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29 Aprile 2021 | Racconti d'autore

Ritratti di poeta

Poesie tratte dal volume omonimo (a cura di Cinzia Demi; Pasturana, Puntoacapo Editrice, 2019)

Vittorio Ferorelli

L’anno scorso, nella Biblioteca Ariostea di Ferrara, l’associazione culturale “Gruppo del Tasso” ha festeggiato il suo primo decennale: l’attore Ivano Marescotti è stato invitato a leggere alcune poesie tratte dall’antologia “Ritratti di poeta”, in cui la poetessa e saggista Cinzia Demi ha raccolto versi di autori e autrici contemporanei. Ve le facciamo ascoltare.

Canto l’arme pietose e ‘l capitano
che ‘l gran sepolcro liberò di Cristo.
Molto egli oprò co ‘l senno e con la mano,
molto soffrí nel glorioso acquisto;
e in van l’Inferno vi s’oppose, e in vano
s’armò d’Asia e di Libia il popol misto.
Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi
segni ridusse i suoi compagni erranti.

O Musa, tu che di caduchi allori
non circondi la fronte in Elicona,
ma su nel cielo infra i beati cori
hai di stelle immortali aurea corona,
tu spira al petto mio celesti ardori,
tu rischiara il mio canto, e tu perdona
s’intesso fregi al ver, s’adorno in parte
d’altri diletti, che de’ tuoi, le carte.

Sai che là corre il mondo ove piú versi
di sue dolcezze il lusinghier Parnaso,
e che ‘l vero, condito in molli versi,
i più schivi allettando ha persuaso.
Cosí a l’egro fanciul porgiamo aspersi
di soavi licor gli orli del vaso:
succhi amari ingannato intanto ei beve,
e da l’inganno suo vita riceve.

Tu, magnanimo Alfonso, il quale ritogli
al furor di fortuna e guidi in porto
me peregrino errante, e fra gli scogli
e fra l’onde agitato e quasi absorto,
queste mie carte in lieta fronte accogli,
che quasi in voto a te sacrate i’ porto.
Forse un dì fia che la presaga penna
osi scriver di te quel ch’or n’accenna.

È ben ragion, s’egli averrà ch’in pace
il buon popol di Cristo unqua si veda,
e con navi e cavalli al fero Trace
cerchi ritòr la grande ingiusta preda,
ch’a te lo scettro in terra o, se ti piace,
l’alto imperio de’ mari a te conceda.
Emulo di Goffredo, i nostri carmi
intanto ascolta, e t’apparecchia a l’armi.

Torquato Tasso, Gerusalemme liberata

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[da “Le fonti dell’amore. Poema mistico”, di Alda Cicognani]

Parte prima
Spiriti smarriti / Anime che cercano

Angelo perituro   anima di ginestra
così splendente   chi potrà legare
a te i pensieri dell’agrifoglio  di spine
e le rosse bacche dell’inverno
chi se non ti chini all’Altare
austero di promesse oscure  tu
che nei caldi raggi hai le radici
e nell’acqua hai perduto l’immagine
dietro di te il paesaggio è sfumato
la nebbia  discesa non rispecchia il vero
non potrà farlo capire nessuno  se
non ha l’intelligenza del cuore

Anima senza riverbero in sonno
nella quiete delle ondate sullo scoglio
ricorda  immergi il dito nell’acqua
guarda allargarsi gli anelli
sempre più ampi e porterai alle labbra
il ricordo più antico  l’abbraccio
l’uscita dal corpo unico e vero varco

il calore e poi l’abisso dell’aria e il pianto
di chi  quale pianto o dolce pianto
non fu che la caduta nel vivere accettato
dal primitivo accorato assenso
ebbene sì vivrò lo voglio […]

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[da “Mancanze”, di Alessandro Fo]

Il prato metafisico

fiat

Ha piovuto nel prato. Con i cani
cammino e il lastricato
è cosparso di chiocciole.
Le schiaccio
involontariamente,
e mi dispiaccio
di sterminare vite,
anche minuscole.
Più semplici dei cani,
a muso basso
vaganti,
più semplici di me.
Non sono loro ad aver steso il selciato.
E né chiocciole,
né cani,
né noi
il prato
col brulichio infinito delle vite
radici
larve
chiocciole
formiche
due cani
e me,
che ce ne andiamo al passo
fra le innumeri forme qui fiorite
parallelamente
sistematicamente
gerarchicamente, e fra le nebbie
del dubbio casomai di questo passo
si dimostrasse niente…

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[da “L’Ombra di chi passa”, di Alessandro Quattrone]

Sapessimo imitare la saggezza
delle cose ferme al loro posto
da mesi o da decenni,
noi anime in continuo movimento
senza una terra né un giardino
dove obbedire muti alle stagioni,
sapessimo restare immobili
come quadri appesi alle pareti,
con i nostri colori che chiedono solo
di avere una forma e una cornice.

