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15 Aprile 2021 | Racconti d'autore

Una giostra di duci e paladini

Testo tratto dal romanzo omonimo di Alberto Cassani (Milano, Baldini&Castoldi, 2021)

Vittorio Ferorelli

Parte da una città italiana di provincia e da un legame di amicizia che resiste al tempo l’intrigo internazionale immaginato da Alberto Cassani nel suo nuovo romanzo. Lo scrittore ravennate mescola mistero, cronaca, ironia e fantapolitica per raccontare l’inesorabilità delle scelte, quelle fatte e quelle mancate. Ve ne proponiamo un brano, nella lettura dell’attore Faustino Stigliani.

Victor è scomparso?

È un sabato mattina e Walter Savini è a casa a gustarsi la quiete casalinga. Sua moglie è dalla parrucchiera e suo figlio è da un amichetto, per cui è solo coi suoi libri.
Insegna Storia del Teatro nell’università più antica d’Europa. Ancora oggi ne va fiero.
Chi lo avrebbe detto trent’anni prima? Nemmeno lui osava sperarci, quando vagava con mille idee in testa, tutte vaghe e confuse, per i corridoi di quella stessa università. Era uno studente pieno di stimoli e di entusiasmi. In quegli anni aveva avuto modo di completare la sua formazione intellettuale dando una struttura più rigorosa alla sua passione culturale più importante: quella per il teatro.
Mentre leggeva tutto il leggibile, da Aristofane a Beckett, nelle salette anguste e male illuminate dell’università, la sua mente lo riportava a quelle domeniche pomeriggio di tanti anni prima (lui faceva le elementari e non aveva più di dieci anni), in cui accompagnava i genitori agli spettacoli della stagione di prosa della sua città. Rimembrava la sua meraviglia, inghiottito dal ventre enorme e accogliente del grande teatro, tra le penombre dei palchi, le luci sulla scena, stregato dalla recitazione, dai gesti, dalle storie.
Poi, al liceo, aveva seguito i primi seminari e aveva partecipato come attore alle messe in scena della sua scuola. Ma la recitazione non era il suo forte, non riusciva a essere credibile nella finzione, si guardava sempre da fuori, restava uno spettatore. E allora aveva iniziato a scrivere e gli riusciva bene perché aveva acume e sensibilità ed era predisposto a un buon uso delle parole scritte.
Una volta laureato aveva iniziato una collaborazione, a titolo rigorosamente gratuito, con una rivista di varia cultura, curando nello specifico una rubrica di critica teatrale. Frequentava i teatri e poteva entrare gratis perché recensiva spettacoli e lo faceva settimanalmente. A volte intervistava attori e registi, conosceva persone di quell’ambiente e si faceva conoscere e apprezzare perché era serio e talvolta anche brillante. Nel frattempo, era rimasto in buoni rapporti col vecchio professore con cui si era laureato, si può dire che vi fosse anche una frequentazione, sebbene non intensa e men che mai cameratesca, ma diciamo che ogni tanto si incontravano per prendere un caffè e discorrere amabilmente del più e del meno. E in quel discorrere, capitò una volta che il vecchio professore gli prospettasse la possibilità di partecipare a un concorso per un dottorato di ricerca con relativa borsa di studio.
Era esattamente ciò che Walter attendeva con speranza e una certa trepidazione, ma, nonostante il suo cuore palpitasse forte, si mantenne sufficientemente presente a se stesso per mostrare un certo pudore al cospetto del professore e arrivare persino a schermirsi con lui di fronte a quella eventualità. Poi, ovviamente, partecipò e la vinse quella borsa di studio, non senza i buoni auspici del vecchio professore. E furono anni esaltanti, pieni di virtuosismi intellettuali e di piacevoli intrighi con giovani studentesse. Fu in quegli stessi anni che Walter ebbe l’opportunità di prendere parte nella sua città a un’altra grande avventura insieme a un gruppo di suoi quasi coetanei capitanati da un guru della cultura cittadina. Ma di questa vicenda, che durò un paio d’anni, parleremo tra breve.
Terminata quell’avventura, tornò a concentrarsi sul percorso universitario e lì la tappa successiva fu l’insegnamento associato cui giunse dopo alcuni anni di ulteriore apprendistato e dopo avere sposato una di quelle studentesse, non la più carina, ma forse quella di miglior carattere. Finché non arrivò a conquistare il cielo, e fu quando il suo professore liberò il suo posto, congedandosi per raggiunti limiti d’età dalla cattedra universitaria. A quel punto, Walter era stato così avveduto e lungimirante e, nel tempo, così accuratamente strategico, da farsi trovare in pole position. E pazienza se, per guadagnare quella posizione privilegiata, aveva dovuto bandire inutili scrupoli di fair play, mettendo in cattiva luce agli occhi del suo professore un collega associato suo potenziale avversario e deviando verso altri lidi, attraverso le pressioni politiche di un deputato suo stretto conoscente, un altro candidato probabilmente più quotato di lui.
Disse a se stesso che il suo era pragmatismo necessario e non cinismo a buon mercato. In fondo questo era un modo per fare valere le sue competenze ed era ben compatibile o comunque non contrastava con una sensibilità limpida e genuina come la sua. D’altronde così andava il mondo, anzi molto peggio di così, e sicuramente non ne sarebbe uscito peggiorato. Al resto pensò il suo professore, quanto bastò perché ne venisse fuori uno di quei concorsi senza storia, il cui esito, anche per le manovre di cui sopra, era già abbondantemente segnato. E questo, alla fine, era ciò che contava…

