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9 Febbraio 2012 | Racconti d'autore

Un cammino lungo un anno

Di Emilio Drudi, Editrice Giuntina, 2012 (seconda puntata)

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

9 febbraio 2012

A Gerusalemme, all’inizio del Bosco dei Giusti, c’è un grande carrubo dedicato a un albergatore di Bellaria, Ezio Giorgetti, il primo in Italia ad aver ricevuto questo onore. Più avanti nel parco, si incontra l’albero in memoria del maresciallo dei carabinieri Osman Carugno. A Giorgetti e Carugno devono la vita 38 ebrei, evasi dal campo di internamento di Asolo subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e arrivati a Bellaria il giorno 13.  
Le vicende di quei terribili giorni, che ebbero come scenario una Romagna dove la Resistenza armata coinvolgeva un numero crescente di forze di varia estrazione, dai comunisti ai cattolici ai liberali, che si contrapponevano ai nazifascisti, sono raccontate da Emilio Drudi in questo libro fresco di stampa, “Un cammino lungo un anno. Gli ebrei salvati dal primo italiano ‘Giusto tra le Nazioni’”, pubblicato con la collaborazione della Regione Emilia-Romagna e con la partecipazione della Provincia di Rimini.

I primi due mesi

A carte scoperte

Ezio Giorgetti è il primo a scoprire chi sono in realtà quegli “sfollati” che ospita nel suo albergo. I primi sospetti gli vengono, probabilmente, già all’indomani del loro arrivo. Certo, Neumann e Konforti hanno mostrato un regolare permesso di viaggio, firmato dal capitano dei carabinieri di Adria. E per loro garantisce anche la contessina Clara di Asolo. Ma i loro documenti sono strani, con quei cognomi così poco “italiani”. Non a caso – comincia a pensare – suo padre lo ha messo in guardia fin dall’inizio, insistendo che c’è qualcosa che non lo convince. `Anche per questo – gli ha spiegato – non li ho mandati da te al `Savoia’ e ho detto a Piero di accompagnarli a Igea Marina”.’ E poi si sono aggiunti i dubbi di Libia, sua moglie, che ha sentito alcune delle donne del gruppo parlare in una lingua straniera, forse in croato.2 Non solo, gli sembra quanto meno singolare anche il fatto che siano arrivati così in tanti, tutti insieme. Bellaria è piena di sfollati provenienti da diverse parti d’Italia, ma si tratta di singole famiglie. Quelli, invece, sono in 27, una specie di piccola comunità. E continuano ad aumentare. Quattro giorni dopo il loro arrivo, se ne presentano altri tre, i Lakembach: raccontano che, tornati a casa ad Adria, hanno avuto l’indirizzo del Savoia dall’autista del camion e di aver deciso di unirsi agli altri, raggiungendo Bellaria in treno.

Così, proprio quando arrivano i Lakembach, il 17 settembre, anche loro con un cognome palesemente “straniero”, Giorgetti decide di chiedere chiarimenti: se quei trenta che ha in casa non sono “normali sfollati” italiani, come tutto lascia credere, vuole sapere da dove vengono e come sono capitati in Italia. Tanto più che Neumann e Konforti gli hanno appena manifestato l’intenzione di fermarsi a Bellaria per più giorni, sicuramente per un periodo più lungo di quello che avevano inizialmente pre­visto. E Neumann, a questo punto, decide di giocare a carte scoperte: “Siamo quasi tutti ebrei di Zagabria – gli dice in un colloquio a tre, a cui partecipa anche Joseph – fuggiti dal campo di internamento di Asolo. Ora siamo nelle tue mani”.3

Per Ezio è un “colpo”. Sospettava che nascondessero qualcosa, ma non fino a questo punto. È vero che il fascismo è caduto, ma le leggi razziali non sono state mai revocate. E loro sono a tutti gli effetti “internati civili di guerra ebrei” evasi. Anzi, Mussolini è stato appena liberato e corre voce che tornerà anche il fascismo: proprio il giorno prima c’è stata a Rimini la riunione per la costituzione del “fascio” repub­blicano. Senza contare i tedeschi.

I pericoli sono tanti. Lui ha 26 anni. D’accordo con Libia, ha investito tutto quello che avevano nell’albergo. Se scoprono che sta nascondendo 30 ebrei, come minimo rischia di essere arrestato e di fallire. Ed ha due figlie piccole a cui pensare: Teresa, la più grande, ha sette anni, Giovanna appena tre. Ma non se la sente di ti­

rarsi indietro: ci sono diversi bambini anche tra quegli ebrei. E anziani, donne. Così rassicura Neumann: possono restare.

