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24 Settembre 2007 | Paesaggio dell'anima

N°76-IL PAESAGGIO DELL’ANIMA

Un viaggio in regione attraverso la musica. Puntata 76. Un saluto all’indimenticabile Luciano Pavarotti.


Musica. Luciano Pavarotti: E lucevan le stelle (dalla “Tosca” di Puccini)

 E così, cari amici, la “voce” non c’è più. Era da qualche tempo che volevamo far ripartire il nostro viaggio da Modena, appena sfiorata in altre puntate, ma dove non c’eravamo mai fermati con voi. Siamo andati alla ricerca del libro giusto per farci guidare nella città emiliana, e l’abbiamo trovato nel “Magical Mystery Tour” di Roberto Barbolini, autore naturalmente modenese che si muove agile nello spazio e nel tempo, dalla Modena romanica di Wiligelmo a quella ipertecnologica della Ferrari, dalla città provinciale dello scrittore Delfini a quella in mondovisione del tenore Pavarotti.

Pavarotti, appunto. La sua scomparsa ha riacceso i riflettori internazionali su Modena, che già con il “Pavarotti & Friends” degli anni passati appariva legata al bel canto grazie al suo illustre figlio, nato da madre operaia alla Manifattura Tabacchi e padre fornaio e melomane, come accade a tanti personaggi della Bassa emiliana cresciuti a prosciutto e lirica, a tigelle e Giuseppe Verdi.

Musica. Luciano Pavarotti: Non ti scordar di me (di De Curtis, da “Pavarotti in Hyde Park”, 30 luglio 1991)

Non ti scordar di me… Non ci scorderemo di te, big Luciano. Della tua voce prodigiosa, che resta nei dischi, ma che ci mancherà. Del timbro inimitabile di quella tua voce: un miracolo di morbidezza e naturalezza. Del tuo tocco popolare: perché amavi cantare tra la gente, con la concretezza tipica della tua terra. Siamo, infatti, nella regione del melodramma, dove l’opera lirica è stata davvero il grande romanzo popolare. E solo qui, nella valle padana, “fra un popolo facile ad accalorarsi, travagliato e pieno di una sinistra inclinazione musicale”, come ebbe a scrivere il critico Bruno Barilli, potevano emergere personaggi come Giuseppe Verdi e Luciano Pavarotti.

Che dire ancora, che non sia già stato detto? Che se Frank Sinatra era “the Voice”, Pavarotti con Caruso, Gigli e Di Stefano ha segnato la storia del bel canto. Pavarotti è stato il “Caruso” dei nostri tempi. E “Caruso”, la canzone di Lucio Dalla, ha acquistato forza grazie a Pavarotti e al ritornello, quasi operistico, che ha fatto il giro del mondo.

Musica. Lucio Dalla e Luciano Pavarotti: Caruso

“Il tenore – ha scritto Luciano Barbolini – è qualcosa a metà fra il torero e la rockstar”. E racconta una storia che tutti più o meno sanno. Ovvero che il padre di Bono e quello di The Edge degli U2, entrambi tenori dilettanti irlandesi, hanno cominciato a capire il senso di quello che facevano i loro figli (quella musica “strana”, piena di rumori…) solo quando li hanno visti cantare sul palco insieme con Pavarotti. E’ successo a Modena in un’umida sera di settembre del 1995, al “Pavarotti & Friends”. Per Pavarotti gli U2 hanno scritto la bellissima “Miss Sarajevo”, storia tragica di un concorso di bellezza nella città bosniaca straziata dalla guerra. Quando il signor Hewson e il signor Evans hanno visto i rispettivi figli accanto al loro idolo, il grande tenore italiano che sparava gli acuti di “All’alba vincerò”, si sono commossi e forse per la prima volta hanno provato rispetto anche per la musica di quegli scalmanati degli U2.

Musica. U2 e Luciano Pavarotti: Miss Sarajevo

Il “Pavarotti & Friends”, che ha fatto storcere il naso a molti puristi, è stato il tentativo di tenere insieme il pop e l’opera, il tenore e la rockstar. “L’una non è che l’erede dell’altra, la sua versione on the road”, dice Barbolini. E forse ha ragione Bono degli U2 – continua – quando sostiene che “l’anima di Pavarotti è punk, la stessa opera lirica è punk rispetto alla musica classica”. Infatti, cos’erano i camicioni hawaiani di Pavarotti, la capigliatura intrisa di nerofumo a sporcare lo sparato bianco, la stazza enorme, l’occhio bistrato delle sue ultime interpretazioni, se non il tentativo di svicolare dalla ristrettezza di genere, di fare uno sberleffo all’ideologia dei loggionisti, bearsi delle folle oceaniche, negli stadi, nelle piazze, anche ricorrendo al kitsch, alle più inflazionate arie d’opera o all’apporto di rockettari che  sfiguravano a cantare accanto a lui?

“Alcuni cantano l’opera, Luciano Pavarotti era un’opera”, ha detto Bono Vox, la voce degli U2. La voce di Pavarotti era “più fragorosa di qualsiasi rock band”, la voce di “un gran vulcano d’uomo che cantava il fuoco ma straripava di amore per la vita”. Vogliamo allora concludere con uno splendido brano di 15 anni fa, composto da Zucchero (siamo sempre tra emiliani…) che convinse poi Pavarotti a cantarlo. “Miserere misero me / però brindo alla vita…”. Eh sì, cari amici: “che mistero è la mia vita / ma che mistero…” questa vita melodrammatica, tragica e buffa, che porta il riso e il pianto, il fragore e il sospiro, la luce e la notte – recitata su un palcoscenico, proprio come a teatro.

Musica. Zucchero e Luciano Pavarotti: Miserere

A cura di Claudio Bacilieri, lettura di Fulvio Redeghieri.

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