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4 Novembre 2010 | Racconti d'autore

Il miglior casaro della Pietra di Bismantova

Di Lei & Vandelli. Racconto premiato con il secondo posto al concorso De gustibus della casa editrice Damster. Prima puntata

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

4 novembre 2010

De gustibus letteratura gustosa è il concorso letterario promosso da Damster Edizioni di Modena e incentrato ogni anno su un prodotto tipico.

Il concorso 2010 ha avuto come protagonista il Parmigiano-Reggiano, tema sul quale si sono esercitati un centinaio di concorrenti. I 19 migliori racconti selezionati dalla giuria sono stati pubblicati nel volume Racconti in forma, presentato al Salone del Gusto di Torino.

Vi leggiamo il secondo arrivato, quello che ci è piaciuto di più per il tono scanzonato e la parodia del cliché dell’investigatore. Gli autori, Maurizio Lei e Nadia Vandelli, hanno all’attivo un romanzo per ragazzi, un racconto di fantascienza e ritratti astrolo­gici per X-Comics. 

Il miglior casaro della Pietra di Bismantova 

Quella mattina Damster era in possesso di una lucidità bastante appena a scegliere se orinare dentro o fuori la tazza. Le cose non andavano per il verso giusto: anzi, non andavano proprio. L’appena ritrovata donna della sua vita era già un pallido ricordo: si era congedata urlandogli contro che nessun debito karmico poteva giustificare il trascinarsi di quella situazione. Il lavoro, invece, anche peggio. Quello si era dissolto senza nemmeno fargli ciao-ciao con la manina, e la situazione non accennava a migliorare, con le ingiunzioni di pagamento ad ammucchiarsi sul tavolino dell’ingresso. Avrebbe anche cercato qualcos’altro, ma al momento non c’era una gran richiesta di film-maker e tutti i posti di lavavetri ai semafori risultavano già occupati da maestranze ben più qualificate di lui. Lui, che sapeva di essere già caduto nel burrone, osservava dal fondo la distanza che lo separava dal punto zero.

Si preparò ad affrontare il nuovo giorno, certo che un cambiamento positivo fosse giusto dietro l’angolo… peccato vivesse all’interno di una sfera. Il suono del campanello lo colse di sorpresa, novità all’interno di una novità più grande come l’essere in piedi alle otto del mattino. Arrivò alla porta in un lampo, insufficiente, però, a evitare che il visitatore si esibisse in un secondo richiamo sonoro, stizzito e malmostoso. A Damster girarono le palle.
– Seeee!… Meglio che ti stia prendendo fuoco il culo, amico, così non devo far tutto il lavoro io!
Di fronte al Nostro, quella che potremmo definire una strana coppia: un viso noto, l’altro sconosciuto.
– Gigio!!! Sono le otto: non puoi essere già sveglio. È una roba che va contro le leggi dell’universo!
Il gigante dal viso buono annuì, perfettamente d’accordo con Damster.
-Assolutamente. Difatti non sono ancora andato a letto. C’avevo una cosa urgente da domandarti…

Detto ciò si chiuse la porta alle spalle, sbattendola sul muso dell’ometto che lo accompagnava; fu solo grazie ad un veloce balzo all’indietro che vennero evitate conseguenze peggiori.
– Gigio! ! ! Ma porca… stai attento che lo ammazzi, il tuo amico!!!
All’uomo, che superava di una testa buona il detective, venne lo stesso sguardo intelligente che caratterizza gli alani quando osservano le mongolfiere.
– Che mio amico? Te mi sei di fronte, no? Ussìgnur!
Damster sospese qualunque tipo di ragionamento deduttivo e tornò ad aprire la porta. L’ometto basso, smilzo e dalle gambe incredibilmente arcuate era ancora lì, l’aria un tantino più torva di prima. Stavolta mise un piede dentro l’appartamento, riservando a Gigio un’occhiata di pura ostilità.
– Il signor Benassi, suppongo…
– Veh, Damster!… C’ero prima io, se ti ricordi!
– Gigio, a quest’ora lavoro… noi possiamo vederci stasera al Griffin’s: è anche stagione di Red Later, quindi è quasi un dovere tirarla per le lunghe. Sempre ammesso che il signore sia un cliente…
– Potenziale, per il momento.
– Potenziale… sì, certo.
– Ma ti dovevo chiedere una cosa!!!
– Santo Dio!… Fai veloce.
– Gliela posso chiedere, alla Luisa?
– Gigio, ti devi convincere: la Luisa non te la dà. E adesso fuori!
Spostò di peso il gigante e chiuse la porta. Dal pianerottolo la voce raggiunse l’intero condominio:
– Se faccio la tessera come in biblioteca, così sa sempre chi l’ha presa in prestito? Poi gliela restituisco in tempo utile, giuro!!!
Nell’intento di darsi un contegno, Damster trasse un profondo respiro, ritrovandosi a tossire per tutto il catrame che l’atto inconsulto era andato a smuovere.
– Dicono che un uomo si giudica dagli amici che ha…
Il Nostro aveva bisogno di clienti, ma Gigio (insieme a Summer e Franco) bisognava lasciarlo stare.
– Io i miei non me li merito…
Dicendo questo si era anche raddrizzato, ma sentì subito che l’effetto non era quello voluto.
– Lo spero, visto che ho intenzione di assumerla…

Il Nostro avrebbe voluto buttarlo fuori dall’appartamento, ma l’energia del mattino bastava appena a farlo arrivare alla macchinetta del caffè. E poi la curiosità già lo agitava, premendo per salire in superficie a prendere aria: magari stava per incontrare una buona storia, e allora valeva la pena di sopportare ancora lo sconosciuto. Se poi lo avesse davvero ingaggiato, beh… allora forse avrebbe preso in seria considerazione l’ipotesi di alzarsi prima delle undici del mattino. Ogni tanto, perlomeno.
– Si sieda, signor… signor?

