4 febbraio 2010
Performer, cantante rock, web designer, “comunicatore” e blogger, Danilo “Maso” Masotti, già autore di un libro sugli umarells (scoprirete chi sono ascoltando la nostra lettura) ci svela nel libro che vi presentiamo il codice segreto per capire Bologna, a partire dalle debolezze e manie dei suoi abitanti, e utilizzando qualche termine in slang che proviamo a far indovinare ai nostri lettori.
Il codice Bologna
di Danilo “Maso” Masotti
Bolognesi contemporanei: Umarells
Mi sveglio presto, troppo presto per me e per il mio rapporto con l’inverno.
Appuntamento alle nove davanti al cinema Starsiti di Rastignano.
Siccome sono un tipo tosto, sono andato in scuter e mi sono beccato lo scalino termico, quello dove via Murri si trasforma in via Toscana e successivamente in Rastignano.
Brrrr, che zagno.
Arrivo con dieci minuti di anticipo, lascio lo scuter vicino a un hotel e per scaldarmi accendo il cellulare.
Davanti a me, il megaparcheggio del cinema coperto da una coltre di ghiaccio, carcasse di auto, un camion arancione distrutto, in lontananza alcuni uomini tagliano rami ad alberi secchi.
Ancora nove minuti, che faccio?
Leggo Leggo e apprendo che, a causa del merdaio che respiriamo, è probabile che per tutta la giornata di domenica i bolognesi saranno costretti a girare a piedi o in bicicletta; poi smetto di leggere Leggo. In pratica ho sfogliato Sfoglio. Ancora sette minuti, che faccio?
Dalla tasca del giaccone estraggo la digitale e fotografo istantanee del nulla che ho di fronte, potrebbero sempre servire. Ancora tre minuti, che faccio?
Aspetto, ma allo scattare del “meno due minuti” si avvicina a me un omarello (un umarell) che stava inspiegabilmente passeggiando nella tundra di Rastignano e mi fa: «Chi è lei?».
Spiazzato, rispondo non so neanche io cosa, poi l’umarell incalza: «Ho visto che stava facendo delle foto, lo sa che qui non si può fotografare?».
«Ah, non si poteva fotografare? Non lo sapevo. Comunque ho fotografato il parcheggio ghiacciato, che c’è di male…» replico con facciotta innocente.
«Ma cosa sta facendo qui?» domanda il discreto umarell. «Ho un appuntamento di lavoro» rispondo con facciotta colpevole.
«Ah… buon lavoro allora» e l’ umarell, in compagnia del cane pisciante di piccola taglia, si allontana poco convinto.
Perplesso, basito, turbato, apro lo sportellino del mio scuter, estraggo una sportina, faccio finta di metterci dentro qualcosa, mi avvicino con fare furtivo a uno dei bidoni di plastica che sono nel piazzale, faccio finta di ravanare e lascio il sacchetto nel bidone del rusco.
Ore nove in punto, arriva la persona che stavo aspettando, salgo in macchina e, mentre ci allontaniamo, dallo specchietto retrovisore vedo l’umarell più cane in attachment avvicinarsi al bidone e ravanare a sua volta.
Chissà cosa crede di trovare.
La mia osservazione del fantastico mondo degli umarells è iniziata così, forse per caso, in una fredda mattina di quattro anni fa.
Eppure gli umarells erano sotto gli occhi di tutti, bastava solo notarli, visto che l’invecchiamento della popolazione e il fenomeno della denatalità fanno sì che le strade delle nostre città siano invase da persone anziane sin dalle sette di mattina.
Gli umarells ci osservano.
Gli umarells ci esaminano.
Il vero umarell è soprattutto un controllore.
Non avendo mai tanto da fare, l’umarell passa le giornate a osservare le nostre vite e controllare quel che ci succede, una sorta di angelo custode che non ama farsi notare.
Gli umarells sono animali urbani, li troviamo nei pressi di un incrocio dove c’è appena stato un incidente stradale, in autobus a litigare perché sono stati spintonati, in fila alla posta, in banca, all’ufficio del catasto, dove non sono mai stato ma sono sicuro che sia pieno di umarells, da Castorama o dall’emergente Leroy Umarell, le moderne chiese del bricolaggg.
L’umarel adora i lavori stradali, gli piacciono molto le ruspe, i cingolati, e quando è in casa non disdegna di spiare il microcosmo marciapiedale guardando fuori dalla finestra, nascosto da tende che lo proteggono e a volte lo rendono invisibile.
