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15 Luglio 2021 | Racconti d'autore

Ranocchi sulla luna

Poesie di Primo Levi tratte dalla raccolta “Ad ora incerta” (Milano, Garzanti, 1984)

Vittorio Ferorelli

Otto animali immaginari e a ciascuno la sua voce: gli studenti del Liceo scientifico “Giacomo Ulivi” hanno letto e interpretato alcune poesie di Primo Levi e ne hanno realizzato altrettanti video, ambientati nel Museo di storia naturale dell’Università di Parma. Ve ne proponiamo l’ascolto.

Il canto del corvo

“Sono venuto di molto lontano
Per portare mala novella.
Ho superato la montagna,
Ho forato la nuvola bassa,
Mi sono specchiato il ventre nello stagno.
Ho volato senza riposo,
Per cento miglia senza riposo,
Per trovare la tua finestra,
Per trovare il tuo orecchio,
Per portarti la nuova trista
Che ti tolga la gioia del sonno,
Che ti corrompa il pane e il vino,
Che ti sieda ogni sera nel cuore”.
        Così cantava turpe danzando,
        Di là dal vetro, sopra la neve.
        Come tacque, guardò maligno,
        Segnò col becco il suolo in croce
        E tese aperte le ali nere.

9 gennaio 1946

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Schiera bruna

Si potrebbe scegliere un percorso più assurdo?
In corso San Martino c’è un formicaio
A mezzo metro dai binari del tram,
E proprio sulla battuta della rotaia si dipana una lunga schiera bruna,
S’amussa l’una con l’altra formica
Forse a spiarlo via e lor fortuna.
Insomma, queste stupide sorelle
Ostinate lunatiche operose
Hanno scavato la loro città nella nostra,
Tracciato il loro binario sul nostro,
E vi corrono senza sospetto
Infaticabili dietro il loro tenui commerci
Senza curarsi di
                  Non lo voglio scrivere,
Non voglio scrivere di questa schiera,
Non voglio scrivere di nessuna schiera bruna.

13 agosto 1980

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Aracne

Mi tesserò un’altra tela,
Pazienza. Ho pazienza lunga e mente corta,
Otto gambe e cent’occhi,
Ma mille filiere mammelle,
E non mi piace il digiuno
E mi piacciono le mosche e i maschi.
Riposerò quattro giorni, sette,
Rintanata dentro il mio buco,
Finché mi sentirò l’addome gravido
Di buon filo vischioso lucente,
E mi tesserò un’altra tela, conforme
A quella che tu passante hai lacerata,
Conforme al progetto impresso
Sul nastro minimo della mia memoria.
Mi siederò al centro
E aspetterò che un maschio venga,
Sospettoso ma ubriaco di voglia,
A riempirmi ad un tempo
Lo stomaco e la matrice.
Feroce ed alacre, appena sia fatto buio,
Presto presto, nodo su nodo,
Mi tesserò un’altra tela.

29 ottobre 1981

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Un topo

È entrato un topo, da non so che buco;
Non silenzioso, come è loro solito,
Ma presuntuoso, arrogante e bombastico.
Era loquace, concettoso, equestre:
S’è arrampicato in cima allo scaffale
E mi ha fatto una predica
Citandomi Plutarco, Nietzsche e Dante:
Che non devo perdere tempo,
Bla bla, che il tempo stringe,
E che il tempo perduto non ritorna,
E che il tempo è denaro,
E che chi ha tempo non aspetti tempo
Perché la vita è breve e l’arte è lunga,
E che sente avventarsi alle mie spalle
Non so che carro alato e falcato.
Che sfacciataggine! Che sicumera!
Mi faceva venire il latte ai gomiti.
Forse che un topo sa che cosa è il tempo?
È lui che me lo sta facendo perdere
Con la sua ramanzina facciatosta.
È un topo? Vada a predicare ai topi.
L’ho pregato di togliersi di torno:
Che cosa è il tempo, io lo so benissimo,
Entra in molte equazioni della fisica,
In vari casi perfino al quadrato
O con un esponente negativo.
Ai casi miei provvedo da me stesso,
Non ho bisogno dell’altrui governo:
Prima caritas incipit ab ego

15 gennaio 1983

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Meleagrina

Tu, sanguecaldo precipitoso e grosso,
Che cosa sai di queste mie membra molli
Fuori del loro sapore? Eppure
Percepiscono il fresco e il tiepido,
E in seno all’acqua impurezza e purezza;
Si tendono e distendono, obbedienti
A muti intimi ritmi,
Godono il cibo e gemono la loro fame
Come le tue, straniero dalle movenze pronte.
E se, murata fra le mie valve pietrose,
Avessi come te memoria e senso,
E, cementata al mio scoglio, indovinassi il cielo?
Ti rassomiglio più che tu non creda,
Condannata a secernere secernere
Lacrime sperma madreperla e perla.
Come te, se una scheggia mi ferisce il mantello,
Giorno su giorno la rivesto in silenzio.

