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1 Ottobre 2007 | Paesaggio dell'anima

N°77-IL PAESAGGIO DELL’ANIMA

Un viaggio in regione attraverso la musica. Puntata 77. Un saluto all’indimenticabile Luciano Pavarotti.


Musica. Luciano Pavarotti: Pourquoi me réveiller? (dal “Werther” di Massenet – Concerto di Hyde Park, 30 luglio 1991).

Perché dovrei svegliarmi, perché dovremmo uscire dall’incantesimo, cari amici, mentre con la calda voce di Pavarotti nelle orecchie passeggiamo per Modena, una “piccola Praga magica – scrive Roberto Barbolini – che mescola il suo singolare bestiario umano ai mostri gotici” della cattedrale? Sì, perché in giro vedi certe facce squadrate che rivelano inconfondibili radici celtiche, e sono i discendenti degli stessi modenesi che più di 900 anni fa chiamarono dall’Aquitania Wiligelmo a scolpire sulla facciata e le porte monumentali del Duomo gli incubi romanici. E la Ghirlandina: la vedete, la maestosa torre campanaria che porta sugli spigoli le figure fantastiche dei bestiari medievali, così che gli antichi marmi sono tutto un fiorire di draghi, grifoni, sirene e leoni alati? Per non parlare della famosa “potta” che campeggia sulla linea di gronda del Duomo e stupisce chi vi ci sbatte gli occhi sopra da Piazza Grande: perché non si sa cosa ci stia a fare lì, questo ermafrodito a gambe aperte, che mostra la “potta” ai passanti – aggrappato da secoli ai marmi di una cattedrale: ma che senso ha? Misteri di una città kafkiana, suggerisce lo scrittore Roberto Barbolini: impressione confermata dall’esistenza di un “castello”, trasformato poi in Palazzo Ducale e sede dell’Accademia militare.

Musica. Luciano Pavarotti: Recondita armonia (dalla “Tosca” di Puccini – Concerto di Hyde Park, 30 luglio 1991).

Ma una nascosta armonia, questa città ce l’ha. Modena è divisa in due dalla Via Emilia, che l’attraversa come un fiume. A differenza di Reggio e di Parma, non si stende sulla Via Emilia, ma vi si accartoccia sopra, la racchiude, la fa vivere dentro di sé. Insomma, Modena è la Via Emilia: tanto che questa nobile strada ne determina anche il carattere bifronte, a seconda di come ci si posizioni rispetto ad essa. Da un lato della via ci sono il medioevo, la Controriforma, i due collegi clericali di San Carlo e San Giuseppe, i colli e le montagne. Dall’altro lato, ci sono la Modena romana, il Palazzo Ducale, la casa di intellettuali come il Muratori, Ciro Menotti e il Risorgimento, la pianura. Da un lato la passione, dall’altro la ragione: possiamo dirlo? E comunque, queste osservazioni non sono nostre, ma del più grande scrittore di Modena, quell’Antonio Delfini lunatico e flâneur, che amò tanto la sua città da reinventarsela ogni volta che ne parlava, come l’amante ogni volta si reinventa l’amato, nell’immaginazione. A questo punto, possiamo ascoltare dalla voce di Luciano Pavarotti “Donna non vidi mai” dalla “Manon Lescaut” di Puccini, che il tenore modenese dedicò a Lady Diana durante il concerto di Hyde Park il 30 luglio 1991. La principessa di Galles, che amava il rock, trasfigurata dalla lirica, e morta in un incidente fatale come un’eroina dell’opera…

Musica. Luciano Pavarotti: Donna non vidi mai (dalla “Manon Lescaut” di Puccini – Concerto di Hyde Park, 30 luglio 1991).

Dicevamo di Delfini. Amava tanto la sua città – scrive Roberto Barbolini – da odiarla di tutto cuore. Delfini, “passando dal fascino del giovin signore ventenne all’aria immagonita e disillusa dell’uomo calvo e precocemente invecchiato degli ultimi anni, si era via via appesantito, senza perdere però l’aspetto determinante di chi è pronto a giocarsi la vita e a mandare tutto quanto in malora per un attimo di grazia poetica”. I critici dicono che “Il ricordo della Basca”, e soprattutto la sua famosa Introduzione, sia uno dei capolavori della letteratura italiana del Novecento. Con un che di profondamente emiliano: un parlare a vanvera, uno straparlare che capita a chi, sotto i portici di Modena o di qualsiasi altra città emiliana, si sbraccia con gli amici per invitarli a prendere un caffè, e fa battute con loro, li prende e si fa prendere in giro, e poi gioca con le parole, disputa, inventa, ingabbiando questo sproloquiare di provincia tra le arcate regolari dei portici, in modo che la vanvera si faccia racconto, senso. Ma d’altra parte, che senso poteva mai dare alla vita un orfano come Delfini che conobbe il volto di suo padre vedendolo uscire intatto dalla terra il giorno dell’esumazione – il padre aveva 33 anni e lui, suo figlio, 54?

Musica. Luciano Pavarotti: Nessun dorma (dalla “Turandot” di Puccini – Concerto di Hyde Park, 30 luglio 1991).

Poche note, e la voce di Pavarotti si stempera sulle malinconie di provincia, le sorvola e le disperde sotto i portici di Corso Canal Chiaro o della Via Emilia o di Corso Canal Grande, seguendo i tracciati degli antichi canali costruiti per la bonifica del suolo paludoso. Chiese e palazzi, strade curve e porticate, piazze e cortili accolgono questa voce e fanno da sfondo, da quinta o da cassa di risonanza alle malinconie delfiniane, alle velleità di esistenze fallimentari e patetiche, sospese tra un’inutile attesa, la noia e l’incapacità di realizzazione. Il melodramma è l’anima di questa terra. Gli fa da contraltare la stanchezza esistenziale che rende Delfini un vagabondo notturno, con le sue lunghe passeggiate sotto i portici fino a tirar mattina: anima persa nella fumana, giovanotto impacciato. Che però, riesce a sfilare la Gina al gerarca fascista. E con la Gina, ballerina del varietà alloggiata alla pensione del Teatro Storchi, esce dal caffè inseguito dagli sguardi invidiosi dei clienti, e s’incammina lungo la Via Emilia, sotto i portici del Collegio, piccolo dandy di provincia. Ha lo stesso nome, la Gina, di quella che ora riposa al cimitero di San Cataldo, e che chiamavano “bocca di rosa”, come nella canzone di De André. Uno dei suoi riconoscenti clienti, un saldatore, a nome e a spese di tutti le ha appoggiato sulla tomba una statuina nuda del Pudore, a ricordo dei bei momenti trascorsi insieme. E su questo, neanche i frati di San Cataldo hanno avuto da ridire… 

Musica. Fabrizio De André: Bocca di rosa

A cura di Claudio Bacilieri, lettura di Fulvio Redeghieri.

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