Salta al contenuto principale
11 Gennaio 2014 | Paesaggio dell'anima

Strada facendo: 2.200 anni sulla Via Emilia

Un viaggio in regione attraverso la musica

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

11 gennaio 2014

La Tresca: Cinquemila anni (di Stefano ‘Cisco’ Bellotti).

Quanti sono, cari amici, 2.200 anni? Tanti ne sono passati dal 187 avanti Cristo, quando il console Marco Emilio Lepido iniziò la costruzione della Via Emilia, una via di comunicazione molto importante per i Romani. Il suo percorso pianeggiante, ai piedi delle colline, corrisponde ancora a quello attuale. La via Emilia collega Rimini, il più antico avamposto romano al di là degli Appennini, a Piacenza e dunque al guado del Po. Da Roma – poiché tutte le strade portano a Roma – si arrivava a Rimini attraverso la Via Flaminia, oggi classificata come strada statale 3 nel tratto tra Roma e Fano, mentre la Via Emilia è oggi la strada statale 9. Il tracciato è sempre lo stesso e noi camminiamo, o corriamo in macchina, sulle stesse strade su cui passavano i carri e i cavalli dei Romani. Nel suo piccolo, la Via Emilia è un mito come l’americana Route 66, la Highway Sixty-Six che collegava Chicago con Los Angeles passando per otto Stati e sviluppandosi per quasi 3.800 km. La nostra Via Emilia è molto più corta, ma in compenso molto più vecchia, perché la Highway americana fu aperta nel 1926, e la nostra, vuoi mettere: il mondo era ancora vergine, ci si faceva strada tagliando foreste; gli dei erano dappertutto, come gli animali, i prodigi, i mostri, e gli umani erano in buona compagnia.  

Michael Levy: Echoes of ancient Rome.

Lungo il tracciato della Via Emilia sorsero a distanze regolari, e generalmente vicino ai fiumi, lungo i quali transitavano merci e persone, una serie di mercati e di città, tra la pianura e le colline. Sono le stesse città in cui viviamo oggi: Cesena, Forum Livii, vale a dire Forlì, Faventia, cioè Faenza, Forum Cornelii, l’antico nome di Imola, Bononia che ovviamente è Bologna, Mutina, cioè Modena, Regium Lepidi, che era Reggio Emilia, Parma. E da Placentia ad Ariminum, da Rimini a Piacenza, corre tutta la nostra vita, come sulla Autobahn di Pier Vittorio Tondelli, lo scrittore reggiano che di questa strada fece la sua via di fuga e la dorsale dei suoi giorni inquieti, in perpetuo e cieco movimento, esploso fino al punto di arrivare a sentire, attraverso di essa, l’odore del Mare del Nord. “Notte raminga e fuggitiva lanciata veloce lungo le strade d’Emilia a spolmonare quel che ho dentro, notte solitaria e vagabonda a pensierare in auto verso la prateria (…). Correre allora, la macchina va dove vuole, svolta su e giù dalla via Emilia incontro alle colline e alle montagne oppure verso i fiumi e le bonifiche”. Così scrisse Tondelli nel lontano 1980.

Musica. Luciano Ligabue: Certe notti.

Ah, le notti lungo la Via Emilia, le notti trascorse – scriveva Tondelli – in preda agli scoramenti, a cercare di smaltirli passando da un bar all’altro, intersecando le strade della provincia e l’autostrada del Brennero, il “rullo d’asfalto” che si svincola da Carpi per puntare al nord. L’Emilia è qui, nelle fotografie di Luigi Ghirri, che allargano lo spazio dell’immagine andandovi a scovare le cose che si perdono all’orizzonte, nell’infinito. Questa strada è l’infinito della pianura, di cui le immagini di Ghirri sono frammenti, come i giochi di indiani e cow-boys che al giovane Guccini facevano pensare al favoloso West come un prolungamento della Via Emilia. La nostra è l’unica regione al mondo che prende il nome da una strada. Una strada che parla, negli animali fantastici scolpiti nel duomo di Parma, come nelle trasformazioni urbane documentate dalle fotografie di Nino Migliori    o nella straordinaria banalità del quotidiano svelata dallo stesso Ghirri. Una via molto fotografata, perché condensa l’evoluzione del paesaggio, lo mostra in cammino, come se anche lui si accodasse dietro il tempo che passa: ed ecco che qui dove si cacciava la selvaggina, o si portavano le mandrie al pascolo, ora c’è una rotonda, seguita da un distributore di benzina, un’autorimessa, un condominio bruttino degli anni Sessanta, un bar con le luci al neon, e una vita che si sfrangia in mille rivoli, senza più la compattezza di un tempo. Dunque non resta che danzare su questa strada, danzare fino alla fine dell’amore.

Musica. Leonard Cohen: Dance me to the end of love.

«La via Emilia tagliava Modena in due; la strada dove abitavo, da una parte si incrociava con essa, dall’altra parte c’erano già gli ampi campi della periferia. Erano un po’ il nostro “West” domestico: bastava fare due passi, o attraversare una strada, e c’erano già indiani e cow-boys, cavalli e frecce; c’era, insomma, l’Avventura, tradotta in “padano” dai film e dai fumetti. Poi la via Emilia continuò a tagliare Modena in due, ma il West aveva volto diverso, e il “mito americano”, quello di tante generazioni oltre alla mia, parlava lingua diversa, quella del rock, delle copertine dei dischi, della faccia di James Dean in “Gioventù bruciata”, dei libri che altri appena prima di noi avevano scoperto e voltato in italiano. Ma i due riferimenti esistevano sempre, un piede di qua e uno di là, il sogno (meglio, l’utopia) e la realtà…». Questa era la Via Emilia per Francesco Guccini: di cui però non vi facciamo ascoltare “Piccola città”, la canzone in cui è contenuto il famoso verso “fra la via Emilia e il West”, ma la canzone-manifesto di questa strada che è lunga quanto una regione.

Musica. Lucio Dalla, Francesco Guccini e Gianni Morandi: Emilia.

Brano corrente

Brano corrente

Playlist

Programmi