30 settembre 1983

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Pio

Pio bove un corno. Pio per costrizione,
Pio contro voglia, pio contro natura,
Pio per arcadia, pio per eufemismo.
Ci vuole un bel coraggio a dirmi pio
E a dedicarmi perfino un sonetto.
Pio sarà Lei, professore,
Dotto in greco e latino, Premio Nobel, che
Batte alle chiuse imposte coi ramicelli di fiori
In mancanza di meglio
Mentre io m’inchino al giogo, pensi quanto contento
Fosse stato presente quando m’han reso pio
Le sarebbe passata la voglia di fare versi
E a mezzogiorno di mangiare il lesso.
O pensa che io non veda, qui sul prato,
Il mio fratello intero, erto, collerico,
Che con un sol colpo delle reni
Insemina la mia sorella vacca?
Oy gevàlt! Inaudita violenza
La violenza di farmi non violento.

18 maggio 1984

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La mosca

Qui sono sola: questo
È un ospedale pulito.
Sono io la messaggera.
Per me non ci sono porte serrate:
Una finestra c’è sempre,
Una fessura, i buchi delle chiavi.
Cibo ne trovo in abbondanza.
Tralasciato dai troppo sazi
E da quelli che non mangiano più.
Traggo alimento
Anche dai farmaci gettati.
Poiché a me nulla nuoce.
Tutto mi nutre, rafforza e giova;
Materie nobili ed ignobili.
Sangue, sanie, cascami di cucina:
Trasformo tutto in energia di volo
Tanto preme il mio ufficio.
Io per ultima bacio le labbra
Arse dei moribondi e morituri.
Sono importante. Il mio sussurro
Monotono, noioso ed insensato
Ripete l’unico messaggio del mondo
A coloro che varcano la soglia.
Sono io la padrona qui:
La sola libera, sciolta e sana.

31 agosto 1986

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Il dromedario

A che tante querele, liti e guerre?
Non avete che da imitarmi.
Niente acqua? Me ne sto senza,
Attento solo a non sprecare fiato.
Niente cibo? Attingo alla gobba:
Quando i tempi vi sono propizi
Crescetene una anche voi.
E se la gobba è floscia
Mi bastano pochi sterpi e paglia;
L’erba verde è lascivia e vanità.
Ho brutta voce? Taccio quasi sempre,
E se bramisco non mi sente nessuno.
Sono brutto? Piaccio alla mia femmina,
Le nostre badano al sodo
E danno il miglior latte che ci sia;
Alle vostre, chiedete altrettanto.
Sì, sono un servo, ma il deserto è mio:
Non c’è servo che non abbia il suo regno.
Il mio regno è la desolazione;
Non ha confini.

24 novembre 1986

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La lettura scenica “Ranocchi sulla luna”, realizzata dagli studenti del Liceo scientifico “Giacomo Ulivi” di Parma con gli insegnanti Andrea Barbieri e Federica Pedretti, fa parte del progetto “2020 STORIE”, finanziato dal programma “Per Chi Crea” 2018, promosso dal Ministero della cultura e gestito dalla SIAE, che destina il 10% dei compensi per “copia privata” a supporto della creatività e della promozione culturale dei giovani.
L’ideazione drammaturgica e scenica è a cura di Adriano Engelbrecht e Sandra Soncini (associazione teatrale “L.O.F.T.”). La regia, le riprese, il montaggio video e sonoro sono stati realizzati da Milo Adami, Sandro Nardi e Amedeo Cavalca (associazione “24FPS Obiettivo cinema”).

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Immagini
“Frog” – fotografia di Tim Green (CC BY 2.0)

Musiche
Maya Belsitzman & Matan Ephrat – “Farewell”
Maya Belsitzman & Matan Ephrat – “Once Upon a Time”
Lance Conrad – “Tell the Story”
Lance Conrad – “Internal Space”
Itamar Doari – “Beat the Dark”
Maya Belsitzman & Matan Ephrat – “The Horizon”
Lance Conrad – “Hum”

Brano corrente

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