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10 Ottobre 2006 | Paesaggio dell'anima

N°30-UNA CITTA’, UNA STORIA

Compiano (Parma): intorno al castello dei Landi, la baraonda di girovaghi e orsanti.

“Ai nostri monti ritorneremo…”, canta Il Trovatore di Giuseppe Verdi. Ai nostri monti. Posto sulla strada che collega l’Emilia alla Liguria, tra i boschi dell’Appennino parmense ricchi di funghi e arboree penombre, Compiano è un tipico borgo castellano di impronta medievale fiorito intorno al baluardo difensivo dell’Alta Val Taro. Qui la storica famiglia Landi, di parte ghibellina e perciò sostenuta dall’Impero, diede vita a un minuscolo staterello di mezza montagna che, bene o male, ha resistito per oltre 400 anni. E anche il castello, cui fa da corona il borgo, sembra non temere il passaggio del tempo, in quanto abitato dall’ultima proprietaria fino al 1987. Edificato su uno sperone roccioso a guardia del corso del fiume Taro, ha pianta trapezoidale ed è chiuso agli angoli da tre torri rotonde “alla piacentina”, a filo delle cortine murarie per offrire minor bersaglio alle artiglierie, e da una torre quadrata più antica. Oggi si presenta come possente struttura quattrocentesca con ampliamenti sei-settecenteschi. Con il declino dello Stato Landi, sotto il Ducato di Maria Luigia divenne prigione di Stato, in cui furono rinchiusi i carbonari dei moti del 1821. Nel 1900 venne adibito a collegio femminile, per poi tornare abitazione privata per la marchesa Gambarotta. Oggi il castello, visitabile a pagamento, custodisce la Collezione Gambarotta, costituita da arredi e dipinti sei-settecenteschi, e il Museo della Massoneria, che espone oggetti e documenti della massoneria in collaborazione con la Loggia Massonica Grande Oriente d’Italia.

Il borgo ha vicoli lastricati in salita sui quali si affacciano palazzi nobiliari e case torri; è protetto dalle mura fortificate del castello, al cui destino è stato per secoli legato. Nella piazzetta con belvedere sulla vallata, è da visitare la chiesa di San Giovanni Battista. L’antico municipio e tribunale di Compiano ha una bella facciata con balcone seicentesco. Compiano, per le sue caratteristiche urbanistiche, architettoniche e ambientali, è classificata dal 2002 nel Club de “I Borghi più belli d’Italia”.

Tra il centinaio di documenti originali relativi al periodo classico della signoria dei Landi (1578-1630), conservati nell’archivio privato di un’antica famiglia di Compiano, ce n’è uno curioso, datato 30 marzo 1602. Si tratta della supplica di grazia al Principe, da parte della madre di un giovane condannato a due mesi di prigione a Compiano per aver tentato di baciare una ragazza. Il Principe rispose facendo grazia della metà della pena. Già da questo periodo, cioè nel Seicento, Compiano come altri luoghi vicini dell’Appennino, era un punto di partenza degli emigranti stagionali che andavano a cercare fortuna in pianura, a volte spingendosi anche Oltralpe.

Il “passaporto della leggera” era, nel gergo ottocentesco dei girovaghi, il misero bagaglio che gli ambulanti si portavano dietro nel loro vagabondare per le strade d’Europa. Fra loro c’erano venditori d’inchiostro, lumini o pomate “miracolose”, burattinai, musicanti, “fieranti con mercerie”, saltimbanchi. L’epicentro originario di questi “artisti” che nei secoli scorsi si diramarono fino ai Pirenei e alla Polonia, era la zona del monte Pelpi, nell’Appennino parmense, tra Bedonia e Compiano, dove ha sede il museo degli “Orsanti”: così si chiamavano i montanari che, costretti a inventarsi qualcosa pur di sopravvivere, suonavano nelle strade e nelle fiere di paese, mettendo in mostra scimmie, cammelli, orsi. Ecco perché Compiano, l’antico borgo dei Principi Landi, si è candidato a diventare il centro europeo del nomadismo e ad ospitare, nei boschi incontaminati alle pendici del monte Pelpi, i girovaghi, i giramondo, i chierici vaganti del XXI secolo. Qui infatti ha luogo, nei fine settimana estivi, il Festival dei Girovaghi, un appuntamento per tutti coloro che vogliono esibire le proprie capacità creative, in omaggio ai girovaghi del passato. Per i cultori della vita errabonda, che hanno come motto We are moving, Siamo in movimento, l’estate trascorre all’insegna della spontaneità e della musica, con bande giovanili, artisti di strada, personaggi itineranti e strampalati. Il motto prescelto – We are moving – suona un po’ come una provocazione per un paese che cerca di smuoversi dal torpore in cui è caduto dalla fine del Principato.

Abbiamo con noi al telefono Maria Teresa Alpi, la madrina di tutte le iniziative che si svolgono a Compiano, amante appassionata di questo borgo al quale pure non risparmia critiche. Maria Teresa ha fatto nascere il Museo degli Orsanti, che è diventato oggi – si può dire – la sua postazione di lavoro, e dirige l’altra sua invenzione, il Festival dei Girovaghi.

Il Museo degli Orsanti documenta l’attività degli emigrati girovaghi originari dei paesini che fanno corona al monte Pelpi, iniziata nel ‘700 e conclusasi alla vigilia del primo conflitto mondiale. Sentiamo Maria Teresa cosa ci dice in proposito.

Intervista a Maria Teresa Alpi.

Cari amici, speriamo di avervi fatto venir voglia di visitare questo borgo dell’Appennino a 70 km da Parma. Abbiamo un ulteriore argomento: il cibo. Qui i funghi porcini e le castagne, forniti direttamente dai boschi dell’alta valle del Taro, sono protagonisti di tante ricette della tradizione gastronomica locale. A Compiano potete assaggiare gnocchi di castagna con la ricotta, il vitello alla Valtarese, cioè arrosto con contorno di funghi porcini, e la faraona alla castellana, in umido con sapori dell’orto.

 

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