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29 Gennaio 2007 | Racconti d'autore

N°45- RACCONTI D’AUTORE

Tonino Guerra “Dizionario fantastico”.


Nato a Santarcangelo di Romagna nel 1920, vive e lavora a Pennabili. Poeta e scrittore, inizia a comporre versi in lingua romagnola durante la prigionia in Germania. Alla sua esperienza di sceneggiatore hanno fatto ricorso grandi registi come Antonioni, De Sica, Monicelli, i fratelli Taviani, Rosi, Tarkovskij, Fellini (decisivo il contributo ad Amarcord, premio Oscar), Wenders e Angelopoulos (con il quale nel 1998 ha vinto la Palma d’oro a Cannes).

Un vecchio di novant’anni che vive in solitudine sui monti ed esce solo di notte. Una ragazza morta per una delusione d’amore a soli quindici anni. Un romito analfabeta che cura l’indifferenza e un bambino, illuso da un ingrandimento fotografico, che cerca il padre morto. Il mondo poetico di Tonino Guerra è popolato di persone e di ricordi, ma anche di vecchie campagne con i pioppi piegati dal vento, di vele bianche e di luci notturne sull’Adriatico e del rumore di un’antica, misteriosa processione. Le parole e i ricordi sono la trama e l’ordito di un dizionario fantastico, cioè fantasioso e immaginifico, originale e unico nel suo genere.

DIZIONARIO FANTASTICO

BAGLIORE

Sto cercando per questi monti un vecchio di novantanni che vive solo.

Sta barricato in casa e pare che esca soltanto di notte. Il fornaio di Pennabilli una volta alla settimana gli porta il pane che lascia in una vecchia cassetta sul bordo della strada.

Ho bussato già due volte alla sua porta ma lui non ha mai aperto.

Dai vecchi spesso ci arrivano dei doni favolosi. Ci sono dei continenti di memorie sommerse, un ammasso enorme di visioni.

Spesso da questi mondi bui ci arrivano bagliori improvvisi. Bisogna raccoglierli. Mi viene da pensare ai cercatori d’oro che setacciano quintali e quintali di fanghiglia poi, un bel giorno, compare una pepita.

CAMPAGNA

…Adesso la campagna che circonda il mio paese è piena di radici. Stanno svecchiando gli alberi da frutto e preparano la legna per l’inverno.

Legna che si deve asciugare, fare a pezzi.

Ma è anche legna da vendere, legna pregiata perché si tratta di ciliegi, noci, castagni. E così restano sulla terra le radici. Il trattore strappa le piante dal terreno come se fossero finocchi, poi arrivano i contadini che con le seghe separano il tronco dal cespuglio di radici ancora carico di terra.

Alla fine compaiono i camion che portano via questi cilindri. I cespugli restano vicino alla buca che hanno provocato nello strappo.

…Poi il treno abbandona il mare e scorrono davanti agli occhi vecchie campagne coi pioppi piegati al vento. Le strade dei villaggi seno deserte e vi camminano maiali col collare triangolare di legno così da rendergli difficile il passaggio in mezzo alle siepi che difendono gli orti. A volte qualche uomo solitario appoggiato a un recinto controlla i passi di un’oca che ancora intravedo nell’aria della sera.

DELUSIONE

Quando nel 1890 morì per una delusione d’amore Penelope Corsini, tutti nel paese in cima ai calanchi dell’Appennino chiusero le botteghe e andarono al funerale.

Le ragazze e i giovani portarono i fiori per molti anni. Finchè anche tutti i loro morirono chi di vecchiaia e chi no e furono sepolti nel piccolo cimitero. Così più nessuno si ricordò chi fosse  la ragazza morta d’amore a quindici anni.

Un giorno dell’ultima guerra un soldato ferito trovò rifugio in quel cimitero e, dopo aver vagato moribondo in mezzo alle croci, decise di morire sulla tomba di Penelope sulla quale, a lettere sbiadite, si leggeva ancora:

A què sòtta e’ dòrma una burdèla
Ch’la n s spusarà mai (qui sotto dorme una ragazza che non sposerà mai)

ESTATE

Bisognava aspettare l’estate per avere le strade asciutte e allora, pestando il pantano, sbriciolandolo minutamente, cominciava a comparire la polvere.

Sempre più leggera fino a quando il vento la portava in giro per le case, sui mobili, sui vestiti di chi arrivava o partiva, sulle siepi e sulla campagna attorno.

Allora c’erano una ventina di giorni di caldo infuocato con la gente che respirava polvere e sole.

FOTOGRAFIA

Da due o tre mesi ha paura di me.

Abita al di là della strada. E successo da quando è morto suo padre. Un giorno viene la madre che vuole un ingrandimento della fotografia dove si vedeva suo marito, morto da due giorni, in compagnia di altri. Si trattava di fare un ingrandimento di questo uomo, isolato.

