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6 Marzo 2007 | Racconti d'autore

N°50-RACCONTI D’AUTORE

Pier Vittorio Tondelli “Un week-end post moderno”. Rimini.

Con “Un weekend postmoderno”, Pier Vittorio Tondelli, scrittore emiliano di Correggio (Reggio Emilia), morto a soli 36 anni nel 1991, ha elaborato il suo “romanzo critico” sugli anni Ottanta, una lunga narrazione “a scenari” che racconta le mode e la musica, le nuove tendenze artistiche e letterarie, le scoperte, gli entusiasmi e la vitalità della provincia italiana in questo decennio.
Vi leggiamo alcune pagine tratte dal capitolo “Rimini come Hollywood”, in cui la vita e i divertimenti nella Riviera romagnola diventano il paradigma dell’Italia vacua e superficiale, spensierata e ottimista, di quegli anni fatali.

Rimini

Vista dall’ alto di un DC9 che da Venezia mi riporta a Roma, in una splendida giornata estiva, la riviera di Romagna altro nop, appare che un’esilissima striscia di sabbia chiara che procede dolcemente fino a virare attorno a Cattolica, e da Il si increspa e si movimenta giù giù, fino ad Ancona. Vista invece di notte, dall’alto di Gabicce Monte, quella stessa striscia di sabbia mi sa­rebbe apparsa come il bordo luccicante di strass di un vestito da sera e, quindi, l’invito al desiderio, alla follia della notte, alle corse in macchina lungo la costa illuminata, confine fra la terra e il mare. Ma dove la collina e dove le acque? Tutto si sarebbe con­fuso così che non avresti potuto dire: “Lì c’è la campagna, lì in­vece il cielo. Quella è una stella, o forse la luce sulla prua di un battello, o forse nient’altro che il faro di un dancing ospitato in una cascina.” L’unica certezza sarebbe stata quella sequenza ordi­nata di luci piantate sulla costa a indicare il cammino, un percorso di sopravvivenza e di divertimento come uno spartiacque nel vuoto nero della notte. E difatti, scendendo sul lungomare, cam­minando, attraversando i giardini e i viali, nemmeno per un mo­mento avrei dubitato che tutto fosse così, che tutto fosse diverti­mento e allegria …

Allora mi dissi che sarebbe bastato procedere in linea retta, senza oscillare né da una parte né dall’altra, percorrere la costa come un viale lungo decine e decine di chilometri e concentrarmi su chi avrei incontrato: creature della notte che danzano come falene at­torno alla loro sorgente di luce.

FESTIVALBAR. Tutto era molto californiano: le luci, il caldo, la discoteca all’aperto in collina, i prefabbricati dei servizi, i camper, le elettromotrici, i riflettori, il nomadismo, il parcheggio delle rou­lotte e delle grandi auto straniere da cui, ogni tanto, una ballerina scendeva pesantemente truccata, come se fosse già il momento di salire sul palcoscenico e invece altro non erano che le tre di un afoso pomeriggio di giugno. Avrei dovuto partecipare a una pun­tata dello show televisivo che si inaugurava al Bandiera Gialla di Rimini, e per questo ero stato convocato, dal mio ufficio stampa, alle tre del pomeriggio. Avrei dovuto conoscere il produttore tele­visivo, il curatore dei testi, il regista, la presentatrice.

Arrivai già stanco. Mi trovai di fronte al set televisivo, ben altra cosa rispetto a un set cinematografico. La televisione è già spetta­colo nei chilometri di cavi elettrici, nelle centinaia di monitor, piazzati a gruppi di dieci come videosculture, nell’imponenza delle telecamere. Un set cinematografico viaggia lentamente, per ciak successivi, e sembra non vi accada mai niente di particolare; il set televisivo macina ore su ore di trasmissione come un mastino, ore e ore di prove, gli artisti, i presentatori, la pubblicità, il corpo di ballo, i tecnici del playback,i cantanti, i produttori, i registi, i tecnici, gli attrezzisti. Tutto ingranava sul palcoscenico, centinaia di persone davano ordini, e tutti obbedivano rispondendo con al­tri ordini. La presentatrice, in short ridottissimi, cercava di ripo­sare allungata su un divanetto accanto alla sala trucco. Ma non dormiva. I muscoli del suo viso fremevano per qualsiasi vibrazione che incrinasse il silenzio. Fu in quel momento, quasi azzerato dal caldo e dalla luce del pomeriggio, fra i profumi stordenti delle lac­che, delle creme e dei trucchi, che provai, per un istante, 1’eccita­zione di poter conoscere il mondo dello spettacolo. In quel mo­mento di pausa – fra ballerine stanche e cantanti dagli occhi gonfi, fra telefoni che continuavano a squillare e telex che arrivavano in continuazione in sala regia – sentii, nella mia stessa stanchezza, il doppio e il falso dello spettacolo, la seduzione di una maschera grondante fatica e sudore.