La sua è una decisione presa d’istinto, dettata dal sentimento più che dalla ra­gione. Ezio non è fascista. Non lo è mai stato. Le sue idee politiche hanno molto del socialismo riformista di Filippo Turati e del grande impegno morale e civile dei repubblicani mazziniani. Due movimenti che in Romagna hanno radici antiche e profonde: non sono riusciti ad estirparle neanche venti anni di fascismo. Nelle bor­gate di campagna e nei quartieri popolari delle cittadine più grandi sono ancora tanti i contadini, i salariati, gli operai rimasti in segreto “fedeli all’idea”. In particolare a San Mauro, il paese di Ezio, dove c’è quasi una venerazione per Andrea Costa, il de­putato socialista di Imola che ha guidato le battaglie di riscatto sociale nel Forlivese e nel Ravennate, “irradiando – dice una targa posta sulla facciata del Comune nel 1913 – luce di bontà e giustizia”. Proprio in quei giorni, dopo il disfacimento del fa­scio e lo sbandamento seguito all’armistizio, molti vecchi antifascisti si stanno orga­nizzando nei primi gruppi di resistenza, per prepararsi alla guerra contro i tedeschi. Ezio non ha mai fatto politica attiva: si è tenuto lontano il più possibile dal regime, ma non ha mai avuto nessun contatto con i piccoli nuclei di antifascisti clandestini. E non entra nella lotta partigiana. Non ha, insomma, una grossa spinta “ideologica”. E, benché credente, non ha neanche particolari motivazioni religiose. Ma, di fronte al “grido d’aiuto” di quei trenta ebrei disperati, sente di non poter restare indifferente.

“Era una questione di coscienza”, ha sempre detto negli anni successivi, cercan­do di spiegare le ragioni della sua scelta. Si rende conto, tuttavia, di non poter “ge­stire” la situazione da solo. Prima di tutto si confida con la moglie. Non può tenere all’oscuro proprio Libia: sa bene che la sua decisione coinvolge direttamente anche lei. Ed ha bisogno non solo del suo consenso, ma del suo sostegno morale e di tutto il suo aiuto. Libia è molto preoccupata: manifesta subito le sue paure e la sua cautela, ma, come Ezio, capisce che tirarsi indietro significa, con ogni probabilità, “condan­nare quelle famiglie”. Tuttavia l’aiuto di Libia non basta. Occorre una copertura più vasta. Così, il giorno stesso in cui ha raccolto la “confessione” di Neumann, senza dirgli niente per non allarmarlo, Ezio ne parla con il maresciallo Osman Carugno, che comanda la stazione carabinieri. È un amico e sa di potersi fidare.

Carugno è a Bellaria dal 1938. Quarantenne, di origine meridionale, conosce bene la zona perché nei quattro anni precedenti ha prestato servizio nella vicina Savignano sul Rubicone. La moglie, Linda Zazzarini, è insegnante. Anche lui, come Ezio, ha due figli piccoli: Omar, di otto anni, nato a Savignano, e Maria Diomira, di quattro, nata proprio a Bellaria. Ma non ha esitazioni: farà tutto il possibile per aiutare quel gruppo di ebrei. Quasi a sancire questo patto segreto tra lui e Giorgetti, il giorno dopo fa sistemare al Savoia un’altra famiglia ebrea, i Leherer Deutch: padre, madre e due bambine. Arrivati a Bellaria in treno, mentre tentano di raggiungere l’Italia meridionale, sono stati intercettati alla stazione da un carabiniere e accompa­gnati in caserma. E a Carugno sembra naturale, a quel punto, affidarli a Giorgetti. Il gruppo di ebrei nascosti sale così a 34.

Anche i Leherer Deutch sono originari di Zagabria. Ma Neumann e gli altri non li conoscono. Anzi, venuti a sapere che sono stati mandati in albergo dal comandante dei carabinieri, si allarmano: “Evidentemente – pensano – le `autorità’ sanno che siamo tutti ebrei”.4 La conferma di questo sospetto arriva l’indomani da Giorgetti: sì, il maresciallo dei carabinieri sa tutto e vuole parlare con qualcuno di loro. “Non preoccupatevi – aggiunge – è soltanto una formalità”.

In caserma, il giorno dopo, ci va Joseph Konforti. Carugno lo rassicura subito:

è pronto ad aiutarli, però vuole sapere esattamente chi sono e pone una condizione: qualunque cosa decidano di fare, prima devono informarlo e consultarsi con lui. Su questo punto il sottufficiale è categorico. D’altra parte – anche se ovviamente non ne fa parola con Konforti – la sua è una posizione estremamente difficile. Dopo lo sbandamento generale dell’8 settembre, ha deciso di restare al suo posto e continue­rà poi a comandare la caserma anche durante la Repubblica sociale italiana. Mentre la Wehrmacht ha già occupato tutti i luoghi chiave anche in Romagna, intende porsi come punto di riferimento per il paese, iniziando un pericoloso doppio gioco’ che lo porta ad affiancare subito i gruppi di resistenza che si vanno formando a Bellaria come in tutto il Riminese: un Gap nato dalla cellula comunista della Cagnona6 e un forte nucleo di giovani partigiani guidato da Illaro Pagliarani, un ex tenente del Regio Eesercito.’ Proprio nei giorni in cui arriva il gruppo di ebrei a Bellaria, anzi, si sta già organizzando per aiutare i militari italiani sbandati e i soldati alleati evasi dai campi di concentramento a sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi. Diventa “na­turale”, dunque, proteggere quegli ex internati ebrei fuggiti da Asolo. Glielo impone la sua stessa “storia” personale.

