenti mi sono venuti a prendere e mi hanno portato ad Alessandria, dove abitavano.

Anche in Egitto però i miei parenti continuavano ad avere problemi per la casa e per il lavoro: c’era il coprifuoco di sera e le possibilità di ricominciare una nuova vita e trovare un lavoro erano pressoché impossibili. Sono rimasto lì circa 22 giorni. È risaputo tra palestinesi e siriani rifugiati che è possibile raggiungere l’Europa via mare. Ho conosciuto delle persone che mi hanno raccontato che tanta gente ha fatto questo viaggio e ora si trova in Europa. Mi hanno anche detto che il viaggio sarebbe stato lungo e difficile, ma io decisi di rischiare, utilizzando i 4.000 dollari che mi avevano inviato qualche giorno prima i miei zii che vivono in Svezia.
Ho pagato 2.000 dollari al trafficante che mi ha detto di farmi trovare pronto in qualsiasi momento. Dopo tre giorni mi ha chiamato e mi ha detto che dopo due ore saremmo partiti da Sidi Bacher, una spiaggia vicino ad Alessandria.

All’appuntamento c’erano circa 100 persone e c’erano pulmini che caricavano circa 14 persone alla volta e le portavano all’imbarco. Una volta scesi e dopo aver camminato qualche centinaio di metri, ci siamo trovati davanti a una barca che poteva caricare al massimo 20 persone. Siamo saliti, ci hanno coperto con un telone, non dovevamo fare rumore e così siamo partiti. Dopo un’ora in mare ci hanno spostato su un’altra barca da pesca che non poteva contenere più di 50 persone, ma che ne aveva a bordo più di 200. Il giorno dopo abbiamo incontrato un’altra barca che faceva il nostro stesso viaggio. Il viaggio della morte è durato otto giorni: siamo rimasti fermi due giorni per un guasto al motore, gli ultimi tre giorni non avevamo più da mangiare e l’ultimo giorno non avevamo nemmeno più l’acqua.
Abbiamo visto una nave e abbiamo iniziato a chiedere aiuto sventolando i giubbotti salvagente.
La nave si è fermata e dopo un’ora sono arrivate due barche della guardia costiera italiana che ci ha trasferito su due navi grandi, lasciando i nostri bagagli a bordo.

[Il libro Tutta la vita in un foglio. Memorie di richiedenti asilo è stato realizzato nell’ambito di “Bologna cares!”, la campagna di comunicazione del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) del Comune di Bologna.
Il 20 giugno 2016, per la “Giornata mondiale del rifugiato”, “Bologna Cares!” presenta il video animato dal titolo Accoglienza: una scelta positiva]

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