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[da “Distratte le mani”, di Daniela Pericone]

Furori

Quando preme alla nuca
quando un troppo d’amaro
assilla in regresso
non regge l’adesso né tardo
destino esubera l’ora.
Divisa da incuria
e inverso il respiro, figlia
tra i barbari agli anni informi
– distratte le mani
ma esatte a disperdere fuochi
e inculcare nerezze –
parola s’apre spezzata
e fierezza è uno stelo reciso.
Non salvo da colpa chi batte
in cori sciamani e pavido cuore
– spente radici d’ardenza, nel vuoto
un lamento di prefica.

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[da “Matera e una donna”, di Dante Maffia]

A Roseto la donna e il mare sono un’unica cosa.
Ma tu eri tu e il mare era il mare, questa notte,
e tu sulla riva, nuda tra le mie braccia. Pioveva a dirotto
dall’orizzonte fino alla montagna. Lampi e tuoni impazziti
come furie infernali; nei tuoi occhi gelsomini in fiore.
Poi dentro di te, dolcissima, e i tuoni gelosi, il mare invidioso
che sbavava con più forza. La tua bocca sapeva di primavera.
Poi s’addolcì, il mare, e ci lusingò fino all’orgasmo,
che spaccò le stelle e le ridusse in cenere.

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[da “Il centro del mondo”, di Domenico Cipriano]

(a mio padre)

Si è raggrumata in sogno
la sequenza dell’adolescenza
noi due seduti: tu intento
a leggere il giornale, io
un libro, cogliendoci nelle parole,
fermando quell’istante quotidiano
complici gli odori della casa
il calore della stufa a kerosene
e il velluto a scacchi delle poltrone.
Mi hanno sorpreso di notte
in un sobbalzo della mente
che si concede raramente indietro
scompigliando gli anni
alla memoria senza grandi eventi:
quella necessaria, e più segreta.

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[da “Poesie familiari”, di Gabriella Sica]

Candida Divinatrice

Ancora una volta seguendo l’umore
una donna etrusca il tempo scrutava
nel timore di scosse o d’una folgore:
il profondo come un poeta frugavi.
Contava quanti anni ancora felici
dal numero dei passeri in volo,
traeva dell’incerto futuro auspici
da piccoli e oscuri prodigi del cielo.
Chiede se ara la terra o se miete,
com’era degli antenati il costume
alle scie attese di stelle e comete.
Il cielo un granaio azzurro crede,
i lampi e i tuoni i segnali evidenti
da divinare con la piena fede.

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[da “Il moto delle cose”, di Giancarlo Pontiggia]

Sovrastino, su queste sabbie
finissime, tese come un lino, vaste
come il fiammeo dominio dei pensieri,
cieli più ampi del tempo
che s’ingorga, lento, pigro
in una luce ardua, ventosa

o s’infoschino – in una sera
scura, dura, scheggiata,
che si sgretola, pezzo
dopo pezzo, sugli scogli
ondosi, flagellati
da crespe dense di fuoco, erosi
dalla furia gemmata degli elementi –
le porte, brucianti, dei tuoi occhi,

sempre, o contemplante, sentirai
il respiro
possente, luminoso
del mondo, la sua forte quiete, il suo
operoso, micidiale

moto.

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[da “Occorreva che nascessi”, di Gianfranco Lauretano]

Ora che ti ho chiamato
sei venuta, per obbligo
ma io chiamavo l’inchiamabile
e sei qui lo stesso
come se tra mistero e prostituta
la differenza fosse il luogo
entrambi impossedibili
e io dove sono l’ho dimenticato
se non in te parola
simile a una merce
che appari e in quel momento
sei di un altro.