Il visitatore non rispose, preferendo guardarsi intorno. L’appartamento del detective era composto da due sole stanze, una con pretese da ufficio. Il divano basso in pelle trapuntata sembrava uscire direttamente dall’ufficio di Fox Mulder in X-files, e rappresentava il pezzo forte dell’arredamento; o almeno lo era stato, poi il tempo aveva fatto il suo mestiere, aiutato dall’incuria del Nostro. Era ingombro di materiale e una leggera trapunta blu, su cui spiccava un Gabibbo gigante, completava quella certa aria d’accampamento. Damster dava l’impressione di un homeless rimanendo all’interno di casa sua, e non era mica da tutti. Con fare che avrebbe voluto essere teatrale, sollevò la coperta, liberando buona parte del divano.
– Ecco: si accomodi pure, signor… signor?

Questa volta calcò di più sull’interrogativo. Visto che il soggetto si permetteva di storcere il naso, il minimo che il Nostro potesse pretendere era che declinasse le proprie generalità.
– Mi chiamo Marino Quintocerro.
Lo scandì forte e chiaro, come si presumeva dovessero fare gli antichi condottieri o le grandi leggende del west. Poi si sedette sul divano, e l’effetto si perse. Colpa dell’imbottitura non più così compatta che, al calar dei deretani, si sentiva in dovere di offrire un sonoro adeguato. Nel caso dell’esigua mole del signor Quintocerro un modesto peto, sufficiente però a farlo trasalire: un piccolo punto a favore del Nostro. Ma via, non era più tempo per gli scherzetti da prete.
– Allora, quale faccenda vuole portare alla mia attenzione?
Si stava atteggiando, Damster? Forse sì, ma non aveva importanza. La risposta dell’uomo fu così diretta da togliere il fiato.
– Ho bisogno che lei mi salvi. Tra una settimana esatta, io morirò.

Damster odiava le sensazioni di dejà-vu letterario/cinematografico; tipo quella, a esempio. Si era illuso di avere un cliente normale, di quelli che pagano per avere le foto di qualcuno che faceva qualcosa, iracondi e vendicativi; trovarsi di fronte uno che gli chiedeva di posticipare l’incontro con la Signora dalla Falce lo metteva di cattivo umore, a metà strada tra noia e pura irritazione. Però non voleva mollare la speranza di far tacere la sgradevole eco dei conti da pagare ed offrì a se stesso e all’ometto un’altra possibilità.
– Se ha intenzione di suicidarsi, non posso aiutarla. E nemmeno nel caso di una malattia…
Avrebbe aggiunto anche qualcos’altro, ma l’uomo scosse la testa con una convinzione che non ammetteva repliche.
-No. In realtà, non è questo il problema. Io sono pronto a morire, ma non voglio andare all’inferno.

Ecco che le speranze del detective andavano definitivamente a farsi fottere.
– Senta, come le ho già detto prima, non posso aiutarla. Per questioni inerenti lo spirito e affini, troverà di sicuro qualcuno più qualificato del sottoscritto. Adesso avrei da fare…
Marino Quintocerro saltò su dal divano come punto da qualcosa.
– Io sono il miglior casaro della Pietra di Bismantova! ! ! Il migliore, capito?
L’equivalente di un lei non sa chi sono io!, insomma. Una forma di Parmigiano-Reggiano al posto della corona regale da riprodurre sullo stemma di famiglia. Delirio di onnipotenza marchiato a fuoco e tenuto a stagionare in luoghi venerati come santuari. L’uomo voleva l’attenzione dell’investigatore: la pretendeva.
– Credi che saper fare il miglior formaggio al mondo sia cosa da tutti? Io non ho mai avuto altro desiderio! Non ho studiato, non mi sono mai sposato, non ho amici e vivo in una casa che fa schifo… ma sono il miglior casaro della Pietra di Bismantova!
Questo dimostrava senz’ombra di dubbio che la vita sui monti non era sempre salutare. Adesso Damster doveva liberarsi di quello squinternato e occuparsi dei casi suoi… mica poteva perdere tutta la mattina!
– Ho stipulato un patto col diavolo.

Fuori, Modena cominciava a prendere l’aspetto che Damster conosceva meglio: gente che parlava del prossimo aperitivo e dei clienti che non riusciva ad agganciare, dei titoli in rosa della Gazza e di quelli non più così rossi dell’Unità. Un venditore di biglietti della lotteria girovagava indossando un costume sottratto a un circo degli anni trenta, epoca cui, probabilmente, risaliva l’ultimo lavaggio. Damster avrebbe bevuto volentieri un caffè corretto grappa e comprato un biglietto; tutto, pur di allontanarsi dalle noiose farneticazioni di un casaro di montagna.

Brano corrente

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