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1 Ottobre 2015 | Racconti d'autore

Semi di sé

Poesie di Monica Guerra tratte dal volume omonimo (Cesena, Società editrice “Il Ponte Vecchio”, 2015)

A cura di Vittorio Ferorelli. Lettura di Alessia Del Bianco

Imprenditrice e poetessa, Monica Guerra, faentina, è alla sua seconda raccolta di versi e, per aprirla, ha scelto una frase di Gurdjieff che si intona con il titolo del libro: “L’anima è come un seme che deve germogliare”.

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Semi di sé

Le foglie viete e i postumi
una bellezza settembrina
il tuo inciampo,                   il mio seme solitario

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Esaltazione – Il mio placido delirio

Mi esalto, dicono,
troppo. Un bruscolo fiorito
un tronco avvezzo ai giorni
un bruco, un peperoncino con le ali
sassi lungo i passi
la pietra levigata il tempo
un domani che verrà
uno che è già consunto
il lunare candore gonfio
l’abbarbicarsi di un raggio giallo
un refolo gaudente
sulle nostre cime nude.
Mi esalto distesa
su un ricamo di parole
la voce cruda della terra
goffo un gorgoglio di rana.
Mi esalto per il mio esaltarmi
nell’uovo nuovo che si schiude

nel nascere e rinascere.

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Ho amato tutti
al mio tavolo tondo
i cuori ispidi, l’abbandono
secco di mani
le ancore asciutte
la refrattaria attesa
di mare, le vele
che non osano porto.

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Io

Ma cosa ne so io
della vita vera?

Io che distillo rugiada
dalla foglia
che amo arcobaleno
senza sapere cielo
e dalle coccinelle
colgo puntini
per i miei gomitoli di frasi.

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La lumaca

Nel suo andare lento
senza attese
striscia pacifica incontro al giorno,
nuda la lumaca
sulla parete bianca
nell’aria flaccida di sonno.
E i miei occhi socchiusi
a difesa d’un lucore
che dal sipario della notte sale
sono antenne al cielo.
Mi lavo, mi vesto e nuda striscio
anch’io, come lei,
sulla pagina bianca
solo scia, senza un guscio.

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Fruga pure
dentro gli occhi invano
non c’è solco di disperazione
tra le pieghe del mio viso
se l’è bevuta il vento
nel tepore estivo
se l’è prosciugata il raggio
sopra uno stelo gonfio di tempesta
non c’è un solo solco
di disperazione in me.
Fruga pure
oltre gli occhi invano.

Se il poeta muore suicida
io oggi sono solo viva.

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Nei dintorni del tempo

Occhio che siede
sui campi
negli interstizi
tra pietra e pietra
su foglia stanca
sfibrata
decomposta

in erba alla vita.

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Una Concessione – Tra me e Dio

Mi concedi due parole?

Perché non ne posso più
di tutti questi morti
e di udire la gente
tutte quelle scemenze
che troppi su le barche
che stiano a casa loro
che poi cosa vengono in qua a fare
che di lavoro già non ce n’è.
Già di lavoro.

Perché invece di stare
in noncase ma tane
la fame nel piatto
sotto un cielo alle bombe
girotondo di bare
dentro un lenzuolo all’ora di cena
senza salutare
che la morte alla guerra
da solo il tempo
                        solo per morire.

Mi concedi due parole?

Perché non comprendo più
(e forse non ho mai compreso)
lo stato dentro un confine
il lusso della sopravvivenza
che non si può senza preciso un invito
e io di qua e tu di là
ognuno il suo pianto o il suo muro
a sbraitare migliore
che poi tutti di vita, di vita solo si muore.

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Di troppo cuore
       si muore

                     vivendo

Risuonano in tondo
le anime
in versi su e giù
a spasso
dentro l’infinito

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Della Musa

Sempre di notte,
quando viene,

viene

per mano la luna
si liscia le piume
invola il tempo
e io che combatto.

Sempre di notte,
quando danza,

danza

ai bordi del sonno
perché aldilà
aldilà del sempre capire
l’incertezza
è un’isola felice.

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Dei luoghi e delle stagioni

Che strano il mio rapporto con i luoghi
che sia un’abitudine chiamare
casa il mondo?
Che se fossi nata qui o lì stasera
non mi sentirei così a casa

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Viaggiare

Ogni viaggio una toppa una porta
un portone due persiane
un balcone scrostato
un pavimento divelto o di prato
un tronco smagrito tra i tendoni
uno squarcio di un grasso mercato
sotto la ruggine tra le ringhiere
talvolta solo un pertugio
nel muro una crepa su un ponte
tra i ragni la muffa
ma sempre una lente.

Brano corrente

Brano corrente

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