Ma quello era il passato. Adesso Walter è un docente stimato, che può spendere il suo tempo facendo ciò che ha sempre amato fare, e certo è poco più che un dettaglio legato alla fisiologia il fatto che le sue motivazioni non siano più ardenti come una volta. Ciò che conta è che i suoi libri (le migliaia che possiede e tra questi la mezza dozzina di cui è autore) siano i suoi strumenti di lavoro, argini e rifugi sicuri contro il male del mondo.
Dunque, non può essere un peso per lui dedicare quel sabato mattina ai suoi studi e a quel corso su Molière e sul teatro francese del Seicento, che costituisce ora il baricentro dei suoi interessi accademici.
È concentrato sul testo originale del Misantropo, quando squilla il cellulare. Da subito, impreca ed è tentato di non rispondere. Poi guarda il display: è Carla, l’ex moglie di Victor. Non la sente da un po’ di tempo e non la frequenta da quando lei e Victor si sono separati. Ha un attimo di esitazione: rispondo o non rispondo? Alla fine, cioè intorno al quinto trillo, decide di rispondere.
«Pronto?»
«Ciao Walter, sono Carla.» Il tono è inquieto.
«Ciao Carla, come stai?»
«Sono in ansia. Hai sentito Victor in questi giorni?»
«No, non lo sento da un mesetto, perché?»
«Perché dovevo vederlo ieri pomeriggio per consegnargli dei documenti, ma non si è fatto vivo. Da allora lo sto chiamando al cellulare ogni mezz’ora, ma il telefono è sempre staccato.»
«Si sarà scordato dell’appuntamento e non avrà messo in carica il cellulare. Può capitare.»
«Può anche capitare, ma è piuttosto strano, anche perché Victor, come sai benissimo, non è un tipo sbadato…»
«Ma quando lo avevi sentito?»
«Due giorni fa ed era tranquillissimo.»
«Hai chiamato qualcuno da ieri a oggi per cercare di capire cosa può essere successo?»
«Sì, stamattina ho iniziato a contattare le persone che potrebbero averlo visto o sentito in queste ore, te compreso, e nessuna sa nulla. Aspetto stasera e poi vado a denunciare la sua scomparsa.»
«Ma no, aspetta almeno fino a domattina o a lunedì. Se vuoi, intanto, provo a contattare quelli del nostro vecchio gruppo, che ne dici?»
«Ok, ma, ti prego, fammi sapere qualcosa presto perché comincio a essere veramente molto preoccupata. Non è da Victor comportarsi così. Negli ultimi tempi era tornato l’uomo affidabile che avevo conosciuto tanti anni fa. O almeno così mi sembrava…»
Si salutano rapidamente, Carla non ha altro da aggiungere. D’altronde quella chiamata a Walter l’aveva fatta solo per scrupolo, rappresentava un tentativo, come altri ne stava facendo per ottenere informazioni ed essere rassicurata, ma un tentativo il cui successo sapeva lei per prima essere improbabile.

Al termine della telefonata, Walter è turbato, ma anche eccitato, sente già crescere dentro di sé quella frenesia un po’ perversa che lo assale ogni volta che si annuncia l’irrompere di qualche evento drammatico. È una forma di vitalismo che si autoalimenta e che serve ad arginare il panico incombente.
In ogni caso, prima che preoccupato, è sorpreso. Possibile che sia davvero successo qualcosa di così sconvolgente come la scomparsa di Victor? No, non è possibile. Oppure sì, tutto può essere, Victor è uno capace di stupire… E allora? Io cosa posso fare? Qualche telefonata? Chi chiamo per primo? Cominciamo col vecchio saggio…

