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23 Giugno 2011 | Racconti d'autore

Ritratto di signora

di Vittorio Ferorelli (prima parte)

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

23 giugno 2011

Questo racconto di Vittorio Ferorelli, giornalista e caporedattore di “IBC”, la rivista dell’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, è ispirato a un clamoroso fatto di cronaca che risale al febbraio del 1997, quando a Piacenza, nella Galleria Ricci Oddi, venne rubato un prezioso quadro a olio realizzato tra gli anni Dieci e Venti dal grande artista viennese Gustav Klimt. La tela, che vantava già una storia piuttosto misteriosa, risulta tuttora introvabile.

Ritratto di signora
di Vittorio Ferorelli

[Su una terrazza, in un’isola italiana del Mediterraneo]

La donna sorrise.

– Godetevi il tramonto! Che alla cena ci pensiamo noi.

Mentre lo diceva, guardò negli occhi l’uomo con cui viveva da anni.

Lui ricambiò il suo sguardo. Davanti a quel cielo che andava a spegnersi nel mare, avrebbe voluto essere da solo con lei. Stringerla da dietro le spalle, baciandola tra il collo e i capelli sciolti.

La guardò in silenzio mentre finiva di apparecchiare la tavola e continuò a seguirla con lo sguardo mentre tornava dentro casa. A volte si meravigliava di quanto ancora fosse attratto da quel corpo non più giovane.

– Peppì, che stavamo dicendo? – disse, rivolgendosi all’uomo che stava di fronte a lui.

– Antò, veramente, non stavamo dicendo niente, – rispose quello.

– Hai ragione, – disse Antonio – E che vuoi dire con questo tramonto?

Erano seduti a piedi nudi, con le gambe stese su due chaise longue di legno quasi sbiancato dalla salsedine.

– Ma quanti anni sono che avete questa meraviglia di casa? – chiese Peppino.

– La prima volta che siamo arrivati sull’isola sarà stato… il ’96… o il ’97… adesso non mi ricordo. Ci siamo venuti per qualche estate. Sempre in affitto. Eravamo innamorati di questo posto. Poi, qualche anno fa, ci siamo tornati di nuovo.

– Sempre qui?

– Sempre qui. Ci siamo trovati bene. Tanto che prima di andare in congedo ho detto a Giovanna: ma perché non ce la prendiamo? E così abbiamo fatto. Ci è voluta quasi metà della liquidazione, ma ne valeva la pena. Tu che dici?

– Aaah! – fece Peppino, compiaciuto – Una cosa sacrosanta!

In quel momento, Giovanna uscì di nuovo sulla terrazza. Chiese ai due uomini se i peperoni arrostiti li preferivano con l’aglio, oppure senza.

– Io, di regola, lo metto, – disse la donna – ma Pina mi ha detto che Peppino, poi, non digerisce.

– Peppì, mamma mia! E quanto ti sei fatto delicato! – fece Antonio.

– Sì, sì! Sfotti, sfotti! Quando sarai vecchio pure tu, ti voglio proprio vedere.

– Perché? Tu sei già vecchio? – ribattè Antonio.

– Nooo! I song ‘na criatura! – fece Peppino, strascicando le parole.

Giovanna scoppiò in una risata, e subito dopo rientrò in casa per raccontare la scena alla sua amica.

– Non ci fare caso, – disse Antonio. – Fa sempre così quando sente parlare in napoletano. Io, è così che l’ho fatta innamorare. Le recitavo i testi delle canzoni classiche, come se fossero delle poesie di Prevert. Hai capito, Peppì?

– Ho capito, ho capito! – disse Peppino – Antò… tu sei sempre stato un grandissimo filone!

***

[In un appartamento di una grande città del Giappone]

Bianco. È tutto bianco.

Sulle pareti vuote, non c’è neanche un segno.

Forse qui non c’è mai stato nulla, pensa l’uomo.

È in piedi, al centro di un’ampia sala quadrata.

Come il buco intorno a cui ruota il compasso, pensa.

Un cerchio dentro un quadrato.

Le ciglia grigie si chiudono sopra i suoi occhi.

Riesce a vedere dall’alto la scena in cui si trova.

Una testa di vecchio con pochi capelli, sopra un impermeabile scuro.

Al centro di una stanza vuota.

Dentro una casa vuota.

In piedi, da solo.

Una mano chiusa a pugno, abbandonata lungo il fianco.

Un foglio ripiegato nell’altra.

L’uomo cerca di ricordare le parole scritte a mano su quel foglio.

Vengono a galla.

Con l’aspetto minaccioso degli annegati.

Da lontano sembrano innocui.

Ma se si guarda meglio, sono gonfi da fare spavento.

“… Non mi cercare più”

“Tu per me non esisti…”

“Non voglio vivere con chi non mi ascolta”

Quando è successo?, si chiede l’uomo.

Quando è stato che qualcosa è cambiato?

Le sue ciglia si sollevano.

Gli occhi puntano fissi sul bianco delle pareti.

L’uomo ricorda.

La piazza di San Marco sotto il sole di maggio.

Vengono da ogni parte del mondo per farsi fotografare lì.

In mezzo a centinaia di persone sconosciute.

