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27 Agosto 2020 | Racconti d'autore

Mai fidarsi delle rosse

Testi tratti dal libro di Roberto Barbolini “Mio marito è un mi bemolle. Storie brevi e cinque romanzi in 600 battute” (Bologna, Marietti 1820, 2020)

Vittorio Ferorelli

Concentrare la magia del racconto nella misura breve è un’arte sopraffina e lo scrittore Roberto Barbolini, con il suo gusto per l’ironia, ne è maestro. Dall’ebook in cui di recente ha raccolto alcuni saggi della sua abilità abbiamo scelto alcune pagine divertenti. Ringraziamo per la lettura Francesco Angelelli e l’associazione “Legg’io”.

STRANA GENTE

La ricetta del dottor Procuste
«Dia retta a me: l’immagine dell’azienda dev’essere sempre friendly, perciò l’uso dei social è davvero indispensabile se vogliamo far crescere la nostra membership al di là del suo core business, per quanto solido e diffuso nel mondo».
Il dottor Procuste parlava con quel tono sicuro, rodato in centinaia di meeting, tavole rotonde e consigli d’amministrazione, che è il marchio di fabbrica dell’AD di successo.
Il cliente, un vecchio signore dalla barba bianca e dall’aria un po’ svanita, lo ascoltava in silenzio, vagamente intimorito dalla sicumera del suo interlocutore.
“I tempi sono proprio cambiati”, rifletteva, “da quando AD significava anno domini. Ora invece vuol dire amministratore delegato: devo ricordare a Michele di aggiornare la lista degli acronimi”.
Senza quell’angelo del suo segretario, momentaneamente volato all’estero, si sentiva spaesato.
«A quanto mi risulta», riprese il dottor Procuste, «nei paesi industrializzati i vostri follower sono in calo. Se non aveste delocalizzato le vostre attività produttive puntando sul Sudamerica, a questo punto sareste in seria difficoltà a reggere la concorrenza dei paesi orientali, India, Cina ed Emirati Arabi in testa».
Il dottor Procuste non si era conquistato il suo nickname per niente. Stirava o amputava i ragionamenti per adattarli ai suoi rigidi schemi, proprio come il brigante greco suo omonimo era solito amputare o stirare a martellate le vittime malcapitate perché s’adattassero al famigerato letto detto appunto “di Procuste”: un brand che resisteva roccioso nei secoli.
«Per rilanciare l’azienda occorre una startup di assoluta rilevanza mitologica» procusteggiava dunque l’AD, incurante dello sguardo sempre più sconcertato del suo anziano cliente.
«A dire il vero il nostro scopo è leggermente diverso da… quella che potremmo definire la concorrenza», obiettò il vegliardo. «Inoltre dobbiamo combattere contro avversari maligni…».
«D’accordo, ci muoviamo in un mercato difficile, ma non si può continuare in eterno a lavorare alla vecchia maniera», replicò l’AD.
Parata e stoccata, come nella scherma. Perfetto, si pavoneggiò fra sé e sé.
«Vuol dire alla carlona?», sbottò il cliente, neanche gli avesse letto nel pensiero.
Il dottor Procuste si fece cauto. Quell’interlocutore che gli ricordava sin troppo suo nonno – un incrocio fra un predicatore mormone e Mosè di ritorno dal Sinai – lo sconcertava.
«Naturalmente salvare le anime rimane il job title dell’azienda, ci mancherebbe altro», riprese con simulata cordialità. «Ma oggi davanti a noi si spalanca un market place enorme. Se non vogliamo ridurci alla pura resilienza dobbiamo puntare sulla diversity inclusion: porre in ruoli decisionali categorie generalmente discriminate, per fornire migliori capacità di orientamento al cliente e maggiori ritorni finanziari rispetto al nostro infernale competitor».
«Pensa che il figlio putativo d’un povero falegname ebreo potrebbe essere un testimonial abbastanza inspirational per il nuovo corso?».
Stavolta era impossibile non cogliere il tono sarcastico, perfino per un povero AD milionario abituato a prendere a mazzate la realtà per costringerla nel letto di qualche algoritmo rassicurante. Per la prima volta in vita sua l’Amministratore Delegato sentì vacillare ogni certezza. Cosa gli stava succedendo? Era appena stato assunto per risanare un’azienda decotta fin che si vuole, ma pur sempre un colosso che stava sul mercato da un’eternità, e invece d’essere al settimo cielo tutto gli appariva all’improvviso vuoto e privo di senso. La sua ricetta – finora infallibile – non aveva convinto quel creativo dei tempi andati che lo fissava con sguardo incollerito.
Bussarono timidamente alla porta. Entrò Gabriele, le bianche ali ripiegate come in un inchino: «Mi spiace, dev’esserci stato uno scambio di persona… Proprio adesso è rientrato Michele con il nuovo inquilino».
«E io?», mormorò l’AD con voce soffocata.
«Vada pure all’inferno», disse il cliente dalla barba bianca.