L’umarell (che nell’italiano di Bologna si traduce con omarello) non è necessariamente piccolo di statura: quello sarebbe Lumarein, l’omarino, individuo che può diventare una figura universale nella versione dell’umarein pugnatta, una definizione che può sembrare poco lusinghiera, ma che in realtà serve a designare un tipo umano decisamente positivo, assai diverso dal generico umarell, che invece è un passivo, un uomo che guarda.
L’umarein pugnatta è un uomo piccolo di statura, ma estremamente energico e scattante, un uomo che diffonde attorno a sé ottimismo e una certa elettricità, un uomo che non cade quasi mai e comunque si rialza sempre.
Frenetico e molto propositivo.
Tecnicamente immortale.
Quelli che hanno letto superficialmente il mio precedente libro Umarells. Sono tanti, vivono in mezzo a noi, ci osservano… e noi osserviamo loro (Pendragon 2007) credono erroneamente che gli umarells siano solo gli anziani, ma non è proprio così, visto che un certo atteggiamento mentale può essere più che sufficiente per entrare nel novero anche in età insospettabili.
Altri sostengono che gli umarells siano i pensionati, a causa della loro caratteristica vocazione a trascorrere le giornate
osservando quelli che lavorano, ma ci tengo a far notare che non tutti i pensionati sono umarells, così come non tutti gli umarells sono pensionati.
Troppo complicato?
No, dai.
L’umarell altro non è che l’uomo della strada, l’uomo comune, senza particolari qualità e in posizione mediana rispetto ad ogni possibile parametro statistico, medio per età, così come per livello di istruzione e tenore di vita: un uomo normale, per quanto la sua vocazione da umarell lo faccia apparire oggettivamente modesto.
Eugenio Riccomini, erudito piuttosto famoso in città ma – come si conviene a un certo stile felsineo – pressoché sconosciuto fuori dalle mura di Bologna, sostiene che la caratteristica più spiccata del bolognese sia proprio quella della medietà.
Medi o non medi, gli umarells sono e continueranno a essere un pilastro della società bolognese e il loro diffondersi è espressione di un conflitto generazionale che ci riguarda tutti.
Gli umarells hanno sempre qualche soldo da parte: ci aiutano a comprare la casa; quando tirano le “quoia” con la “q”, ci lasciano in eredità denaro e/o immobili; educano i nipotini mentre andiamo a lavorare in cerca di improbabili realizzazioni, mantenendo sia i nipotini, sia noi che andiamo a lavorare. (Danilo Masotti).
L’avvocato Massimiliano Fiorin – anche lui bolognese doc, nonostante il cognome, tanto che le finestre del suo studio legale si affacciano proprio sulle natiche del Nettuno – ha analizzato questo aspetto economico fondamentale e mi ha spiegato che l’umarell, per diventare tale, ha vissuto la sua esistenza lavorativa, nella consueta posizione mediana, durante i lunghi decenni di storia italiana nei quali anche un operaio o un impiegato di fila potevano facilmente comperarsi la casa con il mutuo e permettersi pure il lusso di mettere dei soldi da parte.
Anche se di solito non è uno di quelli che hanno fatto il ’68 (sennò invece farebbe parte della classe dirigente), l’umarell
appartiene alla stessa loro generazione e difatti, grazie all’allungamento della vita media, la maggior parte degli umarells sono allo stesso tempo sia pensionati che di mezza età, semplicemente perché appartengono all’ultima generazione di italiani che ha potuto permetterselo.
Incalza Fiorin:
I giovani finanziano sempre più a fatica il uelfar che ne ha assistito i genitori, in attesa di diventare anche loro, prima ancora di accorgersene, degli umarells impoveriti (o enplumoned umarells) che spesso non potranno nemmeno permettersi il conforto di figli che li accudiscano nella vecchiaia ed ereditino i loro debiti, visto che pare che a Bologna – immigrati a parte – oggi ci sia l’indice di natalità più basso del mondo. Sono state le odierne legioni di umarells a ricostruire la ricchezza nazionale, proprio a partire dagli anni nei quali i loro coetanei all’università si preparavano a dissiparla sognando la rivoluzione. Ma nel contempo, sia i futuri umarells che i sessantottini sapevano in partenza che avrebbero avuto vita relativamente facile fino alla vecchiaia, potendo contare su uno stato assistenziale sempre più sprecone e dissennato. Uno stato che, al contrario, tutti noi che andiamo dai venti ai quarantacinque anni, che siamo figli o a volte già nipoti degli umarells, stiamo pagando di tasca nostra senza poterci nemmeno sognare le pensioni che ora si godono gli umarells medesimi.
Per questo i giovani bolognesi hanno bisogno di ereditare i loro immobili e di incamerare i loro aiuti economici, specie se vogliono farcela ad avere bambini e poter un giorno diventare umarells pure loro.
Evviva gli umarells.
Evviva anche noi.