Lei che lo aspetta.

Lui che la guarda nascosto da una colonna.

Lei che appare e scompare, senza accorgersi di lui.

Cosa pensavo in quel momento?

Il fazzoletto tra i capelli le ha lasciato scoperte le orecchie.

Non mi sarei più mosso da lì.

Lei sorride guardandosi intorno.

Sorride a persone che neanche conosce.

Era tutto ciò che desideravo, allora.

Tutto ciò che desideravo al mondo.

***

– Adesso che mi ricordo, era proprio il ’97, – disse Antonio.

– Di che parli? – chiese Peppino.

– La prima volta che siamo venuti su quest’isola.

– Ah! – fece Peppino.

La notizia non sembrava sufficiente a scuoterlo.

– E sai perché me lo ricordo? – continuò Antonio – Quell’anno avevo davvero bisogno di una vacanza. Giovanna e i ragazzi, ormai, non mi sopportavano più. Avevo a che fare con uno dei casi più strani della mia carriera. Lavoravo giorno e notte.

– Stavi già a Milano? – chiese Peppino.

– No, stavo ancora a Piacenza. Ti ricordi il furto del quadro? All’epoca fu una notiziona. Ti puoi immaginare… una città di provincia come quella!

– Mi sembra di ricordare qualcosa, sì… ma… no, mi sa di no. Sai che non ne so niente? – ammise Peppino. Era quasi sopreso.

Lui e Antonio si conoscevano da giovani, dal tempo in cui erano stati colleghi in un tribunale di provincia del Sud. Quando le nuove destinazioni li avevano separati, erano sempre rimasti in contatto. Si sentivano in occasione delle feste, dei compleanni e degli onomastici. Qualche volta si erano incrociati ai convegni dei magistrati in giro per l’Italia. Ma tra loro c’era come un patto di segretezza mai dichiarato. Non si parlava di lavoro. Soprattutto se il lavoro dava dei dispiaceri.

– A Piacenza, – spiegò Antonio – c’è un museo particolarissimo. La Galleria Ricci Oddi. Questo signore, Ricci Oddi, era un collezionista appassionato di ritratti e di paesaggi. Ne ha raccolti parecchi. Tra fine Ottocento e prima metà del Novecento. Poi, quando è morto, li ha donati alla città. Soprattutto capolavori italiani, ma c’è pure qualche straniero di grandissimo valore. Come quello che è stato rubato… Il misterioso Ritratto di signora di Gustav Klimt.

– Uah! Misterioso! – ironizzò Peppino – Niente meno?

– Ascolta la storia, e poi mi dirai, – rispose Antonio. – Tanto per cominciare, non si è mai saputo il nome della donna ritratta. Pare che le femmine, al signor Klimt, piacessero assai. Le modelle cambiavano spesso. Ma, fin qui, niente di strano. Il fatto è che, proprio qualche tempo prima del furto, c’era stata una scoperta. Una studentessa del liceo artistico di Piacenza stava facendo una ricerca sul quadro. A un certo punto, sfogliando un catalogo, viene colpita dalla foto di un’altra opera di Klimt, che risulta dispersa. È il ritratto di un’altra donna, ma questa è più giovane, e porta un grande cappello sulla testa. Ha anche una sciarpa intorno al collo. Oppure una stola, adesso non ricordo. Il fatto è che nessuno, prima di quella studentessa, si era accorto che i visi delle due donne si somigliavano.

– E si somigliavano molto?

– Peppì, due gemelle! Stesso taglio degli occhi. Stesso naso. Stessa curva delle sopracciglia. Persino lo stesso neo sulla guancia. Solo la pettinatura dei capelli era un po’ diversa. E cambiavano i vestiti. Ma a parte quello, la donna era la stessa.

– Una modella particolarmente fedele. – sentenziò Peppino – Ritratta a distanza di anni.

– Meglio ancora, Peppì!

– Come sarebbe, “meglio ancora”?

– Era lo stesso quadro.

– Lo stesso quadro?

– Lo hanno scoperto con degli esami. Dopo la segnalazione della liceale, la Galleria Ricci Oddi ha fatto fare un bel check up completo al suo dipinto. Radiografie, infrarossi e tutto il resto. Sotto la superficie si vedeva bene la ragazza col cappello. Non era andata perduta. Il pittore aveva ripreso il pennello e l’aveva trasformata.

– La ragazza era diventata una signora… – commentò Peppino. – Però! Hai capito questo Klimt? Se gli piaceva una donna, non la lasciava più andare.

– Già, – confermò Antonio – doveva essere un tipo davvero passionale. E poi, quella non era una donna qualsiasi. Secondo alcuni, si tratta di Alma Schindler.

– Alma chi?

– Alma Schindler. Meglio nota come Alma Mahler, perché sposò il famoso musicista. Fu chiamata la “musa del secolo”. Fece perdere la testa a molti altri, dopo Klimt. E non era mica gente qualsiasi. Dopo Mahler, ci furono Gropius, Kokoschka e Werfel. Non so se mi spiego: musicisti, architetti, pittori, scrittori… La signora amava le arti. E faceva uscire pazzi gli artisti.

***


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