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5 Ottobre 2017 | Racconti d'autore

Eppure ho visto il mare

Poesie di Luca Ariano tratte da raccolte varie (edizioni: Farepoesia, Prospero, Dot.com Press)

A cura di Vittorio Ferorelli

Classe 1979, di origine pavese, Luca Ariano vive e lavora a Parma. Le sue poesie, popolate da personaggi ed espressioni della vita quotidiana di provincia, riflettono il paesaggio padano, oscillando tra incanto e lucida ironia.

Sulla Via Emilia

Di cancelli serrati, di ciminiere
spente – ma senza viaggiare
troppo lontano: per sentire
il sapore delle zanzare sulla pelle
e il calore umido del riso.
Tra parrucconi aristocratici con
quelle erre che frustano le orecchie
e graffiano le corde, mentre lo sguardo
delle rughe si scalda nel bicchiere.

Oggi festeggi. Ancora nelle vene
e sulle labbra ti accompagna ancora
il ricordo dei biscotti allo zenzero
e al cardamomo, che volevi danzare…

Non si sono incrociate le finestre
e ti porti sulla via Emilia una lunga
discussione da film, col nome uscito da un cartone,
in un’aria di neve che domani
impasterà le strade.

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Quella contrada – lo sai – per te
è rimasta lì immobile, come una fotografia
dove i colori sono tratteggiati
su una tavolozza crepata dal tempo.
Come quella tomba che non puoi vedere
o quella strada sbisciata tra le risaie.
C’era un posto vuoto a pranzo
e tu lì a spiegare l’imbarazzo del tuo volo,
del tuo passo troppo frettoloso
come quando tornavi da scuola.
C’è un portafoto da riempire e un fiore
di confetti che forse il caldo squaglierà.
Non è più per te – o forse non lo è mai stata,
la stagione delle danze,
di quello sgomitare sulle scale
e non ti resta da tenere il vestito
della domenica, un po’ largo e buono
per tutte le stagioni.

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L’hai fatto in quel parcheggio vuoto
con la pioggia a catinelle a battezzare
il pomeriggio, sul divano, o nel bagno
d’un ufficio ma tanto è dato per certo
che non la rivedrai nel piazzale
scendendo dalle colline in un sudore di sole.
In fondo sei sempre lo stesso che distrugge
i suoi mattoncini contro il muro;
quella convivenza quasi per gioco,
per non spegnere la luce senza un «Buona notte»
ma poi i nodi vengono al petto e ogni sabato
sotto quelle lenzuola un altro respiro.
Ti han regalato una terra battuta da un vento
Australe – proprio verso sera,
e non sai cosa daresti per vedere tua nonna
potare le sue rose o salire sul sellino
ma l’odore di stagione lo mischi alle polveri
della città, oggi, che Bologna, con la sua babele
di portici ti rassicura nel tuo anonimo sguardo.

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Quasi ogni sera, ormai da mesi, s’alza un vento
che pare di essere a Trieste,
di chiudersi in uno di quei Caffè storici
con poeti e filosofi senza trovare una soluzione
ma poi ritrovi il barista ruffiano e riservato
chinato a brillare sulla ragazzina dell’Est,
dimentico che il padrone del bar è la moglie.
Teresa osserva i fuochi della notte dalla finestra:
un tempo in quel regno senza tramonto
annunciavano un’altra preda dei Conquistadores
e casse d’oro da portare a palazzo da lasciar di stucco
i contadini a rattoppare la terra nuda.
Irma staffetta partigiana in pianura, si ricorda
dei primi spiccioli strappati di bocca tra macerie
per la nuova cooperativa dell’avvenire e carezzandoti
con le mani bruciate dal tempo pensa a sua nipote
a contratto fino a dicembre aspettando l’odore della neve.
La porteranno in quella nuova piazza
vicino ai casermoni appena costruiti sul campo di papaveri,
a rinfrescarsi con quei vecchi dallo sguardo fisso
prima della chiusura serale nell’ora dei saldi estivi.

[da “Contratto a termine”, Pavia, Edizioni Farepoesia, 2010]

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Ti ricordi Giggino
i campi pascolati di bufale?
Favoleggiavano che erano giunte
dal lontano Oriente…
Hanno interrato tutto
sopra asili… scuole… ricoveri:
moriranno come mosche
prima del temporale.
Ci sapresti tornare lì?
Tu Fiulin ci andresti?
Ora senti il calore del camino correre
su mura quando fuori l’aria è tersa
per neve dei monti.
Eugenio l’hai incontrata per caso,
in un caffè: ciarle di circostanza…
frasi banali; dov’è andata la passione?
Con lei – un tempo – saresti fuggito
in capo al mondo.