Mai fidarsi delle rosse
La matita scricchiolava nervosa sul foglio e non voleva saperne di ubbidirgli. Charles era più nervoso di lei. Cercava di concentrarsi ma i disegni restavano rattrappiti nel loro scheletro di grafite. Un pompiere, maledizione: si era fatto fregare la ragazza che amava da un pompiere!
Strinse così forte la matita che la mina si spezzò.
«Come i miei sogni di gloria», disse amareggiato.
Già si vedeva a insegnare disegno a vita in quella mesta scuola d’arte di Minneapolis che gli pareva una prigione, ora che Donna Mae l’aveva respinto. Ma lui le avrebbe fatto rimpiangere amaramente quella scelta sventata. La signorina Donna Mae Johnson avrebbe imparato a sue spese di che pasta era fatto. Se solo fosse riuscito a sbloccarsi…
«Voi artisti siete tutti incendiari, ma io sogno una vita tranquilla, Charles. Preferisco un pompiere»: l’aveva liquidato così, con un mezzo sorriso di scusa e un tono scherzoso che l’aveva umiliato ancora di più. Umiliato e offeso. Un giorno sarebbe diventato famoso, e al diavolo Donna Mae col suo pompiere.
Poi se la rivide davanti agli occhi come la prima volta, fresca d’assunzione nel ruolo di contabile della scuola: il viso sorridente, gli occhi maliziosi e quella chioma di capelli rossi che l’avevano subito fatto innamorare. L’aveva corteggiata per due anni, portandola fuori a cena e a ballare. Per l’ultimo san Valentino aveva perfino schizzato il suo ritratto su una cartolina, ma all’ultimo momento gli era mancato il coraggio di spedirla.
«Sei uno stupido», s’era ripetuto mille volte, mentre strappava il disegno in mille pezzi. E benché fosse astemio come un quacchero si era sentito addosso una strana ebbrezza, una specie di sbornia che aveva continuato a tormentarlo ogni volta che pensava a Donna Mae fino a quando, vincendo a stento la timidezza, le aveva fatto una dichiarazione con tutti i crismi. Ed era stato respinto. Respinto con perdite, per la precisione, se si fa il conto delle lacrime versate di nascosto per evitare di sentirsi ripetere da sua madre la solita solfa: «Mai fidarsi delle ragazze dai capelli rossi, te l’avevo detto…».
Charles fissò la matita spezzata che giaceva malinconica sul foglio. Un crac impercettibile: così si era spezzato anche il suo cuore all’inopinata irruzione del pompiere, spegnitore per mestiere d’ogni tipo d’incendio, soprattutto se alimentato dal fuoco inconsulto della passione altrui. Quella doccia fredda l’aveva così scioccato che ancora adesso gli paralizzava l’immaginazione a tradimento.
Meglio non pensarci, Donna Mae era acqua passata. Prese un’altra matita e appoggiò la punta sul foglio. Il cilindro di grafite sembrò muoversi da solo, disegnando un bambino dalla testa tonda come la luna piena: «Questo sono io, Charlie: un perdente dalla nascita, innamorato senza speranza di una ragazzina dai capelli rossi» sospirò Charles.
Sentì la zampa di Snoopy che gli grattava un ginocchio: «Hai ragione, vecchio mio. Nella striscia ci metterò anche un cane».
Giurò che ci avrebbe infilato pure Donna Mae, ma quando ci provò la matita s’inceppò di nuovo e non volle saperne di andare avanti.
Per questo nessuno di noi saprà mai che faccia ha la ragazzina dai capelli rossi amata da Charlie Brown.