La notte, dopo aver registrato, tornando in albergo, accolto nel refrigerante lusso del Grand Hotel pensai a Nathanael West, po­Vero e sfortunato scrittore degli anni trenta, affondato nella Holly­wood maledetta del massimo splendore e del massimo cinismo.

VIALE CECCARINI. Lungo questo viale che da Riccione porta al mare, dopo il sottopassaggio ferroviario di rito in ogni città della costa – una sorta di separazione trasversale che taglia in due fasce, anche sociali, il popolo delle pensioni da quello degli alberghi di prima categoria – lungo queste poche centinaia di metri, di giornò o di notte, l’immagine della riviera splende come in 01:te from The Rear! di Francis Ford Coppola: insegne multicolori, luci al neon, vetrine di negozi lucenti come specchi, grandi pannelli pubblicitari elettronici che si animano di disegni e di slogan, scritte, musica, senza una definitiva soluzione di continuità fra il dentro (i bar, i ne­gozi, le case, le stanze … ) e il fuori (la strada, il viale, gli alberi..,). Tutto è riversato in una dimensione scenografica in cui anche i vec­chi pini marittimi che costeggiano il viale sembrano elementi di una quinta prospettica, essi stessi addobbi di un grande negozio in cui si eseguono ritratti, si passeggia, dove sfrecciano i tandem e i risciò fra i tavoli in cui si beve un caffè in ghiaccio o si gusta un gelato. L’ef­fetto è straordinario. Quando vi portai alcuni diffidenti amici ro­mani, li osservai sciogliersi meravigliati, assorbiti dallo spettacolo della fauna in vacanza che dura per tutta la notte, fino al mattino.

DISCOTECA. In tutta la riviera di Romagna le discoteche, i club, i dancing, le balere abbondano a ogni angolo di strada. Ci sono quelle sul lungomare e quelle in collina, quelle rinchiuse in uno scantinato e quelle ospitate in villette e prefabbricati. Ci sono disco per ragazzi e per schettinatori, per dark e per paninari, per gay e per tardo ne, per ricchi e poveraccio Ci sono i night-club dall’atmo­sfera un po’ equivoca e le grandi costruzioni come la Baia Impe­riale, clima sfacciatamente da Basso Impero, a metà tra il Foro Ro­mano e la Cinecittà di Ben Rur. In ogni discoteca, comunque, non solo si balla, ma si fa spettacolo: nuotatrici acrobatiche, culturisti, trasformisti, giocolieri, funamboli, prestigiatori, arricchiscono le se­rate e intrattengono un pubblico che in fondo, in quei posti, va per ballare e per divertirsi, certo, ma soprattutto per abbordare. Una vacanza senza partner che straccio di vacanza è?

Ecco allora un lui che gironzola attorno a tre, quattro girl piuttosto carine. Si vede che ne vorrebbe conoscere una in particolare. Lei se ne accorge, parlotta con le amiche, guardano l’intruso, fanno commenti, esaminano. Lui sta tranquillo, vuole fare il ganzo, ma non ci riesce. Fumacchia nervosamente un sigarillo, così per darsi un tono. Le ragazze si dirigono verso la pista. La prescelta cammina più lentamente, in modo da rimanere indietro. Lui, appoggiato alla colonna, capisce tutto, si stacca e l’abborda. Le tre amiche, giunte sul bordo della pista, si voltano. Lei e lui sono ora vicini, fianco a fianco. Camminano sempre, si sorridono, si guardano. Lui dice qualcosa così, per tentare. Come tre caravelle che lascino gli or­meggi, le tre amiche scendono in pista invitando l’amica. Lei conti­nua a camminare, gli dice non è la serata giusta. Lui si blocca al li­mite della pista da ballo. Lei invece entra nella mischia. Lo lascia lì, immobile, come si lascia un molo per prendere il largo, e lui, rima­sto a terra, la segue con lo sguardo allontanarsi e perdersi nell’ oriz­zonte frenetico di altre centinaia di corpi in movimento.

GRAND HOTEL DI RIMINI. Un’altra notte. Dopo una grande fe­sta, cui avrebbero partecipato un migliaio di invitati tra artisti, at­tori, giornalisti e amici, il regista se ne sarebbe tornato nella sua stanza, frastornato e stanco. L’orologio segnava le cinque del mat­tino. Le tempie gli battevano, la testa dolorava per il volume assor­dante della musica in discoteca. Aveva la gola secca e il respiro roco. Andò al balcone, aprì le finestre e si sporse per respirare l’aria fresca che proveniva dal mare. La luce della notte stava incrinan­dosi nel nuovo giorno. Tornò nella stanza e si gettò sul letto. Guar­dando il soffitto, il regista si chiese se fosse veramente questo ciò che aveva desiderato per la sua vita. Non seppe rispondere. In quel momento sospeso tra la notte e il giorno, in quella stanza dal sof­fitto altissimo, in quella ovattata assenza di rumori, sentì solamente di essere per la prima volta vivo nel proprio sogno di ragazzo. Il protagonista principale di un suo film. A Rimini, quella notte, tutto durò un attimo.

Lettura di Fulvio Redeghieri.

Brano corrente

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