(…) Quando consegno l’ingrandimento alla donna è presente anche Manuka. Il bambino appena vide la fotografia mi guardò sbalordito scoprendo in me una forza superiore alle comuni capacità degli uomini. Immaginò che per fare quell’ingrandimento avessi incontrato da qualche parte suo padre ancora vivo.

Quella stessa notte sentii che il gatto entrava dalla finestra superiore.

Feci il solito urlo per spaventarlo ma stranamente l’animale non si spaurì anzi avanzò nella stanza avvicinandosi al letto. La luce lunare che penetra nella casa come può entrare l’acqua in una scatola rotta, mi fece scoprire accanto al letto il viso disorientato di Manuka.

«Che cosa vuoi?» gli chiedo sottovoce.

«Dov’è mio padre?» dice con voce roca il bambino. Lo stringo per un po’ senza rispondere e lui scappa deluso.

INDIFFERENZA

Il romito Lorenzo viveva in una casupola che si era fatto con le sue mani mettendo una sull’altra le schegge di roccia che raccoglieva sul monte Zucca, dove cresceva dell’erba spinosa che non piaceva neanche alle capre.

Lorenzo era analfabeta e diceva delle cose grandi e sconosciute al mondo senza maneggiare libri santi. Beveva l’acqua piovana che raccoglieva in un tegame appeso sull’orlo del tetto.

Nel tegame stavano a bagno le fave che lui regalava a chi aveva le bestie ammalate, che così si guarivano.

A quelli che avevano dei mali incurabili e venivano da lui per consigli diceva che la malattia ha paura dell’indifferenza.

E così gli ammalati si mettevano a vivere senza pensare al male e la vita si allungava.

NATURA

…Il silenzio è diventato un ricordo.

Adesso dobbiamo mettere in ordine i rumori. Ma non mi rassegno. Spesso chiedo a Gianni se in questa valle c’è un punto dove si possa ascoltare il silenzio. Si è messo a ridere per significare che mi poteva accontentare anche subito.

Mi ha portato in un bosco di cerri a sei chilometri da Pennabilli. Si è accorto anche lui che là dentro era pieno di scricchiolii  e di piccoli tonfi di ghiande. Una settimana dopo abbiamo fatto un viaggio più lungo fino a raggiungere un mulino abbandonato vicino al Presale.

C’era uno sgocciolio d’acqua tra i sassi.

Si è arrabbiato e mi ha detto che la natura non si può cancellare. Infatti anche quando mi ha portato in cima a una montagna, tirava vento.

NOTTE

… Qui è più notte che in qualsiasi altra parte della valle. I riverberi delle luci lungo l’Adriatico non arrivano a sporcare il cielo.

Rendendolo appena grigio.

Nel cielo nerissimo sulle nostre teste le stelle luccicavano in modo abbagliante. Qualche goccia di luce è cominciata a cadere verso mezzanotte.

Sembravano dei graffi infuocati e ho pensato a mio padre quando nel buio della camera da letto accendeva i fiammiferi per il sigaro strisciandoli al muro sopra il comodino. Ci siamo accorti che la Piscina Nera era uno specchio per portarci vicino agli occhi i lampi delle stelle cadenti.

Allora abbiamo giocato a prendere quei bagliori nell’acqua con le mani come potevano farlo i primitivi.

PRIMAVERA

…Mi è capitato qualcosa che potrebbe succedere anche a voi. Quelle che vedevo non erano soltanto i dirupi che scendono fino al Marecchia bianco di sassi, ma su tutto questo stagnava una visione che apparteneva alla mia infanzia. Rivedevo la pianura sotto il colle di Santarcangelo quando a primavera bambini e vecchi salivamo fino al sentiero attorno alle mura del convento per godere una vasta largura sotto di noi.

Laggiù c’era il mare e spesso le vele bianche dei barconi da pesca.

Adesso quel sentiero è chiuso dentro una proprietà privata e nessuno ha più bisogno di quella grande veduta.

PROCESSIONE

Torniamo nel paese vuoto. I passi camminavano sul silenzio. Qualcuno batteva su dei legni. Scopriamo un vecchio in un orto. Vive solo. Gli domando quaI era il fatto che lo aveva colpito di più in questi anni di solitudine. Riflette a lungo poi esce dall’orto e va ad appoggiarsi con la schiena a un muro.

«Una notte dell’ultimo autunno – si mette a raccontare — ho sentito che il paese era pieno di gente in processione. Allora mi alzo, apro la finestra e vedo la strada vuota. Però c’era quello strisciare di passi e la cantilena del rosario.

Si dice che siano i rumori di una grande festa religiosa del 910 che torna a farsi sentire ogni tanto per un fenomeno che nessuno sa spiegare. Era la prima volta che lo sentivo. Mia madre almeno tre volte»

 

Lettura di Fulvio Redeghieri.

Brano corrente

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