Paolo Conte: Clown.
Cari amici, la settimana scorsa è morto Nando Orfei, un artista del circo, giocoliere e domatore, una vita passata sotto un tendone viaggiante, tra acrobati e trapezisti che negli ultimi anni avevano sostituito, nei suoi spettacoli, la gabbia dei leoni e i numeri con gli animali. La struggente canzone di Paolo Conte dice tutto: «Clown, perdona, clown / se non si ride e non si applaude qui /clown, capisci, clown /
siamo insensibili». Il clown che non fa più ridere perché siamo diventati insensibili, è la fotografia della crisi del circo. I bambini, e non solo gli adulti, sono catturati da altre e meno poetiche distrazioni. Non si guarda più, in alto, il funambolo che cammina sul filo ma, in basso, lo schermo del proprio iPhone. Prima la tv e poi internet, uccidendo l’immaginario, hanno svuotato i circhi. I posti vuoti sotto il tendone, che tanto amareggiavano Nando Orfei, segnalano che per molti il circo è una forma di spettacolo vecchia e polverosa. Ma la magia che sa suscitare dov’è finita? Cosa resta del circo di Federico Fellini e di Nando Orfei? Cosa resta dell’allegria mista a malinconia che il circo esprime, e che il regista romagnolo ha reso universali?
Nino Rota: I Clowns / La Marcia dei Gladiatori / (dalla colonna sonora de “I Clowns” di Federico Fellini, 1971) / La Passerella di Otto e mezzo (dal film “Otto e mezzo” di Federico Fellini, 1963).
Eccola, la musica meravigliosa di Nino Rota che ha dato corpo ai sogni di Fellini, alla sua passione per il circo, un mondo fiabesco, irreale e cialtrone, dove l’umanità buffoneggia svelando l’ironia della sua vera natura: un inutile agitarsi sul gran teatro del mondo – come quello dell’attore o del fool (del pazzo) shakespeariano – prima di scomparire nel nulla della morte. Facciamo quindi i buffoni, per nascondere a noi stessi la tragedia della condizione umana. La presa d’atto di questa condizione, è la lacrima che riga il viso di Pierrot, la faccia stralunata del clown, la malinconia delle musiche da circo. Quando le marcette e le trombette incalzano pagliacci e giocolieri, nani e ballerine, trapezisti e domatori, il mondo sembra girare su se stesso in un vortice d’allegria, che poi lo trascina in fondo. Alla fine di tanta effervescenza, resta uno stupore muto. Calato il sipario e spente le luci, i personaggi del circo, che tanto avevano fatto divertire, restano dei precari vagabondi che si spostano in continuazione con i loro carri viaggianti. Facciamo una pausa per ascoltare ancora Nino Rota. Vi proponiamo “La Ballerina del Circo Snap”, dalla colonna sonora di “Giulietta degli Spiriti”, un altro capolavoro felliniano.
Nino Rota: La Ballerina del Circo Snap (dalla colonna sonora di “Giulietta degli Spiriti” di Federico Fellini, 1965).
Il trapezista con i suoi numeri aerei, il funambolo che ti fa stare a naso in su mentre sfida l’abisso della caduta, sono l’essenza del circo. Passeggiano o volteggiano tra le stelle, mentre il pubblico trattiene il fiato. Alla fine, scoppia l’applauso per l’eleganza di quella camminata nel vuoto. Ma quello che si può fare lassù, spesso non riesce nella vita. Questo scarto tra realtà e immaginazione, fa sì che il circo sia nelle corde degli emiliano-romagnoli, popolo concreto che tende a sognare. Nando Orfei, il capostipite della cultura circense in Italia, era nato a Portomaggiore in provincia di Ferrara. Il più famoso domatore di leoni dell’Ottocento era Opilio Faimali, di Gropparello, in provincia di Piacenza. E Fellini era di Rimini. Per il grande regista, Nando Orfei aveva lavorato come attore, prima ne I Clowns, dove interpretava se stesso, e poi in Amarcord, dove faceva il “patàca” romagnolo, dedito solo alle donne e a scansare il lavoro. Nando Orfei apparteneva a una celebre famiglia di circensi e saltimbanchi erede della grande commedia dell’arte italiana e documentata già intorno al 1820. Era cugino di Moira Orfei, la circense sicuramente più nota in Italia, grazie al suo circo fondato nel 1960 e apprezzato anche all’estero. Moira, oggi ultraottantenne, è stata trapezista, acrobata, domatrice di elefanti e attrice di cinema.
Rossana Casale: Micol sul filo.
Il mondo visto dall’acrobata sul filo: è una canzone di Rossana Casale, tratta dal suo album “Circo Immaginario” del 2006, caratterizzato da una felice vena descrittiva, con musiche circensi e bandistiche, sonorità tzigane, tanghi e milonghe argentine. Fellini, che aveva l’animo dell’eterno fanciullo, aveva capito da bambino che il circo era magia, e tutto il suo cinema non è stato altro che il tentativo di riprodurre quel mondo di fiaba che Wanda Osiris creava nei suoi spettacoli spumeggianti e che Nando Orfei suscitava sulla pista del suo circo. Per il regista di Rimini il circo era una lente con cui osservare il mondo. E osservare il mondo con gli occhi di un clown, era forse il modo migliore di vivere. Divertendosi, ad esempio, a suddividere gli uomini nelle due categorie di clown previste dal circo, in eterno scontro, o in eterna dialettica, tra loro: il clown bianco e l’augusto. Il bianco, truccato come Pierrot, è il clown elegante, che vuole imporre le sue regole per apparire meraviglioso e potente. L’augusto è invece il clown che si ribella alle regole “borghesi” del bianco, è goffo, pazzoide, un po’ clochard, uno che viene da una corte dei miracoli, e generalmente il più amato dai bambini, che si riconoscono in lui, mentre negli adulti vedono il clown bianco. E voi che clown siete, bianco o augusto? Lasciamo in sospeso la domanda per la prossima puntata, congedandoci con un’altra grande artista che ha amato il circo, Edith Piaf.
Edith Piaf: Bravo pour le clown.