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Dopo i temporali non viene più il sereno
Enzo Jannacci

Tutto ebbe inizio
con un temporale…
uno di quelli che annunciano
la fine dell’estate.
Eppure ho visto il mare
argentato… gabbiani
a pelo d’acqua cacciavano pesci.
Mi hanno raccontato di treni
carichi, baracche in periferia…
case costruite in una notte.
Di giorno mendicano… dormono
ammassati in edifici abbandonati,
fabbriche dismesse.
Quanto lavoro ci fu lì Enrico?
Solo un ricordo del passato…
forse preistoria industriale,
in attesa di un acquazzone
che porti un’altra stagione.

[da “La Renault di Aldo Moro”, Novate Milanese, Prospero Editore, 2014]

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Sfilano semimodelle Made in Italy
dove marciavano staffette e partigiani:
la signora Luna la città non la riconosce più…
troppi anni per emigrare.
Barconi di clandestini affondano
nel mare di Ulisse… Enea e spuntano relitti
d’uranio davanti alle coste.
L’Andrea si perderà in fantasie
ma poi a casa rivedrà Marika per una cenetta
mentre l’Enrico cerca una donna
per appiccare fuochi d’autunno.
Teresa fotografa un quadro romanico,
nello struscio domenicale di vetrine,
il profumo di mosto portato lontano dal vento…
Gratta i suoi numeri la vecchina sul bus,
l’ultima emozione…
tanto tra poco se ne andrà al Creatore.

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Marcellino a digiuno
un cucchiaio d’olio d’oliva
come voleva sua madre:
è tutta salute tra l’odore di limoni,
basilico e la risacca del mare.
Il cantiere navale fin da ragazzo,
le prime sigarette e le notti al porto:
tra i fumi d’inverno è spirato
poco dopo la pensione coi polmoni asciugati.
L’Armando bancario da sette generazioni
– forse ebrei scappati dalla Spagna –
ha iniziato con il nonno a giocare a carte
per ammazzare il tempo.
Si è bruciato a poker,
cacciato per un ammanco di cassa,
«Commissario… commissario…»
Ancora più caldo il vento d’estate
tra viali che trasudano azoto
e l’odore dei tigli è quasi archeologia.

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L’Emilio quella chiamata
l’ha aspettata per giorni:
forse era al bagno… a comprare il pane
o aggiornarsi per nuovi corsi.
Non è rimasta che la preghiera mattutina
e il capo chino oltre il portone.
Gianni quando spegneva le prime candeline
non si sentiva un bambino come gli altri;
bastava un attimo per perdere il respiro
e ascoltando Faber con gli occhi lucidi:
Spiare i ragazzi giocare al ritmo del mio cuore malato
Ancora li vede giocare sospirando per strada
ma alla sera quel bacio è un sorriso
lungo una sorsata al tramonto.
Fiulin torna come se nulla fosse cambiato
tra gli ultimi postumi d’estate:
un fiume di fango travolge case,
un sindaco colpito a morte
e domani ricominceranno le scuole
come il vento voltando pagine s’una banchina.

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Ben poca cosa è un poeta se non è in grado
di comporre senza angosce,
passo dopo passo, in qualsiasi momento
e con sicura efficacia stilistica qualsiasi motivo
che sia riuscito a concepire con chiarezza.

Gabriel Ferrater

Lüìs non lo riconoscerebbe il suo paese:
era un borgo da romanzo di Fenoglio o Gadda.
Ora Ndranghetisti a dettar legge tra auto bruciate…
pizzo ancora caldo e appalti pilotati.
Dopo una partita a carte e on biccér de vín
«Se vedèm!» all’uscita del circolo
travolto da un’auto a folle velocità;
è sepolto in un cimitero nebbioso
accanto al fiume pieno di gamberi della Louisiana.
In un caffè vagamente francese
per scrittori e intellettuali dissidenti
– oggi un fast food – un poeta decise
che non sarebbe vissuto oltre mezzo secolo:
se n’è andato nel suo appartamento
tra fogli volanti una notte d’inverno.

—————————-

Dopo i campi di sterminio,
stiamo assistendo allo sterminio
dei campi.

Andrea Zanzotto

Teresa sente le stagioni franare
come mura romane
che nessuno cura più.
Le piogge d’autunno portano
fiumane di fango a spazzare
antichi borghi: rimangono resti
di abbandoni e versi cantati.
Dai ghiacci affiorano batteri
venuti dallo spazio…
corpi preistorici mummificati:
raschiano le ultime gocce di petrolio.
Quel mare restituisce
galee greche colme di anfore
accanto a barche di rifiuti affondate
in una notte di luna
dove amanti concepiscono vite.

[da “Ero altrove”, Milano, Edizioni Dot.com Press, 2015]

 

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