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[da “Corpus Homini”, di Maddalena Bertolini]

Il corpo della terra sono io: il cielo invece
no. Ti appoggi alla mia guancia, alla pancia
della pianura e la punta delle montagne
ti sfiora il petto nell’abbraccio.
Tu sei lo specialista dell’abbraccio, quando stringi
forte il mare batte e sento affannarsi il vento:
penso che ogni sconvolgimento è una domanda
di riempimento che pretendo e non ci riesco
non sola, non senza la tua benevolenza.
Tu mi rimetti a posto nel sistema solare e
nella quiete dell’aria, nel desiderio
gravitazionale dell’amore

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[da “La metà del letto”, di Matteo Bianchi]

Mi manifesto

Nella città dei nostri silenzi,
piedi aderenti al freddo,
non c’era modo di confrontarsi
tra i fuori porta e i percorsi differenti.
Le mie radici come d’edera
sprofondavano tra le pietre a vista.
Fumo e in angolo specchi
per riflettere su di sé
la profondità dell’ambiente:
una forma diffusa d’isolamento.

Una lingua cominciava a descrivermi
incespicando sui ciottoli del ghetto,
tra i nomi qui scalfiti degli ebrei,
Gatta Marcia, via degli spettri.
Il dramma era che andavo scoprendomi
scrivendo di tutt’altro, non di me stesso.

Procedere con senno su una via,
non accumulare segmenti,
pavimenti d’acqua veneziani:
«ho fame di sentenze,
una soltanto, fate la carità
almeno per un caffè
irreversibile».
Avevo di scorta, però,
il profumo delle mele
della vasta piana ferrarese.

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[da “Il seme del giorno”, di Rossella Renzi]

Da qui si vede ogni cosa
il sole il mare le colline brulle,
la linea disegnata all’orizzonte
gli alberi in fila da qui
sono uomini in cammino.
Osservo tra le foglie
il loro procedere ordinato
è solo un lato dello sguardo
teso a seminare la distanza.

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[da “La bella vista”, di Umberto Fiori]

Eccomi


Dello sbuffo di polvere che si alza
tra le forsizie e le macchine,
di quest’aria di pioggia, di questi morti
alla televisione,
richiami di cornacchie, sirene
di ambulanze,
nessuno ci assicura.
Del baretto incendiato, dell’abbraccio
di una donna al suo dobermann
all’ombra, qui, del portone
– del loro male, del loro bene –
abbiamo perso la misura.
Facce, bottiglie rotte, rami fioriti:
il mare in cui nuotiamo
precipita
nei nostri occhi senza fondo.
Eppure quando mi chiamano
mi volto ancora – vedi? –
e rispondo.

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[da “Nel folto dei sentieri”, di Umberto Piersanti]

Incontro


il crepuscolo lungo
che si spegne,
dall’erbe e dalle macchie
fitte più di formiche
in processione
le rane nella strada
e contro i vetri,
sul cofano aggrappate
con rauchi gridi
ma non c’era un torrente
tutt’intorno,
neanche un fosso
il più scavato e perso,
non era quel cammino
così assurdo e irreale
e senza meta?
ma tacevano i lunghi
campi e freddi,
ottobre li bagnava
con la sua brina,
solo un grillo tenace
nel trifoglio
lo stanco canto
oppone
al primo gelo
chi non sa dove andare
meglio cammina,
nel buio s’annuncia
conviene perdersi,
i sentieri tra i campi
sono infiniti,
la fonte sta dovunque
o in nessun luogo
scendono per i greppi
le rane a balzi,
forse non hanno meta
forse è smarrita,
tu le guardi,
pensi
quant’è dolce
perdere la strada

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[da “Il tratto che ci unisce”, di Cinzia Demi]

   cerca, cerca nei tuoi ricordi
quel filo che ci unisce
annodalo, annodalo fra i capelli
la parte di te che più mi piace

   non lasciare che nessuno li tagli

   pettinali con cura
e al mattino
bella nello specchio
scoprirai una piccola cosa mia
che ti appartiene

   allora ti sentirai più forte
saprai d’aver con te
le tue radici

                 non importa dove

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Immagini
Danor Shtruzman – “Flamenco Dances Pink” (Public Domain Mark 1.0)

Musiche
Pat Metheny – “Don’t Know Why”
Greenfinch – “Ritournelle”
John Zorn – “Merkabah”
The Durutti Column – “Otis”

Brano corrente

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