Nato nel 1903 a Capracotta, in Molise, dove il padre si era trasferito per assu­mere l’incarico di segretario generale del Comune, Carugno appartiene a una fami­glia napoletana di antichi sentimenti liberali. Sia il nonno, notaio, che il padre, av­vocato, erano esponenti della nuova borghesia risorgimentale. Secondo la tradizione familiare, lui e il fratello maggiore, Oscar, avrebbero probabilmente dovuto seguire la stessa “carriera” del padre e del nonno, intraprendendo gli studi di giurispruden­za. Ma quando Osman aveva poco più di dieci anni, suo padre è morto e la fami­glia ha subito una serie di traversie. Così i due ragazzi, qualche anno dopo, ormai adolescenti, hanno deciso entrambi di arruolarsi nell’Arma dei Carabinieri: Oscar è diventato ufficiale, Osman è andato alla scuola sottufficiali, seguendo tutta la trafila, sino al grado di maresciallo comandante di stazione, prima nelle Marche e poi in Romagna. Un incarico che, fin dalla prima nomina, ha svolto con grande senso di autonomia, cercando di contrastare l’invadenza e le pressioni dell’apparato fascista. Nella tempesta seguita all’8 settembre, dunque, per lui schierarsi contro i tedeschi e i fascisti, rimanendo fedele al giuramento fatto al re, è una scelta obbligata.

Konforti, che era entrato in caserma pieno di timori, ne esce visibilmente sol­levato: ora sa che possono contare anche sulla protezione del maresciallo. E già passata una settimana da quando sono arrivati a Bellaria e gli alleati sono sempre inchiodati a sud di Napoli. Probabilmente si dovrà aspettare più di quanto pensavano all’inizio perché il fronte arrivi in Romagna. Ma problemi economici, per pagare il soggiorno all’albergo Savoia, per il momento non ce ne sono: hanno ancora parte del denaro recuperato a Zagabria e delle 12 mila lire ricevute in prestito dalla contessa di Asolo, oltre a diversi gioielli da mettere in vendita in caso di necessità. Anzi, il gruppo cresce ancora: verso la metà di ottobre sale a 38 “sfollati”. Si è aggiunta un’altra famiglia di Zagabria raccomandata a Giorgetti sempre da Carugno: Oskar Frohlich, i suoi due figli (un giovane di 24 anni e una ragazza diciottenne) e la sorella Rura. Basta essere prudenti, come continuano a raccomandare Ezio e il maresciallo. Perché, è vero che fanno tutti una vita piuttosto riservata, trascorrendo la maggior parte della giornata nel giardino dell’albergo o in spiaggia e quasi nessuno va in centro, al di là della ferrovia. Ma quella comunità così numerosa comincia ad attirare ugualmente una certa attenzione in paese. Le “voci” circolano e magari qualcuno comincia a sapere…’ Non ci vuole molto a tradirsi. Come accade pochi giorni dopo l’arrivo dei Frohlich.

Una sera Ezio Giorgetti si accorge che nella sala da pranzo del Savoia non c’è più Franz, il primogenito di Oskar Frohlich. Ne chiede conto al padre, alla sorella, ad altri del gruppo, ma nessuno sa dargli indicazioni. Comincia una ricerca affannosa, insieme a sua moglie. Fino a che Libia ha un’intuizione. Poco lontano dal Savoia, nel salone del “Circolo dei bagnanti”, sul lungomare, è in corso una festa, alla pre­senza di numerosi fascisti bellariesi e del circondario, incluso Mirko Mussoni, il segretario del fascio repubblicano che si è costituito qualche settimana prima. Forse Franz è andato lì, nonostante sia stato più volte ammonito a non fare imprudenze. Corre al Circolo e appena entra ha un tuffo al cuore. Franz è al centro della sala: da come è vestito, da come parla e si muove, è difficile prenderlo per un italiano sfollato dal Sud. Libia si sente perduta, ma la rassicura proprio Mussoni, buon amico di Ezio, con uno sguardo d’intesa e un cenno della testa: “Mi ha dato un’occhiata – ha poi raccontato Libia – che voleva dire tutto”.9

La situazione, intanto, si fa rapidamente più difficile. Funzionari fascisti sono tornati ad amministrare la delegazione di Bellaria, Igea Marina e Bordonchio:10 mi­liti in camicia nera si vedono sempre più di frequente per le strade, mentre il con­tingente di fanteria tedesco accampato lungo l’argine dell’Uso viene sostituito da reparti più consistenti, che verso la fine di ottobre si sistemano direttamente in paese, occupando numerosi alberghi e case private. Per il comando militare viene requisito l’hotel Milano, sul lungomare, a poche decine di metri dal Savoia. 

Prima puntata

Ezio Giorgetti nella rubrica Protagonisti su RadioEmiliaRomagna

La storia di Ezio Giorgetti su Vista da vicino, la Regione dalla Tv al Web

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