Salta al contenuto principale
26 Settembre 2017 | Archivio / Protagonisti

Ferruccio Lamborghini: attenti al toro!

L’uomo che sapeva infondere potenza taurina ai suoi motori, dalle macchine agricole alle fiammanti fuoriserie da strada

A cura di Vittorio Ferorelli, con la collaborazione di David Da Ros

Metti un tigre nel motore! Diceva così lo slogan pubblicitario inventato negli anni Sessanta per una celebre marca di benzina. Ben prima della tigre, cari amici e care amiche di RadioEmiliaRomagna, qualcuno qui da noi, tra Cento e Sant’Agata, nei suoi motori metteva addirittura un toro, con tanto di corna. E poi domarlo, con le mani al volante e il vento che soffiava al finestrino, era un piacere riservato a pochi.

La storia di Ferruccio Lamborghini ha inizio a Renazzo, nei campi della pianura ferrarese, poco più di un secolo fa. È l’aprile del 1916 e il destino del nuovo nato sembra stabilito: sarà un contadino, lavorerà la terra come suo padre e come i suoi antenati. E invece no. Dopo le scuole elementari si iscrive all’Istituto di formazione professionale “Fratelli Taddia” di Cento e poi lavora come apprendista nella fucina di un fabbro, dove impara l’arte di piegare e saldare il ferro.
Ma è nell’officina bolognese del cavalier Righi che scopre la sua vera passione: la potenza dei motori. Ogni volta che può, rimedia una motocicletta o un’autovettura usata, la rimette in sesto e la trasforma in un bolide. Chi lo vede sfrecciare lo riconosce al volo, grazie ai suoi occhi color cielo e a quel sorriso scanzonato.

La passione per i cilindri e i pistoni gli torna utile durante la Seconda guerra mondiale, quando viene spedito a Rodi, nel mare Egeo, dove diventa capofficina del 50° Autoreparto. Sopravvissuto alla disfatta dell’8 settembre 1943, torna in Italia con una giovane moglie ferrarese, che uno scherzo del destino gli ha fatto incontrare tra le rocce bianche dell’isola greca.
Tornato a casa, di fronte allo sfacelo economico dell’Italia non si perde d’animo, mette a frutto le sue conoscenze meccaniche e, all’inizio del ’48, utilizzando i veicoli residuati dalla guerra, brevetta il “Carioca”, un piccolo trattore destinato ai contadini come suo padre, sempre in cerca di risparmi. Propone un’innovazione tecnica molto apprezzata: un vaporizzatore che permette di avviare il motore a benzina per poi farlo funzionare a petrolio subito dopo. In pochi mesi la produzione della “Lamborghini Trattori” passa da un pezzo alla settimana a circa 200 all’anno.
Dieci anni più tardi i dipendenti sono quasi 400 e producono una trentina di veicoli al giorno. Il merito è anche dei provvedimenti governativi che incentivano la meccanizzazione dell’agricoltura, ma la provvidenza non basta. Occorre anche la tenacia che ti porta a frequentare ogni fiera campionaria. Occorre il fiuto che ti fa reclutare i tecnici migliori strappandoli ai concorrenti a suon di denaro. Soprattutto occorre l’intelligenza delle scelte, un talento che porta Ferruccio, prima di altri, a intuire le potenzialità economiche del diesel e a diversificare la produzione, creando anche una fabbrica di condizionatori e di bruciatori a nafta, il nuovo sistema di riscaldamento degli ambienti importato dagli Stati Uniti, che man mano andrà a sostituire le vecchie caldaie a carbone.

All’inizio degli Sessanta, Lamborghini è un industriale ricco. Può permettersi numerose auto sportive, compresa una Ferrari. Può permettersi persino di andarlo a trovare di persona, Enzo Ferrari, e di fargli presente, a motore acceso, i problemi che gli procura la frizione della sua Rossa. Dal litigio che ne nasce, come racconta suo figlio Tonino, sarebbe venuta l’idea di produrre in proprio, oltre ai trattori, anche auto sportive.
Ha già in mente il motore, un 12 cilindri da 3500 centimetri cubici, quattro alberi a camme in testa, due valvole per cilindro, sei carburatori e lubrificazione a carter secco. Per disegnarlo chiama l’ingegnere Giotto Bizzarrini, già noto in quel di Maranello, guarda caso, per aver contribuito a creare i propulsori della Testa Rossa e della 250. Con lui e con il progettista Gian Paolo Dallara, in soli sei mesi, mette a punto la prima Lamborghini “350 GT”. Il marchio deve essere all’altezza del Cavallino che rampa, anzi di più: sarà un bel Toro, di quelli che caricano se vedono rosso.
Tra lo scetticismo generale, nell’autunno del ’63, Ferruccio mette in piedi uno stabilimento per la produzione a numero limitato. Tre anni dopo, quando gli appassionati delle quattro ruote impazziscono per la nuova “P400 Miura”, tutto il mondo viene a conoscere il nome di Sant’Agata Bolognese, dove la fabbrica ha sede. Di lì a poco la fuoriserie disegnata dallo stilista Marcello Gandini viene esposta come un capolavoro al Museo d’arte moderna di New York, a pochi passi da una Ferrari.

Gli anni Settanta, con l’avvicinarsi della crisi petrolifera e l’incrinarsi del rapporto di fiducia tra i padroni delle industrie e i loro operai, segnano la fine di un’epoca. Lamborghini cede prima il controllo del suo marchio automobilistico, poi la sua fabbrica di trattori, e si ritira sulle colline umbre, che lascerà solo dopo l’ultimo respiro, nel 1993. Oggi la sua avventura è raccontata dal Museo che porta il suo nome, allestito a Funo di Argelato (www.museolamborghini.com). Ascoltiamola dalla voce di suo figlio Tonino, protagonista del videodocumentario curato da David Da Ros per “Quartamarcia. Il magazine online sull’auto d’epoca“.

——————————————————–

Tonino Lamborghini racconta Ferruccio Lamborghini
regia: David Da Ros
intervista: Daniele Boltin
traduzione inglese: Fabio Boltin
musica: Blue Dot Sessions

[ringraziamo Daniele Boltin, David Da Ros e Gennaro Lusito Rispoli per averci concesso l’utilizzo dell’audio]
 

Brano corrente

Brano corrente

Playlist

Programmi