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5 Marzo 2011 | Paesaggio dell'anima

Elogio dell’inattuale

Un viaggio in regione attraverso la musica

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

5 marzo 2011

Le musiche di questa puntata: Alessandro Sgobbio, Vasco Rossi, Aidoru, Leo Ferré, Irene Grandi.   

Musica. Alessandro Sgobbio: La Plainte.

 Arriva da Parma, cari ascoltatori, questo interessante pianista, Alessandro Sgobbio, che ascoltiamo in un brano di sua composizione, eseguito con il clarinettista Achille Succi. C’è un’introspezione vera, una confessione che viene dal cuore e ha origine nella fede della religione dei valdesi, che erano protestanti ante-litteram. Austera la musica, d’invernale rigore che si apre – ma non troppo – alle prime brezze primaverili. Austera, o meglio inattuale, la fede di Cristina Campo, scrittrice che stiamo inseguendo in parallelo con Pier Vittorio Tondelli sulle strade d’Emilia, perché siamo a Correggio, dove Tondelli è nato ed è sepolto. Siamo tutti inattuali. Lo è Tondelli, scrittore legato agli anni Ottanta, dei quali oggi rimane ben poco. Cosa rimane? La spesa pubblica allegra? Certo che no. Il postmoderno? Il trendy, con le mode che si susseguivano perché c’era fame di novità? L’edonismo? Beh, questo si è fatto più micidiale e più triste, crediamo. Allora si voleva essere attuali, contemporanei. Oggi vien voglia di essere inattuali per non sprofondare nel pantano che ci circonda. Beh, meglio infilarsi nei portici di Corso Mazzini per un aperitivo, vista l’ora. Ah, guarda che coincidenza. La radio trasmette un Vasco Rossi d’annata: 1987, “C’è chi dice no”.

 Musica. Vasco Rossi: C’è chi dice no.

 La questione è complessa, cari amici. Ma il frizzante Pignoletto che ci hanno servito al bar ci aiuta a filosofeggiare, camminando per la bella e sinuosa via Mazzini: una strada che più emiliana non potrebbe essere, con i portici e le case color pastello, qui e là impreziosite da elementi settecenteschi e neoclassici. Avanziamo leggermente ebbri (il Pignoletto si fa sentire) verso lo slargo dove c’è palazzo Cattani con la torre dell’Orologio. Di fronte, il palazzo del Municipio, dove non possiamo fare a meno di entrare per vedere l’elegante scalone settecentesco. Nel discenderlo per tornare in strada, ci poniamo la domanda: dobbiamo rincorrere gli eventi del mondo o starcene alla larga? A essere troppo curiosi, troppo dentro le vicende, non si rischia di diventare preda della moda e perdere di vista la vera “modernità”, che non è “star dentro” il proprio tempo, ma coglierne le trasformazioni, capire dove sta andando, il nostro tempo? Il genio è sempre inattuale, non è compreso. Tondelli era contemporaneo, Cristina Campo inattuale. Intanto il paesaggio cambia e noi ascoltiamo la musica urbana degli Aidoru, nati a Cesena nei primi anni Novanta e diventati una delle band di punta del panorama regionale, vantando anche una lunga collaborazione con il cesenate Teatro della Valdoca.

 Musica. Aidoru: Landscapes Paesaggi. Interludio.

 Attraversiamo piazza Garibaldi, con la chiesa secentesca di San Sebastiano, per raggiungere via Borgo Vecchio, dove è stata ricostruita la casa natale del Correggio, il divino artista, conservando il poco che restava della struttura originaria. Nella sala multimediale vediamo la riproduzione delle sue mirabili pitture. E dedicheremo il nostro pomeriggio a Correggio visitando il palazzo dei Principi. La foschia che ci accompagnava nel primo mattino si è diradata. La verità si nasconde dietro un velo, come le case dietro la nebbia? Ciò che vediamo esaurisce la realtà, o esiste qualcosa oltre a quello che vediamo? Esiste l’invisibile? L’opera di Cristina Campo è “una professione di incredulità nell’onnipotenza del visibile”. Ricordate l’ultimo film di Fellini, “Le voci della luna”, quando l’attore Benigni, al cimitero, si chiede se i morti non siano lì, dietro la parete, dietro il muro invisibile che ci divide da loro – sono lì dietro, e ci ascoltano, ci accarezzano. Oh, potenza della letteratura: dove ci guidano i testi che abbiamo amato! Ricordate Rimbaud? “Io lavoro per diventare veggente”. E come si fa a diventarlo? Come si fa a penetrare l’invisibile? Intanto sentiamo “Ma Bohème” di Rimbaud cantata da Leo Ferré. “Le mie stelle nel cielo dolcemente frusciavano; / Le ascoltavo, seduto sul ciglio delle strade, / In quelle sere dolci di settembre …”.

 Musica. Leo Ferré: Ma bohème (da Arthur Rimbaud).

 Ci vuole del metodo, del rigore: non è da tutti diventare visionari. Il metodo di Rimbaud è: lo sregolamento dei sensi, « un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi ». Metodo Tondelli, anche. Con parole commoventi, Tondelli dal letto di morte, ammalato di Aids, con grafia incerta annota amaramente che, per una sorta di contrappasso, dopo aver mirato all’assoluto della scrittura e della finzione, il destino gli ha riservato un “ritorno rovente” al mondo del suo primo libro, Altri libertini, i cui personaggi erano giovani sbandati, studenti, prostitute, tossicodipendenti, omosessuali, cavalieri dimezzati e degradati alla ricerca di un po’ d’amore in una Emilia, e in una Europa, in subbuglio. Se Tondelli si è buttato a capofitto nella realtà fino a morirne, la Campo, figlia di un compositore romagnolo che fu insegnante di musica a Parma e a Bologna, la realtà l’ha elusa, schivata, osservandola dall’alto di un sottile disprezzo e di un’eleganza disinvolta che ha chiamato “sprezzatura”. Basta, per oggi. Coltiviamo la nostra inattualità varcando lo splendido portale del palazzo dei Principi a Correggio, lasciandoci distrarre dal caldo colore del cotto, dagli ornati, dai fregi mitologici, dai soffitti a cassettoni, dallo scenografico scalone, dagli arazzi fiamminghi – mentre fuori il mondo brucia.

 Musica. Irene Grandi: Bruci la città

Brano corrente

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