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BRUCIATURE. PICCOLE STORIE CAUSTICHE

Il falò della vanità
Mica per vantarsi, ma Zastrozzi era un uomo modesto. Parlò a lungo tenendo gli occhi bassi, quasi si vergognasse di stare in piedi sul palco sotto lo sguardo di tutti. Quando infine esplose l’applauso, diventò rosso come un gambero e prese fuoco. Modestia a parte, fu un rarissimo caso d’autocombustione spontanea: a Busto Arsizio ne parlano ancora. Dapprima cominciarono a bruciare i vestiti, poi il grasso presente nel corpo ben nutrito di Zastrozzi prese a liquefarsi, alimentando la fiamma come fa la cera d’una candela, finché in breve di lui non rimase che cenere. Ecco che cosa può succedere ai falsi modesti.

Premio Strega
Da secoli attendeva quel riconoscimento restando pazientemente nell’ombra, come s’addice a una vera scrittrice. Mica come quelle streghe delle sue colleghe, sempre a intrigare nei salotti invece di sudare sulla pagina. Ma finalmente il mondo letterario avrebbe riconosciuto il suo talento. Dopo aver riempito la ciotola del gatto, si mise in ghingheri e si fece portare in taxi fino alla sede della premiazione. Superato il pesante portone, avanzò tra due ali di folla festante fino a una sala vasta e nuda, al centro della quale ardeva un bel fuoco.
«Urrà per la vincitrice del premio Strega!», gridò giulivo il Grande Inquisitore, mentre i suoi sgherri la mettevano al rogo.

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CINQUE ROMANZI IN 600 BATTUTE

Specchio delle mie brame
Una mattina, davanti allo specchio, Christine si scoprì calva e rugosa. Aveva solo 13 anni e la cosa la mandò in depressione. In famiglia giuravano che erano solo fantasie: macché rughe, macché crapa pelata! Christine fingeva di crederci, ma non voleva più uscire di casa. Adesso passa le giornate a invecchiare davanti allo specchio. I medici parlano di dismorfofobia: esagerati! A Christine piace solo sentirsi un mostro. Tre volte alla settimana la mamma la carica su una limousine dai vetri fumé come un carro funebre e la porta dallo psichiatra. Rimasto solo, lo specchio continua a riflettere.

Precipitevolissimevolmente
Uno scrittore si era messo in testa di scrivere un romanzo intero in 600 battute. La notizia circolò e un grosso giornale si offrì di pubblicarlo. Lo scrittore s’impegnò a fondo, ma in economia: un solo personaggio, trama lineare e colpo di scena finale da inventare strada facendo. Era già a quota novantanove quando gli venne meno l’ispirazione. Mancava solo una parola, ma decisiva. Finora aveva usato nomi corti, pochi verbi, quasi niente aggettivi. Sentì che gli occorreva un avverbio: lungo, maestoso, ma veloce come la saetta. L’ictus lo uccise mentre lo scriveva, precipitevolissimevolmente.

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Musiche
Markku Peltola – “Sakosatula”
Depeche Mode – “Enjoy the Silence”
The Piano Guys – “Charlie Brown Medley”
The Doors – “Light My Fire” (“American Nights. In Concert”)
Bobby McFerrin – “Don’t Worry Be Happy”

Brano corrente

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