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23 Gennaio 2020 | Racconti d'autore

Lupa a Gennaio

Poesie di Massimo Scrignòli tratte dal libro omonimo (Ro Ferrarese, Book Editore, 2019)

A cura di Vittorio Ferorelli

A cinque anni dalla silloge in cui ha concentrato un trentennio di scrittura, il poeta Massimo Scrignòli propone una nuova raccolta di versi, per mettere in salvo la cenere dei fuochi che scaldano il nostro inverno.

In amore, in poesia, la neve non è la lupa di Gennaio, ma la pernice della nuova stagione.
René Char

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Poi sarà l’improvviso. Musica. Non suoni in punta di penna; musica da leggere sull’impronta, come solo spiraglio dentro l’oscuro del sentire quel TU che lúmina la fiamma delle urne di Primavera.
E le ombre, tutte, incendia.

Cosí io muovo. Vado dove sono.

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1.

Cosí anche noi. Scendendo alla nave con la marea del giovane naufragio già pensavamo alle alture e alle rocce nel deserto. Eppure anche noi, senza averle sentite, stavamo seguendo della lupa di Gennaio le tracce delle prossime notti.

L’oltre arrivò imprevisto: il ritorno verso la fronte.

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2.

Ha inizio nuovamente in una parola. Viene da lontano, la sola che atterra da un silenzio maternale. E respinge ogni possibile teoria, fino a quando il fondo, in noi, diviene cima.

Niente altro se non tutto questo è il grano sotto la neve, in Gennaio.

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6.

Dal fondo delle mani risale lentamente, eco invernale piena di blu. Poi, tra il blu delle dita, si schiudono le ombre di piccoli silenzi. Quasi un mandorlo fiorito. Ancora tutto fiorito.

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7.

Ogni giorno un anno. Si scioglie la pioggia prima di essere neve.

La vampa delle rose piega nel ginocchio, o nel presente. Là dove il cielo non è piú cielo.

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9.

Se anche l’infinito finisce, è sotto la pelle, tiglio in fiore, che si muore nuovamente. Come fosse, dei sentieri, l’ultimo.

Ma anche questo è non morire, lampo che non consuma di essere lampo.

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13.

Mobile, immobile, indicibile. Nel fondo. Lí, nel fondale del fiume, appena pronunciato sul versante dei riapparsi. Emerge ogni giorno, dall’acqua di ogni giorno, l’anfratto di un dio dimenticato; poi, con voce modesta, forse qual fu da l’angelo a Maria, smuove verso l’onda. Là dove un uomo, a ogni nuova ora, raduna i semi di tutte le tenebre.

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15.

Guarda. Nel giorno franto le giovani erbe sono le uniche tonalità di gazze, di merli, pure delle tortore. Come fossero sentinelle. E l’ultima rondine incide con insistenza il suo nome in ogni frutto del fiume.

Guarda. In ogni altro nome d’orizzonte le nuvole passano, si allontanano; ma qui, invece, vengono sapendo di ritornare: si fermano, nidificano. Ricominciano
a dare significato alle cose.

Guarda. Preparano la pioggia, ma anche il nostro riparo.

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24.

Dobbiamo avere fiducia in questa lingua che ci parla.

Il viaggio traduce il ritorno nel presente, resiste alla foschia del tempo come un incendio selvaggio. Cerca protezione nel solco graffiato sulla terra; riposa, e poi riappare dentro le orme di chi eravamo, di chi saremo.

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25.

L’orto, amando il destino del tiglio, cede il suo nome al nido. Si avvicina alla riva un poco ogni giorno, sapendo che la promessa fatta al fiume, ieri e oggi, in te è stata mantenuta: domare delle acque le anse inquiete, i gorghi, le sabbie infinite. Le sponde invisibili. Mai le onde.

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28.

Insiste a farsi vedere, il sole. Non teme nessuna malattia incurabile.

Ma in Gennaio, se ci pensi, per unire il verde ostinato di un prato del nord, per unire il suo verde all’aria che respirano i morti, manca sempre qualche cosa: un sentiero, una scala, o una mano chiusa piena di neve.

La vita non è tutto.

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Viene in visita la neve, ma sopra l’Oceano a Gennaio l’inverno si ritira.

Forse non si potrà mai pronunciare il luogo silente anche se è stato nominato. L’indicibile purifica l’azione corteggiandone la luce.

Eppure dorme, questo secolo: è un sonno senza sogni, adagiato sul fondale di un tempo tuttora indifeso dalle antiche profezie di Vulcano.

E noi non abbiamo ancora messo in salvo la cenere.

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Plasmare dentro l’apocalisse, non è quello che facciamo ogni notte su un vólto ostinato a morire?
René Char

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Riferimenti
‒ Il testo in epigrafe di René Char (En amour, en poésie, la neige n’est pas la louve de janvier mais la perdrix du renouveau.) fa parte della poesia Encart, in Le chien de coeur (Le Nu perdu – 1964/1970), Paris, Éditions Gallimard, Collection poésie, 1978.
frammento 1 – L’incipit è un richiamo all’incitazione del Primo dei Cantos di Ezra Pound.
frammento 13 – Il corsivo rimanda a Dante, Paradiso, XIV, versi 34-36: “E io udi’ ne la luce piú dia / del minor cerchio una voce modesta, / forse qual fu da l’angelo a Maria”.
‒ Il testo in exit di René Char (Modeler dans l’apocalypse, n’est-ce pas ce que nous faisons chaque nuit sur un visage acharné à mourir?) fa parte della poesia Ce bleu n’est pas le nôtre, in Aromates chasseurs (Le Nu perdu – 1964/1970), Paris, Éditions Gallimard, Collection poésie, 1978).

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