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9 Maggio 2019 | Racconti d'autore

Io qui resisto

Poesie di Azzurra D’Agostino tratte da raccolte varie

A cura di Vittorio Ferorelli. Lettura di Azzurra D'Agostino e Vittorio Ferorelli

Originaria di Porretta Terme, sull’Appennino che unisce l’Emilia alla Toscana, Azzurra D’Agostino ha esordito come poetessa nel 2003, scrivendo anche per il teatro e organizzando laboratori culturali, tra cui “L’importanza di essere piccoli”, il festival estivo con cui l’associazione “SassiScritti” porta musica e poesia nei borghi della montagna.

Poiesis significa fare

a Pierluigi Cappello

io scrivo sempre
curva, con
quel raccoglimento
da pioggia fuori
affratellata dai miei fogli sui ginocchi
a tutti quelli di prima e di poi
che da altre sponde
sui fogli si sono chinati.
siamo stati chiamati
mi ha detto una volta qualcuno
dal zufolare lento delle cose
da quel comporsi dell’aria
dal farsi giardino degli occhi.
ma si è tanto soli, ho pensato
mentre il lume
mi costruiva l’ombra in silenzio
e intorno tutto moriva
si riduceva a ciarpame.
volevo solo ridestarmi
ed essere altro, un qualcosa
di immediato da cogliere
in un solo sguardo
senza feritorie all’altro mondo.
ma non è vero, sai?
io qui resisto, noi tutti
resistiamo, un cordone di
poveri ciechi, quasi buffi a vedersi
in questo umido di acqua ai fianchi
che è la terra, una trincea
dove unico bagliore
è l’argento della catenatura.
ma c’è luce, c’è aria, c’è l’umido
delle bocche, c’è piangere bene,
c’è bambino, c’è parola, c’è
che c’è tutto nuovo, ogni volta.

[da: Azzurra D’Agostino, “Con ordine”, Falloppio, LietoColle, 2005]

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Falene

Questo non è un posto in cui stare
questo è un posto a cui ritornare
mi dico mentre sono qui
fuori i grilli fanno cadere
dagli alberi il loro canto stropicciato
e mi chiedo se è lo stesso per sempre
come pare o se invece prima o poi
tutto sarà muto nel rombo dei motori
e noi cosa saremo. Come vorrei avere
una lingua migliore per dire il tempo passa
le falene consumano al lume breve
di questa notte come sempre come mai.

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Salmoni

a Daria,
nell’amicizia che dura

Poter ricordare i nomi ed i posti
le liti i bagagli persino i vestiti
salire insieme come fanno i salmoni
nel fiume segreto della propria storia

E vanno così nel freddo fondale
controcorrente in coppie a fatica
a deporre in sorgente le cose migliori
uova malanni speranze tremori.

[da: Azzurra D’Agostino, “D’aria sottile”, Massa, Transeuropa, 2011]

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Mi’ nòn am’ dsgiva:
“al sèèt tè, che mé
san stè in tì partisèèn?”
“nòn, mé ed politica
an capiss mja gninta” – disiva me
“ma infàt ai’n’era mja d’la politica;
a’i eren dì bosc negher
indovv ti stèvi òr e dé e setmèni
con ’na fèm un bùr e ‘na pòra
e’d mòrìr adòss
comm’ i’ han sulament al bésti”
– am rispondeva lù.

Mio nonno mi diceva / “lo sai tu, che io / sono stato nei partigiani?” / “nonno, io di politica / non capisco niente” – dicevo io / “ma infatti non c’era della politica; / c’erano dei boschi bui / dove stavi ore e giorni e settimane / con una fame un buio e una paura / di morire addosso / come hanno soltanto le bestie” / – mi rispondeva lui.

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Vuêter

vuêter c’avî
fât al chêsi al strêd la guera
l’itaglia i vesté i noster dé
c’avî magnà pojver e patég
piturà i palaż i cornisôn
cusé la lus ataca i lampiôn
cvuertà i fjôl e scvuert i nvôdt
vuêter, vuêter,
żost o sbajà cal sia
questqué l’avî fât – al’s pôl scurdêr?

Voialtri. Voialtri che avete / fatto le case le strade la guerra / l’Italia i vestiti i nostri giorni / che avete mangiato polvere e patate / dipinto i palazzi i cornicioni / cucito la luce ai lampioni / coperti i figli e scoperto i nipoti / voialtri, voialtri, / giusto o sbagliato che sia / questo qui l’avete fatto – si può scordare?

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Le foglie nuove

Il verde che esce dagli alberi,
la luce che esce, che trabocca,
gli alberi, la luce, le foglie vere
il brillare delle foglie, il muoversi,
le foglie tra i rami, i rami,
un dondolare leggero, un brillare di luce,
di verde, di verde come colore,
come sensazione degli occhi,
il vento che muove, tocca appena
ci sfiora, muove i rami, provate,
provate a guardare un albero
assieme a un bambino che non sa parlare.

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Il mare è la casa dei nonni in cui non vivrò più.
È il limoneto che fiorisce in segreto anche senza cura
come una paura, come il vuoto la sera
nel terrazzo abbracciato dalle stelle
le belle chiare notti d’estate quelle
a venire e quelle per sempre andate.

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Lisbona

a Daria D. e Attilio
agli sposi Antonio e Filipe
ad Andrea

Vorrei fare il ritratto
di una giornata perfetta
come un quadro di certi antichi
che nel quadro ritraevano un sentimento
che nel quadro di Cristo e Maria
al centro ci stanno le mele
e un fagiano ammazzato.

Vorrei fare il ritratto di una luce
che significa un orientamento dei pianeti
raccogliere nelle cose semplici, evidenti
tutto il segreto del cosmo
dell’ossessione per un’assenza
del moto che spinge le persone
ad amarsi e a essere gentili.

Vorrei fare il ritratto di un tempo
a partire dai tetti
dalle auto che silenti
sfilano sul ponte davanti
un ritratto che alluda
al nostro perderci
nel paesaggio che si disfa
al nostro bisogno di essere riconosciuti
come qualcuno che è qualcosa
nel mentre che la vita accade
e ci accende nel dopo
come la luce che rimane
quel poco negli occhi
quando si fa buio.

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Discorso tra un’ape e una foglia

(da una poesia di Giacomo Leopardi
che imita Antoine-Vincent Arnault)

Dove vai? Dove voli tutta sola?
Chiede l’ape alla foglia dalla soglia
di un petalo di rosa. Vado – risponde quella –
dove va ogni altra cosa, come il fiume e la stella.
Ho lasciato il mio ramo, un bel fusto d’alloro
e vado vagando d’intorno e tutto intorno ignoro.
Non diversa da te sarò confusa nel resto
nell’impasto del mondo che più prima di presto
ci fa uguali sorelle nel vento disperse
per sempre le stesse noi ora tanto diverse.

[da: Azzurra D’Agostino, “Alfabetiere privato”, Falloppio, LietoColle, 2016]

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Il poeta non è una panchina

Il poeta non è una panchina.
Il poeta non è un pezzo da vetrina.
Il poeta non è resistente all’acqua
e nemmeno al fuoco.
Il poeta non è becchime per gli uccelli
non è lampada e nemmeno un portaombrelli.
Il poeta non è comodo come un divano.
Il poeta non è un attrezzo.
Non si mastica il poeta.
Il poeta si vede poco, sempre da distante.
Scantona dalla strada e non è rassicurante.

[da: Azzurra D’Agostino, “Quando piove ho visto le rane”, Livorno, Premio Ciampi Valigie Rosse, 2015]
 

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