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24 Luglio 2010 | Paesaggio dell'anima

La bellezza insinuante

Un viaggio in regione attraverso la musica

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

24 luglio 2010

Le musiche di questa puntata: Franco Battiato, Ensemble Bradamante, Brian Eno, Caetano Veloso, Alexandra Roos. 

Musica. Franco Battiato: Gesualdo da Venosa.

Come definirlo? Un pot-pourri, uno scherzo intelligente, questo brano di Franco Battiato, su testo del filosofo Mario Sgalambro, che cita l’imperativo categorico e Gesualdo principe di Venosa, “assassino della sposa – cosa? importa?/ scocca la sua nota, dolce come rosa”. Il musicista principe ci riporta dunque a Ferrara, dove le piazze, in questi pomeriggi di canicola estiva, si svuotano di ogni movimento, di ogni impulso vitale; attraversate lentamente da qualche bicicletta, assumono l’aria inquietante delle piazze metafisiche di De Chirico. Al tramonto, invece, tutto comincia ad animarsi: San Giorgio uccide il drago nella lunetta del portale maggiore della cattedrale, Borso d’Este domina la piazza dalla colonna del palazzo di Corte, e Ludovico Ariosto, anche lui ritto su una colonna nella piazza a lui dedicata, osserva la luna fluttuante tra gli alberi.

Musica. Ensemble Bradamante: Marfisa.

Sfilano a quest’ora davanti agli occhi le immagini in dissolvenza di Ferrara: la prospettiva di corso Ercole, che Vincenzo Cardarelli definì “la strada più bella del mondo”; la palazzina di Marfisa d’Este, dove Torquato Tasso declamava i suoi versi, prima di essere rinchiuso in manicomio, forse perché la moglie del duca ne era rimasta affascinata; gli archi, i cotti e le pietre della zona medievale; le scene di vita rinascimentale negli affreschi del soffitto della Sala del Tesoro di palazzo Costabili; il Giudizio Universale del Bastianino, il Michelangelo delle nebbie, nel duomo; gli antichi bastioni; e il paggio seduto sulla cornice nel mese di aprile in palazzo Schifanoia: quel paggio col berretto rosso, siamo noi. E il fiume: perché quella grande massa d’acqua che scorre qui accanto, che allaga la piana, forma il Delta, si unisce al mare, genera nebbie, è fatta della nostra stessa sostanza. “Eccoci qui, ipnotizzati da questo fiume / io e te / sotto un cielo che continua a cadere/a cadere giù” – canta Brian Eno.

Musica. Brian Eno: By this river.

Ferrara. Basilica di San Giorgio. Funerali di Michelangelo Antonioni. La moglie Enrica Fico lo ricorda. Con tenerezza, ricorda che il grande regista ferrarese, quando da Roma tornava nella sua città, andava in cerca della luce, della luce di Ferrara, quella dei suoi film. Luce di solitudine, che avvolge la bellezza e la nasconde. Che sottolinea la tragedia, separa gli amanti, spezza la comunicazione. E ricorda, la moglie, che Antonioni si è spento, come Michelangelo, come Bergman, la sera della luna piena di luglio, la più luminosa, la più pura, quella che in Oriente è la rappresentazione del Maestro. Le strade, i palazzi in cui il regista ha fermato per l’ultima volta la sua Ferrara in Aldilà delle nuvole, racchiudono ancora questa luce acquatica, lagunare, bassa, talvolta fuligginosa, che si apre improvvisamente all’azzurro più terso, e poi si fa pulviscolo dolce sui coppi, accarezza i mattoni, i marmi, le antiche pietre. Caetano Veloso celebra il Maestro in una canzone con poche parole: “Visione del silenzio / angolo vuoto / pagina senza parole / una lettera scritta sopra un viso / di pietra e vapore / amore / inutile finestra”.

Musica. Caetano Veloso: Michelangelo Antonioni.

Bellezza insinuante, come una malia della maga Circe dipinta da Dosso Dossi, Ferrara è aria e luce, una meravigliosa invenzione degli “inzegneri” di fine Quattrocento al servizio di Biagio Rossetti, che crearono il quadrivio degli Angeli, da cui si sarebbe sviluppata “la ville fatale, città dei sogni insognati” di De Chirico. Ferrara ispiratrice di miti, la cui storia culturale si condensa, nel secolo breve novecentesco, in tre nomi, Filippo De Pisis, Giorgio Bassani e Michelangelo Antonioni – un pittore, uno scrittore e un regista di cinema -, ma si potrebbe anche considerare un quarto, il pittore émigré a Parigi, Giovanni Boldini. E come poteva, quella varia umanità rinascimentale raffigurata nel Salone dei Mesi, non attrarre i moderni metafisici? Cavalieri a corte, belle dame imbellettate, cervelli perduti da recuperare sulla luna, splendore degli occhi, vesti mosse e trasparenti, gli enigmi dello zodiaco di Schifanoia. Tutto si tiene: l’appartato giardino delle Duchesse e gli antichi bastioni di notte, il tassiano giardino d’Armida e i saloni incantati, le muse inquietanti e i manichini che portano le stimmate del tempo. Addio, Ferrara!

Musica. Alexandra Roos: Antonioni.

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