Rossana Casale: Circo.
Cari amici, è ancora il circo il nostro tema di oggi, perché le musiche ispirate al circo sono bellissime, e anche in questa puntata ve lo dimostreremo. La settimana scorsa ci siamo lasciati accettando di essere, o di fare, i buffoni: non per far divertire gli altri, come i giullari o i buffoni di corte del Medioevo; piuttosto, per ridere, anche amaramente, delle cose della vita e di noi stessi. Come Fellini, vediamo il mondo con gli occhi di un clown. Dobbiamo solo scegliere quale clown essere: se “bianco”, cioè presuntuoso e saccente, o “augusto”, cioè pazzoide e malvestito; uno – diciamo così – “borghese”, e l’altro “anarchico”. Fermiamoci subito per la seconda canzone. La prima, di Rossana Casale, era una sorta di manifesto poetico del circo, un po’ retro, come certamente lo è questo tipo di spettacolo. Il nuovo circo è invece quello del Cirque du Soleil, fondato esattamente trent’anni fa presso il porto di Montreal in Canada da un ex mangiatore di fuoco: “nuovo” perché non utilizza più animali ma crea la sua magia dalle acrobazie e dai numeri di mimi, giocolieri, performer, saltimbanchi provenienti da diverse scuole circensi e poi assimilati in uno stile unico, inconfondibile. Anche la musica utilizzata non è propriamente da circo, pur se in alcuni spettacoli si ispira chiaramente alle esecuzioni di Nino Rota per Fellini. Le colonne sonore di ogni spettacolo sono eseguite dal vivo, e quindi, adattandosi alla trama dello show, sono diverse per ogni lavoro del Cirque du Soleil. Vi facciamo ascoltare un brano cantato in italiano, “Vai Vedrai”.
Cirque du Soleil: Vai Vedrai.
Federico Fellini amava dividere le persone che conosceva o i grandi del passato in clown bianchi e augusti. Nel suo ultimo film, “La voce della luna”, i due protagonisti, Paolo Villaggio e Roberto Benigni, altro non erano che reincarnazioni del bianco e dell’augusto. Questa distinzione è nella storia del circo. Il clown, nome secentesco, usato anche da Shakespeare per i suoi personaggi comici, dapprima è solo in scena e ha il compito, nel circo moderno, di far sciogliere con una risata la tensione dei numeri pericolosi, come quelli degli acrobati o dei domatori. A questo clown, che ha il viso bianco come Pierrot, si affianca dal 1864 l’augusto, che dal clown bianco è comandato, tiranneggiato, tormentato, ma non domato. Se dovessimo pensare ad una musica da “augusto”, cioè sgangherata, sbruffona, maldestra, sceglieremmo quella balcanica, con l’allegria e la confusione delle sue fanfare, la prepotenza degli ottoni, i ritmi frenetici che attingono alle bande musicali turche e alla cultura rom. Non è un caso che il più felliniano dei registi contemporanei sia il bosniaco Emir Kusturica. Nei suoi film rivive il mondo onirico e fantasioso del regista riminese, volutamente citato e trasportato negli irrequieti Balcani. Kusturica è anche musicista e in questa veste vi facciamo ascoltare un brano inserito nella colonna sonora del suo ultimo film “La vita è un miracolo”.
Emir Kusturica & The No Smoking Orchestra: Gladno.
Una delle canzoni più note di Francesco De Gregori è “La donna cannone”. Anche qui, il riferimento al circo è evidente. L’idea del brano sembra gli sia venuta da un articolo di giornale in cui si raccontava di un circo d’inizio Novecento la cui più grande attrazione, la donna cannone, si era innamorata e se n’era andata lasciando in profonda crisi i compagni circensi. Forse gli occhi della donna avevano incrociato altri occhi alla fine dello spettacolo, quando gli artisti, sudati e stanchi, raccoglievano l’ultimo applauso del pubblico. Ma per le regole del circo, il tendone non si abbandona mai, nemmeno per amore. De Gregori invece immaginò che proprio un fenomeno da baraccone come la donna cannone, avesse un cuore grande, aperto ai sentimenti, e che quel suo amore impossibile l’avrebbe fatta volare nell’azzurro del cielo, sparata da un cannone che nel darle la libertà, le dà anche la morte. Dal circo è nata una delle più belle canzoni d’amore della musica italiana.
Francesco De Gregori: La donna cannone.
Centovent’anni fa, nel 1894, moriva Opilio Faimali: un nome che oggi non dice niente a nessuno, ma che a metà Ottocento identificava il domatore italiano più famoso all’estero. Era un piacentino, nato nel 1826 nel paese di Gropparello, ed emigrato come tanti in cerca di fortuna. Se ne andò a undici anni con sei lire in tasca, fece i mestieri più umili, come il mozzo di stalla presso il circo Didier Gauthier in Alsazia. Qui cominciò la sua carriera addestrando una scimmia, cui faceva cavalcare pantere, leoni e giaguari. Il numero della scimmia cavallerizza ebbe grande successo, ma una moria di animali portò alla chiusura del circo. Faimali non si perse d’animo e andò in Africa a scegliersi personalmente belve in buona salute. Catturò lui stesso – o almeno così raccontava – 27 giaguari, con una tecnica inventata sul momento e che, evidentemente funzionava. Perfezionò la tecnica al ritorno, diventando il più famoso domatore in Francia. Quando il circo, con le sue donne cannone, donne barbute, uomini forzuti, nani, gemelli siamesi, mangiatori di fuoco, era un fenomeno da baraccone, lo spettacolo dell’intrepido domatore che infila la testa nelle fauci dei leoni vestito da arabo nella gabbia chiusa, attirava le folle e i titoli dei giornali. Faimali si autoproclamò “Re dei Giaguari” ma le malelingue raccontano che non riuscì a domare sua moglie. Lui, che afferrava le pantere per il collo come fossero gatti, fu cacciato di casa. Si accasò con una serva e, invecchiato, lasciò il suo serraglio di 160 animali per ritirarsi a Pontenure, un altro paese in provincia di Piacenza, dove morì nel 1894. In suo onore chiudiamo la nostra trasmissione con “Il domatore di leoni” di Filippo Fanò e un caro saluto dal vostro scribacchino, Claudio Bacilieri.
Filippo Fanò: Il domatore di leoni.