«Buongiorno, cercavo il signor Amleto Coen.»
Risponde un inserviente: «Amleto è uscito a fare una passeggiata, lo può trovare per l’ora di pranzo».
Walter ci pensa sopra, poi decide: perché aspettare? La Casa di riposo è a mezz’ora di strada, tanto vale farci un salto! E così lascia un messaggio per sua moglie, la informa delle novità e del fatto che probabilmente tarderà per il pranzo e si avvia in macchina.
Quando arriva, Amleto non è ancora tornato. Piuttosto che stare ad aspettarlo, preferisce andarlo a cercare. Quella è una località che lui conosce molto bene, una località di vacanze e di seconde case, tra cui anche la sua. Dunque Walter sa come orientarsi anche in mezzo alle strade deserte con cui si presenta l’autunno. Si dirige allora verso il lungomare dove a qualche centinaio di metri si trova un bar in cui altre volte, in passato, si sono incontrati lui e Amleto. E siccome il suo vecchio amico è un abitudinario, è proprio lì che lo trova, seduto a un tavolino, col capo chino su un giornale, impegnato in una lettura resa complicata da presbiopie e cateratte.
Prima ancora che Walter si sieda di fronte a lui, Amleto, che evidentemente ne ha visto l’ombra avvicinarsi, gli si rivolge senza neanche guardarlo, ma come continuando un discorso già avviato: «Certo che viviamo proprio in tempi di merda…»
Su quell’ultima parola alza lo sguardo verso Walter e prosegue: «Sono nato che c’era ancora il fascismo e rischio di morire con i fascisti o roba simile che trionfano in tutto il mondo. Dimmi tu, si può essere più sfigati?»
È il suo modo per dare il buongiorno all’amico.
In fondo, è l’Amleto di sempre, un po’ amaro e un po’ ironico. Ma il suo numero non è finito, alza ancora il tono della voce perché tutti e cinque gli anziani clienti del bar possano sentirlo e fare i conti con la risolutezza del suo pensiero.
«Davvero, chi l’avrebbe mai immaginato che ci saremmo trovati in una situazione così disastrosa!? Guarda questi qui», gli dice, mostrandogli una foto sul giornale. «Sono la parodia involontaria del Patto d’Acciaio, ma si credono i padroni del mondo!» Nella foto il Presidente del Consiglio italiano, detto il Capo, dispone due dita a V di Vittoria, attorniato da caudilli sudamericani, autocrati dell’Est Europa e leader sparsi della xenofobia mondiale. Il fatto che assomiglino a un gruppo di bulletti adolescenti non costituisce una delle ultime ragioni per cui Amleto li disprezza.
A quel punto, però, il vecchio si ferma per scrutare la reazione di Walter. Siccome nulla si muove sul volto dell’amico, neanche l’accenno a un sorrisino d’ammiccamento, Amleto capisce che non è venuto fin lì per fare delle chiacchiere.
«Scusami Amleto, ma devo dirti una cosa. Ancora non si sa, ma potrebbe essere successo qualcosa di grave.»
Lo sguardo di Amleto torna ad abbassarsi.
«Dimmi, cosa aspetti?»
«Victor non si trova.»
«Come non si trova?»
«È scomparso. Da ieri Carla lo chiama e il suo telefono è spento.»
«Ok, ma questo non basta per dire che è scomparso.  Forse, semplicemente, il telefono si è rotto o lui non vuole farsi trovare…»
«Sì, è quello che ho detto anch’io a Carla. Però conosciamo tutti e due Victor e sappiamo che può sorprenderci: nella sua vita ha alternato fasi in cui non è mai stato irreperibile per più di un paio d’ore, ad altre in cui non si è fatto sentire per anni…»
«È vero, ma eviterei di drammatizzare.»
«Forse hai ragione, ma siccome in questi casi è sempre bene considerare l’ipotesi peggiore, io sarei per non perdere tempo. In fondo non costa nulla darci da fare in queste ore per cercarlo tutti insieme, noi che lo conosciamo.»
«Be’, io posso fare ben poco, non ho nemmeno un cellulare e non sento nessuno da troppo tempo!»
«Io invece potrei contattare qualcuno dei nostri vecchi amici, a partire da quelli della Città del Teatro, anche se non sarà facilissimo rintracciarli.»
«Oh, sto proprio scrivendo qualcosa su quella storia!» esclama Amleto, come se quella fosse la vera notizia della giornata. Poi, senza aggiungere altro, si alza e si avvia verso l’uscita seguito da Walter.
Stanno in silenzio, entrambi pensierosi, camminando verso la Casa di riposo, con Amleto che ha preso Walter sottobraccio.
Giunti davanti all’ingresso, Amleto si limita a proferire quattro parole («Tienimi informato, mi raccomando»), prima di volgere le spalle a Walter che lo guarda attraversare il cortile e dirigersi verso la porta scorrevole della struttura.

In serata, dopo un pomeriggio trascorso a far nulla, con gli occhi sui sacri testi molièriani e la testa altrove, e dopo averne parlato anche con sua moglie, Walter decide di chiamare gli altri due vecchi compagni d’avventura, quelli che, insieme a se stesso e a Victor, costituirono un indimenticabile quartetto ai tempi della Città del Teatro.
Ruben come sempre è irreperibile. Non lo sente da diversi mesi. È questa la prassi da quando si è trasferito in Messico. Altre volte ha provato a cercarlo, con telefonate o messaggi, ma solo raramente ha ottenuto risposte. Non avendo saputo di morti o altri incidenti, ha ormai smesso di preoccuparsi.
Melissa invece è a Bruxelles dove lavora. Di solito è sollecita a rispondere o a richiamare e quindi Walter conta di sentirla prima che si chiuda quella giornata così imprevedibilmente movimentata.

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Immagini
IQRemix – “Edmonton K-Days Exhibition 2018” (CC BY-SA 2.0)

Musiche
Grace Jones – “I’ve Seen That Face Before”
Shigeru Umebayashi – “Waltz”
Rozalén – “Volver a los 17”

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